COSA E' LA FORMAZIONE PSICOLOGICA
Tratto dal volume di AA.VV "LA FORMAZIONE PSICOLOGICA", CittàStudiEdizioni (UTET), 2° ed. 1998

Tutta la storia della formazione in Italia, che ormai ha quasi 40 anni, è stata attraversata da una ambiguità di fondo. Gli psicologi e gli psicosociologi, fra i pionieri di questa pratica, hanno usato questo termine per indicare quell'insieme di attività, perlopiù d'aula, finalizzate a produrre cambiamenti-apprendimenti nella sfera personale o del comportamento relazionale e organizzativo. Per costoro la formazione "vera" era solo questa, mentre quella relativa ad altri contenuti era solo informazione o addestramento o istruzione.

Tutti gli altri professionisti della formazione hanno usato il termine in senso esteso, per indicare ogni attività di insegnamento-apprendimento per qualsivoglia contenuto. A partire da questa definizione generale, tutti gli operatori della formazione, psicologi e non, hanno svolto azioni formative relative a tutti i contenuti, comprese le competenze psicologiche.

Questo equivoco è stato alimentato sia dalla debolezza degli psicologi sia dalla leadership, nel territorio formativo, di professioni afferenti ad altre discipline, come l'ingegneria, l'economia, il diritto. L'approvazione della Legge sull'ordine degli Psicologi ha rafforzato la professionalità psicologica, ma soprattutto nella sfera psicoterapeutica, trascurando vistosamente la sfera della formazione.

La questione non è di tipo meramente corporativo. È evidente che una formazione psicologica affidata a non psicologi, come anche a psicologi senza un'adeguata formazione, offre minori garanzie di qualità all'ente. Basta un esempio tra tanti. La professione del formatore non è codificata, per cui non dispone di un codice deontologico. Ove essa è fornita da uno psicologo, l'utente è tutelato almeno dal vincolo della segretezza professionale. Laddove invece essa viene fornita da un non psicologo, questa tutela non esiste, e in effetti non sono rari i casi nei quali il formatore riferisce informazioni emerse dall'aula, anche molto personali, al committente o al superiore gerarchico. Così come non sono rari i casi di attività formative usate per operare selezioni o per governare carriere.

Nel 1993, anche per ovviare a questo equivoco, è stata fondata la Società Italiana di Formazione Psicologica -SIFORP, affiliata alla Società Italiana di Psicologia - SIPS. Ai fondatori della SIFORP è sembrato maturato il tempo per sancire che:

  1. la formazione è una professione autonoma;
  2. la formazione psicologica è una parte specializzata della formazione;
  3. la formazione psicologica deve essere di competenza di professionisti specificamente preparati, siano essi psicologi o non psicologi.

Non è questa la sede per approfondire i primi due punti. Circa il terzo punto l'ispirazione deriva dalla regolamentazione della psicoterapia. Questa pratica è riconosciuta per legge a quegli psicologi o quei medici che abbiano una specifica formazione. Il motivo di questo doppio ingresso deriva dalla realtà storica che ha sempre visto operare in campo psicoterapeutico sia medici sia psicologi. Analogamente ritengo che si debba arrivare a una regolamentazione della formazione psicologica, riconoscendone la competenza agli psicologi e ai non psicologi, che però abbiano maturato una specifica preparazione.

Il discorso sarebbe incompleto se non arrivassimo a definire i confini precisi della formazione psicologica. Che possono essere così delineati.

  1. l'informazione relativa alle teorie, alla storia, ai metodi sviluppati dalla Psicologia scientifica e professionale;
  2. l'addestramento a tecniche che invadono o toccano le aree della psicologia dell'utente;
  3. lo sviluppo delle capacità a prevalenza psicologica degli utenti non psicologi e psicologi.

L'informazione psicologica oggi copre un arco amplissimo ed è assai diffusa nella formazione di base, professionale e continua. Si può dire che non esista corso nel quale un docente, quasi sempre privo della pur minima formazione psicologica, non si esibisca in narrazioni più o meno fantasiose sull'inconscio, la comunicazione, il gruppo, gli autori e i metodi più noti della psicologia. A partire dalla Scuola elementare dove gli insegnanti si librano nella interpretazione dei disegni infantili; fino alla Scuola Superiore che registra docenti impegnati in teorie sull'equilibrio psicologico, la sessualità, le relazioni fra adolescenti. Non esiste Corso per quadri o dirigenti dove non si prevedono descrizioni delle teorie freudiane o bioniane, di Watzlawick o di Moreno, di Lewin o di Berne. Insomma la psicologia è trasmessa ovunque con risultati spesso sconfortanti, a cavallo fra il magico e il voyeuristico.

