Un caso di supervisione: specularità e frattali

Il caso che presento è solo uno dei tanti che ho incontrato in quella particolare attività di formazione psicologica che riguarda i gruppi "family" e che a volte viene svolta come supervisione. Ho incontrato casi simili con gruppi di insegnanti dello stesso Consiglio di Classe, con equipés di operatori di Comunità per tossicodipendenti, con animatori di Istituti di Riabilitazione Psichiatrica, con educatori di Centri per handicappati mentali, con equipés di Consultori. La frequenza di questo fenomeno è inversamente proporzionale alla letteratura disponibile e ciò dipende forse dal coinvolgimento del formatore che, immerso nella relazione col sistema utente e cliente, ne assume certe proprietà senza esserne consapevole .
Il caso riguarda il Consiglio di Classe di una Scuola Media della più deprivata periferia di una grande città, col quale avevo l’impegno di 7 incontri mensili di tre ore. Gli incontri avevano lo scopo dichiarato di una supervisione relativa al lavoro che i docenti stavano svolgendo in una seconda classe a seguito di un intervento formativo (realizzato da me e altri colleghi in tre diverse scuole della stessa zona) finalizzato alla acquisizione di metodi e tecniche per la prevenzione del disagio scolastico.
La fase formativa consisteva nell’addestramento all’uso di tecniche di osservazione e conduzione della classe che avevano lo scopo di migliorare i comportamenti, le relazioni e il clima. Dopo la fase formativa molto breve (meno di 5 giornate) i docenti si erano impegnati a sperimentare in classe gli strumenti e le attività apprese per poi discuterne negli incontri di supervisione mensile di tre ore. Il gruppo che avevo ereditato per la supervisione non aveva lavorato con me nella fase formativa.
Fin dal primo incontro il gruppo descrisse gli allievi come molto disturbati e disturbanti, ipercinetici, aggressivi, incapaci di concentrazione e di ascolto, irrispettosi e spesso antagonisti verso la autorità dei docenti: i quali erano quindi incapaci di gestire il ruolo con un minimo di autorevolezza. Non potevano dunque applicare gli apprendimenti né circa l’osservazione sistematica, né tantomeno relativi alle attività progettate.
Nei primi due incontri sono caduto nella trappola di una classica interpretazione del gruppo, nota come "lamento per rifiutare l'aiuto". Con quesra difesa i gruppi esprimono lamentele continue chiedendo al formatore suggerimento e aiuti. Se il formatore non offre aiuti concreti ma invita il gruppo a confrontarsi e aiutarsi da solo, parte l'accusa di disinteresse, incompetenze, inutilità. Se il formatore prova a dare consigli, suggerimenti, proposte, il gruppo oppone una serie interminabile di "si, però.." la cui conclusione è che nessun suggerimento è applicabile nella situazione di lavoro. Di fronte a questa difesa, come a ogni altra, non esiste ricetta. Il formatore deve provare diversi interventi tarati sulla situazione (utenti, contesto, contratto formativo, ecc.) fino a che trova quello efficace. Solitamente io inizio con l'invito al confronto poi eventualmente passo ai tentativi di consigli concreti, infine arrivo (ma non tanto tardi) alla messa in discussione del contratto.
In sostanza dico che se la situazione è tanto disperata che il gruppo non può aiutarsi da solo e se io non riesco a dare un aiuto accettabile, tanto vale che la formazione si interrompa. Dopo una dichiarazione di questo tipo, fatta con un tono molto tranquillo e "normale", chiedo che il gruppo ne discuta, decida e stenda un documento per il committente, nel quale si dichiarano i motivi della sospensione dell'attività formativa. In oltre vent'anni di lavoro ho incontrato un solo caso in cui il gruppo ha effettivamente interrotto il lavoro.
Col caso in questione ero arrivato a metà del terzo incontro e avevo provato le prime due tecniche senza grandi passi avanti: per cui ero vicino a fare uso della mia ultima carta.
Ebbi un insight della situazione quando riuscii a cogliere tutti insieme alcuni sintomi che prima non riuscivo così bene a collegare.