L'addestramento all'uso di tecniche che mettono in gioco il mondo interno dell'ente è piuttosto diffuso nella formazione continua. Dall'intervista al colloquio, dalla psicodramma ai "giochi psicologici", dalle tecniche di osservazione a quelle di leadership: è un continuo passare dentro e fuori dal mondo psichico dell'ente (e del formatore).

La formazione continua o on the job è almeno al 50% centrata sulla formazione di competenze dichiaratamente o implicitamente psicologiche: comunicazione, relazioni interpersonali, dinamiche di gruppo, creatività, cooperazione e competizione, negoziazione, dinamiche organizzative o di comunità.

Mentre il terreno dell'informazione e delle tecniche è abbastanza facile da definire, come ambito della formazione psicologica, l'area delle capacità psicologiche è ancora piuttosto confusa. Ciò che la formazione psicologica deve approfondire sono i confini e il territorio del concetto di "capacità psicologica", allo scopo di pervenire a una organizzazione e una tutela degli operatori e degli utenti di questo settore.

    1. Il concetto di "capacità psicologica"

Questo concetto è tanto centrale, nella formazione psicologica, quanto ancora oscuro o impreciso. Si verifica intorno alle "capacità psicologiche" qualcosa di simile a quanto si è verificato in fisica per gli atomi, in chimica per le molecole, in biologia per le cellule. Per i secoli si è parlato e si è lavorato intorno a oggetti che solo verso la metà dell'Ottocento hanno trovato una definizione e descrizione precise. Gli atomi e le cellule sono entità complesse, a loro volta composte da elementi più piccoli, che fungono da mattoni aspecifici della natura. Ogni oggetto naturale è tuttavia costruito da particolari insiemi di atomi e cellule, detti molecole, che assumono il ruolo di mattoni specifici. Atomi di idrogeno e ossigeno composti a caso non danno origine a nulla: ma una molecola fatta di due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, legati in modo particolare fra di loro, costituisce la unità base dell'acqua.

Circa le capacità psicologiche abbiamo problemi simili, ma siamo ancora al livello pre-scientifico. In particolare:

  1. non esiste una definizione accreditata del concetto;
  2. non conosciamo gli elementi che compongono le capacità;
  3. non conosciamo quali sono le capacità basiche.

La cosa interessante è che, malgrado queste oscurità, facciamo formazione psicologica e spesso riusciamo a ottenere visibili incrementi di capacità.

F.Agnoli (1) offre un'interessante disamina della lingua inglese che dispone del termine "hability" o "skill". Il primo indica "potere sufficiente, capacità di fare qualcosa, abilitazione, destrezza, talento, potere mentale". Il secondo sta per "esperienza, abilità pratica, facilità nell'azione, abilità, tatto". Le habilities sarebbero le capacità ad ampio raggio come quella verbale, spaziale, matematica, ecc. Le skills sarebbero componenti attualizzate delle habilities, che possono essere oggetto di addestramento. Per analogia potremmo paragonare le habilities agli atomi e le skills alle molecole.

In direzione simile può essere letto il contributo di I.Matte Blanco (2) che enfatizza l'accezione di capacità come "capienza". In questo senso le capacità sarebbero contenitori aspecifici che si riempiono, con l'esperienza e la formazione, di "poteri operativi" cioè skills.

A testimoniare l'imprecisione nella quale naviga il concetto di "capacità psicologica" citiamo due interessanti testi.

Il primo, di L. De Cataldo e G. Gulotta (3) sulla "competenza comunicativa", definisce tale competenza come "…l'insieme delle condizioni psichiche e comportamentali che sono necessarie al compimento di una data attività" (pag.19). Una definizione, come si vede, molto astratta e generale. Poi (p.22) gli autori citano studi sulla "competenza sociale" (termine spesso usato come sinonimo di competenza comunicativa) che indicano come elementi che la compongono: la espressività emotiva, la sensibilità emotiva, il controllo emotivo, la sensibilità sociale, l'influenza sociale. Il problema è che questi cinque elementi base sono a loro volta determinati da ben 11 fattori fra i quali: capacità di mettersi in sintonia con gli altri, estroversione, capacità di persuasione, capacità di accettazione della complessità, ecc. Insomma siamo in un circolo vizioso nel quale le capacità specifiche e quelle specifiche si intrecciano.

Dalla citazione di altri ricercatori i nostri due autori indicano ancora (pag. 30) "che la competenza comunicativa sarebbe in rapporto diretto con tre gruppi di skills:

  • la complessità cognitiva (che è la capacità di interpretare e di dare un senso a quanto gli altri dicono intorno a noi)
  • l'empatia (che è fatta di espressività, ottimismo, facilità di rapporto, calore umano, flessibilità);
  • l'assunzione di ruolo e il controllo del rapporto comunicazionale (cioè la capacità di condurre, sostenere, indirizzare l'interazione)".

Se volessimo andare a fondo, ci troveremmo di fronte ad altri loops, perché affermare che la competenza comunicativa dipende dall'empatia, la quale a sua volta dipende dalla facilità di rapporto è nient'altro che una tautologia. Tutti i numerosi e dotti esempi riportati dagli autori sono di questo tipo.

Il secondo testo, di G.C. Cocco (4) non si sottrae agli stessi problemi. Dopo una lunga disamina sul funzionamento celebrale, l'autore, senza spiegare da dove vengono e cosa siano le capacità, ne elenca di cinque categorie: emozionali, relazionali, intellettuali, gestionali, innovative. Le cinque categorie sono poi suddivise in 49 capacità "semplici", ciascuna delle quali viene descritta e analizzata. Il fatto è che queste 49 capacità piuttosto che semplici appaiono anch'esse molto "composte". Per esempio, la capacità di organizzazione viene definita come "capacità di strutturare efficacemente le attività proprie e degli altri, le risorse possedute, il tempo disponibile per il raggiungimento di un obiettivo" (pag. 109). Il che mi sembra un'altra tautologia, che nulla dice circa la capacità dal punto di vista della formazione.

Una pista di ricerca molto stimolante circa il concetto di capacità mi sembra quella dei " Big Five". G.V. Caprara e M. Perugini (5), dopo un preciso excursus delle maggiori teorie della personalità basate su un approccio lessicografico e strutturale, confermano l'interesse per il paradigma dei Big Five. Tale paradigma individua i seguenti 5 fattori basici della personalità:

  1. Estroversione (socievolezza, attivismo, dominanza),
  2. Gradevolezza (compiacenza amichevole)
  3. Coscienziosità (scrupolosità, perseveranza, auto-controllo)
  4. Stabilità emotiva (tranquillità, sicurezza, calma)
  5. Intelletto (apertura all'esperienza)

Tali elementi basici della struttura della personalità possono essere identificati con le habilities, cioè coi contenitori potenziali di skills da attualizzare mediante la formazione psicologica? Possiamo considerarla un'ipotesi.

Il fatto è che il tema della capacità sembra un territorio a dimensione infinita, di fronte al quale si tratta di trovare il livello di osservazione e definizione, insieme più funzionale e significativo per l'obiettivo della formazione psicologica. L'ignoranza dei dinamismi della fisica delle particelle non ha impedito la costruzione delle piramidi, come l'insipienza circa la genetica non ha rallentato la procreazione. Le scienze dure hanno dimostrato che si può lavorare benissimo con oggetti "composti", a una condizione: la visibilità del controllo dei risultati.

Probabilmente questo è l'elemento sul quale la formazione psicologica dovrà ricercare di più. Se le skills sono capacità di fare un compito, la loro identificazione e osservazione va dunque legata a esso. Semmai il problema sarà quello di definire classi di compiti, al fine di evitare un behaviorismo ingenuo quanto anti-economico. Prendiamo l'esempio della guida automobilistica: quali sono le skills psicologiche che la riguardano? Possiamo ragionare scomponendo l'azione "guida" in elementi semplici come calma, sicurezza, equilibrio, prontezza, attenzione, destrezza. Poi dobbiamo chiederci quali capacità presiedono a ciascuno degli elementi suddetti e scopriremmo (forse) che la calma dipende dalla serenità, dal senso dell'humor, dalla pazienza, dal controllo dell'ansia, e così via. Il lavoro, come succede a molti autori, diventa un circolo vizioso. Se invece prendiamo il problema dei termini di risultato e diciamo che la capacità di guidare è la capacità di trasferirsi in auto da un luogo ad un altro, senza incidenti e senza trasgressioni di legge, allora forse abbiamo una centratura della formazione sulla visibilità del risultato anziché sulla visibilità delle cause.

Si può trasferire questo ragionamento anche alla formazione psicologica in senso stretto? Per esempio alla capacità di comunicare o di stare in gruppo? probabilmente ciò è possibile se riusciamo a trovare un paradigma consensuale sul vero senso dei termini "comunicazione" e "vita in gruppo".

Dire che un soggetto ha un livello pari a x di capacità di comunicare, dichiarando bene cosa intendiamo con tale termine, ci consente di progettare un'azione di formazione psicologica, il cui risultato osservabile sia x + y. Questo approccio ci consente di lavorare con - n - capacità operative, che rispondono alla condizione di operatività visibile.

2. Le skills per il XXI secolo

Le skills sono competenze operative specifiche, cioè abilità di realizzare un compito concreto, possiamo dire che ne esistono infinite, cioè tante quante sono le operazioni cui gli uomini sono quotidianamente chiamati per vivere e lavorare.