Anzitutto mi resi conto che lo stile comunicativo del gruppo era di coppie che parlavano fra loro tutte insieme. Quasi nello stesso tempo prestai attenzione a un pettegolezzo relativo alla Preside, espresso da due o tre docenti. Intanto il contenuto verbale che era sul tavolo riguardava per la terza volta la mancata realizzazione dei "compiti" che i partecipanti avrebbero dovuto realizzare nel corso del mese precedente. L'interpretazione mi arrivò chiarissima. I docenti del Consiglio di Classe si comportavano esattamente come i loro allievi e trattavano me come quelli trattavano loro. Ma non solo. Anche il rapporto fra Preside e docenti era identico a quello descritto come esistente fra allievi e docenti. I docenti si comportavano da ragazzini turbolenti verso la Preside e questa era, come loro, del tutto priva di autorità. Di quésta seconda parte ero meno sicuro, per cui tenni di riserva l'ipotesi. Mi alzai lentamente, guardai in silenzio ciascuno negli occhi, e quando arrivò il silenzio lo tenni per due o tre minuti, poi parlai lentamente e con un tono di voce grave, descrivendo la specularla fra i docenti e i loro allievi e fra me e i docenti. Io ero il docente di un gruppo di docenti che si comportavano come i loro allievi e non riconoscevano a me (come gli allievi a loro) alcuna autorità. Al mio intervento segui il silenzio di trenta secondi, poi 2 o 3 docenti espressero una loro piena svalutazione di quanto avevo detto, mentre gli altri, per la prima volta stavano in silenzio. Dopo le prime bordate iniziarono a parlare gli altri: con tono concentrato e grave ripresero il mio intervento e iniziarono a elaborarlo. Il discorso prese una piega molto autentica e arrivò a toccare molti problemi psicologici dei presenti, relativi al lavoro in quella Scuola e in quel Quartiere. Fu durante questa seconda fase che ebbi la conferma della plausibilità della seconda parte del mio insight. Lo dissi e la gran parte del gruppo mi segni anche su questo terreno. L'incontro finì con un atteggiamento di ascolto molto maggiore, una generale disponibilità a "fare i compiti" un visibile aumento della mia autorità.
I1 quarto incontro e i successivi andarono avanti piuttosto bene e malgrado notevoli difficoltà, la supervisione andò sui bman previsti- una seric di incontri centrati sulla discussione di osservazioni e interventi psico-educativi in classe. In particolare non riuscimmo a risolvere i "casi" di due docenti, il cui comportamento era speculare a quello dei "casi" descritti come più dannosi per la classe Tuttavia il gruppo riuscì a contenerli, operando su se stesso, e molto apprese sulle dinamiche e le strategie di intervento sul gruppo classe per i "casi" di allievi difficili.
In sostanza avevo registrato il fenomeno della specularità fra i comportamenti del gruppo docenti e quelli del gruppo classe, suggerendo l'idea che il Consiglio di Classe, operando su se stesso, agisce indirettamente anche sulla classe. L'unico precedente letterario su questo fenomeno che ricordo, in Italia, e un libro famoso nei primi anni Settanta (1) di G. Lai. Ma avevo anche registrato i1 carattere di frattalità fra le parti della Scuola Media e l'organizzazione nel suo insieme. Questa ipotesi non è stata usata per un intervento nell'organizzazione scolastica in quanto il contratto formativo non lo prevedeva, ma servì al gruppo per spiegarsi in termini di contesto il fenomeno della specularità. Il concetto di frattale è stato individuato in campo matematocp da B. Mandelbrot (2) e si può riassumere così: le parti di un sistema hanno la forma del sistema, e questo ha la forma delle sue parti; la analisi di un oggetto dipende dal livello di definizione usato.
Non è del tutto chiaro da cosa dipendano, nei sistemi sociali, fenomeni quali quelli indicati (specularità e frattalità). Una ipotesi è quella che della influenzaq reciproca fra due sub - sistemi (la classe e i docenti) e fra un sistema e i suoi sub - sistemi (la Scuola e il Consiglio di Classe). Tale ipotesi confermerebbe ancora una volta il paradigma della complessità (3) come carattere delle organizzazioni umane. In termini di azione formativa questi fenomeni confermano la efficacia dell'approccio che si basa sull'intervento "qui e ora" come tecnica per stimolare cambiamenti anche in sistemi non utenti.

Tratto da "La formazione psicologica", di Cavallin, Contessa, Raviola, Sardella, Sberna e Terraciano, Cittàstudi Edizioni, Milano, 1994, pag. 173-177