Naturalmente in questo libro ci limitiamo a occuparci di quelle skills che si identificano o contengono elementi psicologici vistosi. In senso ampio possiamo affermare che non esistono compiti estranei alla messa in gioco di competenze psicologiche in quanto la personalità con i suoi elementi strutturali e i suoi contenitori potenziali di conoscenze e abilità, è il soggetto stesso. Anche l'azione più semplice, ripetitiva, priva di complessità richiede motivazione, pazienza, attenzione.

Da una parte dunque abbiamo una dimensione infinita delle skills, per una infinità di ruoli e compiti da gestire. Dall'altra abbiamo una ridottissima cerchia di elementi (come i Big Five) che ci possono dare un'idea della struttura di personalità, ma mancano, per una eccessiva generalizzazione, di una utilizzabilità operativa. Ciò che può essere utile al lavoro del formatore è dunque un elenco di capacità psicologiche, relativamente basiche cioè non troppo composte, che possono essere considerate i "mattoni" comuni al maggior numero di ruoli e compiti possibili. Una simile lista potrebbe costituire il territorio di elezione della formazione psicologica.

Poiché le skills sono correlate ad azioni e compiti concreti, il primo assunto è che esse siano strettamente legate al contesto lavorativo e sociale. Per arrivare alle skills di base dobbiamo partire da una visione del lavoro e della società, in questo momento e in questo luogo. Il discorso dunque non può che procedere da un'analisi macrosociale e diacronica, che rende più plausibili le conclusione , ma che abbiamo già fatto altrove (6).

In questa sede ci limitiamo ad elencare comparativamente le skills di base, necessarie per vivere e lavorare, in tre diverse fasi storiche: la ricostruzione post-bellica (1945-1965), la Contestazione (1966-1980) e seguente decennio Yuppie (1981-1990), l'ultimo decennio del secolo (1991-2000).

I motivi della periodizzazione in tre fasi risulterà evidente dallo schema, in particolare nell'indicazione delle metafore della Società. Meno evidente è il motivo della unificazione del periodo della Contestazione e dei seguenti Anni di Piombo, con il decennio del rampantismo yuppie. Il motivo di questa vicinanza è che in termini di skills richieste nel periodo non sembrano esserci sostanziali distinzioni: la differenza fra i due periodi è stata soprattutto di ispirazione etica.

      1945-1965

      1966-1980 e 1981-1990

      1991-2000

      METAFORE DELLA SOCIETA'

      Piramide

      Frantumi Jungla

      Labirinto

      Strada

      Trincea Scalinata

      Arcipelago

      SKILLS DI BASE

      Adattamento

      Lotta

      Esplorazione

      Integrazione

      Immaginazione

      Differenziazione

      Dipendenza

      Controdipendenza o Indipendenza

      Interdipendenza

      Passato

      Presente

      Futuro

      Delega

      Partecipazione

      Negoziazione

      Esecuzione

      Intraprendenza

      Imprenditorialità

      Gestire organizzazioni

      Gestire territorio

      Gestire complessità

      Gestire razionalità

      Gestire emozioni

      Gestire possibilità

      Apprendere

      Criticare

      Apprendere ad apprendere

      Interventi su problemi

      Analisi problemi

      Prevenzione problemi

      Comando

      Terapia/Aiuto

      Formazione

       

       

       

       

La finestra presenta le skills di base comparando le tre fasi temporali, in modo che diventi più evidente la specificità del contesto attuale e, presumibilmente, futuro.

Vivere e lavorare nell'Epoca Post-Moderna, che altrove (7) ho definito come l'Età della Luce, richiede le capacità basiche indicate nella terza colonna. Esse, pur essendo evidentemente "composte", come molecole, presentano un sufficiente grado di visibilità da rendere oggetti precisi di intervento per la formazione psicologica. Naturalmente in sede formativa esse andranno specificate per i compiti e i ruoli diversi dei vari utenti.

La capacità chiamata "esplorazione" comprende numerose sfumature come le creatività, la curiosità, la ricerca e la sperimentazione, il rischio, tuttavia può essere osservata in termini di risultati formativi come comportamento digressivo e innovativo. Una situazione contestuale turbolenta, caotica, priva di ancoraggi in un sistema forte di pensiero, richiede di necessità negli esseri umani questa skills, per trovare strade nuove e diverse ai problemi.

La capacità di "differenziazione" implica capacità di distanza, pluriappartenenza, valorizzazione dei particolarismi, autonomia, ma è osservabile attraverso comportamenti di responsabilità, criticità e solitudine.

"Interdipendenza" è una capacità legata alla differenziazione ma anche alla relazionalità intersistemica: su può osservare dai comportamenti connessionistici e cooperativi.

La abilità di gestire la dimensione del "futuro" è correlata alla speranza, all'ottimismo, alla progettualità; ed è registrabile mediante comportamenti di pianificazione a lunga distanza. La capacità di "negoziazione" è l'attualizzazione concreta della interdipendenza: la stipulazione di patti articolati, diversi di volta in volta, flessibili e vantaggiosi per entrambi i contraenti, è la prova comportamentale della sua acquisizione.

La capacità "imprenditoriale" è certamente composta da una quantità di competenze semplici, tuttavia, presa come molecola, è osservabile mediante le intraprese e le iniziative concrete.

La capacità di "gestire la complessità" richiede capacità semplici come il controllo dell'ansia e della semplificazione, la sospensione del giudizio e la dilatazione delle gratificazioni, tuttavia essa è registrabile attraverso comportamenti di ruolo efficaci. La competenza nella "gestione delle possibilità" è collegata a quella imprenditoriale, a quella esplorativa, e alla capacità di gestire il futuro; è anche legata alla apertura e al rischio, ma è verificabile con la progettualità.

La capacità di "apprendere ad apprendere" è anch'essa composta, ma facile da controllare come esito della formazione: lo studio e la ricerca, l'avvio di una formazione continua, la ripresa di un iter interrotto, sono comportamenti visibili della acquisizione di questa skills. "Prevenire i problemi" è una capacità correlata al futuro, alla gestione della complessità e alla esplorazione, ma è osservabile attraverso i comportamenti anticipatori. Infine la capacità di "formazione" dei soggetti vicini, assai composita, si può verificare attraverso le azioni di crescita che il soggetto promuove verso le persone che lo circondano.

3. Le tecniche della formazione psicologica

La formazione psicologica si distingue dalle altre attività umane e sociali soprattutto per le tecniche che usa. In senso generale possiamo affermare che le tecniche in questione sono quelle tipiche della psicologia: la relazione, con i relativi dispositivi transazionali (interazione verbale, corpo, setting), e gli strumenti diagnostici di tipo proiettivo.

In senso specifico, possiamo attribuire alla formazione psicologica una particolare relazione e particolari strumenti che definisco col termine di "tecniche riflessive".

L'operatore impegnato in un'azione di formazione psicologica ricorre a tecniche relazionale, siano esse verbali, corporee o strutturali, o a strumenti, il cui obiettivo è la stimolazione e lo sviluppo della auto-riflessione dell'utente.

Dal momento che l'azione principale della formazione riguarda lo sviluppo delle skills psicologiche,

cioè di capacità limitrofe al mondo dell'utente, essa non può prescindere dalla sovranità dell'utente. Egli è il detentore del potere di accesso e trasformazione della propria soggettività: è insieme custode della soglia e sovrano del suo territorio psicologico. Non è questa la sede per ripercorrere la letteratura a sostegno della tesi che nessun cambiamento interno e stabile è possibile senza il consenso e la partecipazione del soggetto. Il formatore può sedurre, stimolare, provocare, invitare, suggerire, allestire un setting adeguato, ma non può in nessun caso imporre un cambiamento-apprendimento. Le tecniche della formazione psicologica sono dunque tutte quelle che riescono a far riflettere l'utente su di sé, sui problemi relativi all'apprendimento che costituisce l'obiettivo dell'azione formativa, e le risorse (personali e ambientali) per raggiungerlo.

Sono tecniche che attivano le risorse interne dell'utente fino a che riesce a sviluppare le sue capacità.

La "madre" di tutte le tecniche riflessive è il T-Group ideato da K.Lewin (8), quasi per caso. Il T-Group, aldilà del folclore misterico che da sempre lo circonda, resta "la più potente tecnica inventata dalle scienze sociali in questo secolo" (9). Esso consiste di pochi elementi essenziali:

  1. centratura sul gruppo
  2. centratura sul "qui e ora"
  3. ruolo non pedagogico del formatore.

Nel T-Group si realizza una totale identificazione fra il soggetto riflessivo (il gruppo in formazione) e l'oggetto della riflessione (ancora il gruppo in formazione), mediata dalla presenza attiva del formatore.

La compressione spazio-temporale (noi, qui e ora) accelera i processi intertransferali, mentre la particolare gestione del ruolo del formatore stimola quelli transferali "verticali" e la focalizzazione riflessiva.

Dalla formulazione classica del T-Group, essenzialmente verbale e priva di attività strutturale, ma arricchita da conferenze, sono discese, nei suoi quasi 50 anni di vita, numerose varianti ed evoluzioni: con esercitazioni attive di tipo verbale e simulativo; con azioni corporee o non verbali; con attività espressive; con azioni drammatiche strutturate (role-playing) o non strutturate (socio-dramma); a più gruppi paralleli e anche con grandi gruppi; col sussidio del videoregistratore o senza; con esperienze intensive e residenziali, o con incontri settimanali per lunghi periodi.

Qualsiasi configurazione assumano queste attività, esse si possono considerare evoluzione della tecnica formativa base nota col nome di T-Group, laddove siano presenti i tre elementi summenzionati.

La storia del T-Group lewiniano, inteso come tecnica di formazione psicologica, ha subito influenze e sviluppi che si possono ricondurre a J.Moreno, per gli aspetti teatrali; alla bioenergetica di A.Lowen e la Gestalt di F.Perls e di Esalen, per le attività corporee; alla psicosintesi di R.Assagioli, per le esercitazioni immaginative; al lavoro di Tavistock Institute, per le esperienze formative con più gruppi paralleli; al gruppo di La Jolla, per i giochi psicologici.

In termini di modelli interpretativi il T-Group è una tecnica talmente plastica da poter essere condotto facendo ricorso a quasi tutte le teorie psicologiche: dalla psicosociologia lewiniana alla psicoanalisi, dal cognitivismo al behaviorismo, dalla psicologia umanistica a quella rogersiana; dall'Analisi Transazionale alla Pragmatica.

La plasticità di lettura e d'uso del T-Group è il carattere più evidente della sua "potenza", e la ragione della sua posizione centrale fra le tecniche della formazione psicologica di gruppo, che oggi vengono più spesso definite come "autocentrate".

Una seconda categoria di tecniche riflessive è quella che risale al metodo Balint (10) per la formazione dei medici. Tale metodo si configura come "in" gruppo nel senso che l'insieme degli utenti è considerato e trattato non come attore del processo formativo ma come scenario, contenitore, sussidio. Questi gruppi di formazione non sono centrati sul "noi, qui e ora", bensì sulla analisi delle emozioni e delle relazioni "là e allora". Gli utenti, per Balint medici, vengono stimolati a rivivere e analizzare i loro vissuti relativi a situazioni esterne al gruppo di formazione. Dopo Balint, la tecnica è stata usata con altre professioni e si è molto sviluppata in quella attività formativa che è più nota col nome di "supervisione", perché viene utilizzata con utenti già in posizione lavorativa. Qui esiste il principio della riflessività perché l'utente è chiamato a riflettere di sé, ma non quello della autocentratura. I gruppi di Balint possono essere considerati in parte etero-centrati, nel senso che il loro focus è diverso (etero) dalla situazione formativa.

Una tecnica intermediaria fra il T-Group e i gruppi Balint e quella proposta da P.Lai (11) col nome di "gruppi di apprendimento". In questi gruppi il focus è alternativamente o simultaneamente sulle relazioni dei partecipanti fra loro e con i loro utenti esterni al gruppo. i gruppi di apprendimento oscillano fra la centratura "noi, qui e ora" e quella "io, là e allora".

E.Schein (12) ha proposto una tecnica riflessiva chiamata "consulenza dei processi", che punta all'apprendimento mediante interventi riflessivi operati dal formatore all'interno di gruppo operativi reali. La "process consultation" si colloca a metà fra la formazione/supervisione e la consulenza, e si configura sia come "auto" che come "eterocentrata". Schein insiste spesso sulla sua assoluta estraneità ai contenuti del lavoro del gruppo, il che definisce la sua tecnica come riflessiva, cioè tipica della formazione psicologica.

ARIPS (13) ha messo a punto una tecnica chiamata "gruppi AE", che sta per gruppi auto-eterocentrati, come una evoluzione del lavoro di Lai e di Schein. I gruppi AE (v.7.7) hanno la caratteristica di mescolare una centratura sul presente, sul gruppo e sui vissuti, con una sul futuro, sui singoli e sui contenuti. Tale tecnica è in parte riflessiva e in parte legata ai contenuti, il che spiega perché il suo uso sia riservato a situazioni di formazione dirette a utenti che devono apprendere tecniche psicologiche (psicologi, psichiatri, operatori sociali).

In conclusione, possiamo catalogare le tecniche riflessive in base alle diverse centrature degli elementi basici che le caratterizzano: tempo, spazio, attore e focus. Quanto più l'azione formativa presenta elementi della colonna di destra, tanto più possiamo parlare di tecniche riflessive etero-centrate, nel senso che soggetto e oggetto del processo di apprendimento si divaricano. Ove la divaricazione fosse eccessiva o totale, non saremmo più nel campo della formazione delle skills psicologiche.

Dimensioni

Gruppo Auto centrato

Gruppo Etero centrato

Tempo

Presente

Passato

Spazio

Qui, interno

Là, esterno

Attore

Il gruppo

Il singolo

Focus

Vissuti

Procedure/contenuti

L'utilità di questa tassonomia risiede nella sua funzione di riferimento sia per la progettazione ((macro e micro), sia per il contratto formativo, sia per la gestione del ruolo formatore.

Solo se il campo dell'azione e del contratto è definito con precisione, il formatore dispone di un orientamento per le diagnosi e per gli interventi. Per esempio, solo avendo precisato con chiarezza che sta usando un "gruppo autocentrato", cioè un derivato dal T-group, il formatore potrà facilmente diagnosticare come "difesa" il ripetuto richiamo di un utente alla sua situazione lavorativa esterna. Al contrario, potrà considerare difensivo un ricorso eccessivo alla espressione di vissuti sul "qui ed ora", all'interno di un gruppo AE o di consulenza dei processi. Da questi ragionamenti risulta chiaro che le tecniche più facili sia per il formatore che per gli utenti sono quelle "pure", come il T-Group o i gruppi Balint, in quanto consentono meglio di definire i confini del lavoro. Purtroppo, le tecniche allo stato puro sono raramente applicabili nei contesti formativi.

4. Il mercato della formazione psicologica

La domanda, esplicita o implicita, di formazione psicologica è destinata a diventare uno dei fenomeni più cospicui del XXI secolo.

La svolta del secondo millennio presenta un tale sconvolgimento economico, politico e culturale da costringere milioni di uomini e di sistemi organizzati a operare mutamenti radicali. Diversi contesti, nuovi problemi, soluzioni inusitate richiedono nuovi modi di relazione e organizzazione, sia a livello privato sia a livello lavorativo, e questi portano l'esigenza di nuove skills.

La questione non riguarda solo il mondo del lavoro, solitamente il primo a stimolare il mercato della formazione, ma anche l'area della famiglia, della scuola, della cittadinanza e del tempo libero.

La famiglia sembra avviata verso un processo di irreversibile trasformazione. Dalla famiglia allargata del mondo agricolo preindustriale, alla famiglia nucleare tipica del mondo industriale, si è giunti ora alla famiglia differenziata: monoparentale o plurimatrimoniale. La classica famiglia a 3/4 membri (padre, madre, 1/2 figli) cui siamo abituati a pensare, è negli USA declinata ben al di sotto del 50%. La maggioranza delle famiglie oggi è composta da una madre con uno o più figli, magari di diversi uomini, oppure da due coniugi con figli di unioni precedenti. Senza contare i casi, in aumento, di figli con due madri (quella legale e quella naturale in affitto), oppure con genitori dello stesso sesso. Queste trasformazioni nel cuore della struttura considerata centrale per la società, da parecchi secoli, non può non richiedere un cambiamento sensibile nelle capacità di gestione dei ruoli parentali, filiali e fraterni. Sempre più milioni di esseri umani dovranno imparare nuovi atteggiamenti e comportamenti per gestire in una situazione storicamente nuova il loro ruolo di genitore, di figlio e di fratello. Qualcuno potrebbe domandare perché un cambiamento nella famiglia dovrebbe aumentare la domanda formativa, quando ciò non è stato necessario a fronte dei precedenti stadi di evoluzione. La società occidentale è passata dalla famiglia contadina allargata a quella urbana nucleare, senza dover ricorrere alla formazione.

Le risposte sono due. La prima è che il tasso di accelerazione è vistosamente aumentato: i cambiamenti strutturali sono sempre più veloci, mentre quelli individuali e culturali sono lenti. Il passaggio dalla famiglia allargata a quella nucleare è avvenuto nell'arco di quasi due secoli. Il passaggio dalla famiglia nucleare a quella differenziata è avvenuto in 50 anni. Questa forbice temporale rende i soggetti spiazzati rispetto alle situazioni di contesto.

La seconda risposta è che il sistema sociale e produttivo occidentale si è frantumato. Ogni sub-sistema si è specializzato e autonomizzato, al punto che opera con relazioni negoziali occasionali, ma senza un contenitore che produca integrazione.

In termini di comportamenti concreti, ciò significa che i deficit educativi e affettivi che presentava la famiglia allargata o nucleare potevano essere compensati da altre strutture (la Chiesa, il Partito, la Fabbrica, il Paese) stabilmente correlate fra loro e integrate da una società integrata che fungeva da contenitore. La frantumazione dell'Occidente ha isolato i sub-sistemi, obbligando i soggetti a dotarsi di risorse individuali per passare da un'isola all'altra dell'arcipelago sociale (famiglia, scuola, lavoro, tempo libero).

La scuola è fra i sub-sistemi sociali, il più stabile, il più tradizionale e dunque il più obsoleto. In tutti i Paesi occidentali si pone oggi il problema della scuola: una istituzione ancorata alla vecchia cultura industriale, di fronte ad uno scenario sempre più post-industriale. Non è questa la sede per addentrarci nel problema, ma basta segnalare che in Italia ci sono circa 11 milioni di studenti e 1 milione di operatori che devono acquisire skills nuove e diverse rispetto a 30 anni orsono. Le capacità psicologiche necessarie a insegnanti e allievi che sono chiamati a entrare nel XXI secolo, in modo libero, attivo e pregno di senso, sono oggi quasi del tutto trascurate, ma non potranno esserlo ancora a lungo, pena la fine della funzione sociale dell'istituzione scolastica.

La cittadinanza è la terza area del futuro mercato della formazione psicologica. La convivenza civica in sistemi complessi , negoziali e multietnici richiede l'arricchimento delle capacità psicologiche di milioni di cittadini. Che ciò avvenga nella scuola oppure, cosa più probabile, nella formazione permanente, poco importa. Resta il fatto che i cittadini devono imparare a vivere in spazi politico-amministrativi autonomi; a muoversi attraverso strumenti e procedure di complessità crescente; a partecipare, in ruoli diversi, a processi negoziali multipli; a convive con etnie, religioni, culture diverse quando non antagoniste. Il prezzo che le società occidentali pagheranno se non saranno capaci di diffondere e sviluppare le capacità psicologiche necessarie alla nuova cittadinanza, sarà inevitabilmente un degrado autoritario della forma democratica degli Stati Uniti.

La quarta area del mercato della formazione psicologica riguarda il tempo libero. La diminuzione delle ore lavorative e la estensione delle aspettative di vita stanno producendo, per la prima volta nella storia, un allargamento smisurato del tempo non occupato.

Questo tempo ritrovato può diventare una ricchezza economica e un elemento centrale della qualità della vita, oppure un acceleratore del degrado sociale e un incentivatore delle pulsioni auto-distruttive dei singoli. La differenza fra i due destini è data appunto dalla diffusione di nuove capacità psicologiche, che riguardano l'esplorazione, l'uso di linguaggi espressivi multipli, l'estetica, la socialità e la salute.

Naturalmente l'area del lavoro manterrà la sua centralità nel mercato della formazione psicologica, se non altro per la sua interdipendenza col sistema economico.

Anche in questo campo occorrerebbe dar conto dello scenario e dei trends che influenzeranno le organizzazioni produttive nel prossimo secolo. Basta ricordare i segnali già ora evidenti:

  • internazionalizzazione
  • decentralizzazione e autonomizzazione
  • configurazione reticolare
  • diminuzione dei livelli gerarchici
  • centratura sul cliente
  • nascita di nuove funzioni e professioni
  • forte mobilità inter-aziendale.

Questi mutamenti organizzativi richiedono nelle risorse umane comportamenti del tutto diversi da quelli imposti dal sistema industriale classico. La società produttiva post-industriale sarà centrata sul futuro, sulle relazioni inter-umane, sull'autonomia e sulla creatività; laddove quella industriale valorizzava la tradizione, la spersonalizzazione, la dipendenza e la ripetizione. Da un'epoca in cui ha dominato la funzione assistenziale e terapeutica, dovute a una concezione dell'uomo come impotente e da omologare, stiamo entrando in un'era in cui prevarrà una concezione promozionale e formativa, fondate su un'idea di uomo come potenziale e come autonoma differenza.

La formazione psicologica dovrà aiutare milioni di lavoratori e migliaia di organizzazioni produttive a completare una trasformazione già oggi in vista. La società frammentata ritroverà la sua identità e il pensiero forte di cui ha necessità, sviluppando le risorse umane nella direzione delle skills indicate nelle pagine precedenti (1.2). Le tipologie umane che il mondo produttivo vedrà prevalere saranno di tre tipi: i gestori, gli esploratori, i relazionisti.

I gestori dovranno imparare a intravedere le possibilità, pianificare, intraprendere, prevenire i problemi, governare la complessità. Gli esploratori dovranno saper rischiare, valorizzare le diversità, ricercare. I relazionisti saranno chiamati a gestire le connessioni e le interdipendenze, negoziare e promuovere le risorse umane loro affidate.

Dovendo delineare il mercato emergente della formazione psicologica, dobbiamo dedicare qualche riflessione al rapporto fra questa pratica e quella terapeutica.

Va anzitutto affermato con decisione che la formazione psicologica non è sovrapponibile alla psicoterapia. Il formatore non è un terapeuta, né questi può essere un formatore: si tratta di due mestieri, due ambiti teorici e metodologici, due mercati differenti e separati. Pur appartenendo alla psicologia e pur essendo centrata sulla trasformazione di parti del mondo interno, la formazione psicologica non ha come obiettivo né il sostegno, né l'aiuto, né tantomeno la guarigione. Essa si propone l'incremento di conoscenze e di capacità psicologiche a partire da una domanda di sviluppo, fatta da utenti che nn sono o nn si considerano bisognosi di eliminare un disagio personale. In questi ultimi due decenni, soprattutto da fonte statunitense, si è diffuso l'equivoco che la psicoterapia fosse sovrapponibile alla formazione. Un equivoco alimentato prima dalla psicoanalisi, che a volte si presenta come terapia, a volte come ricerca esistenziale.

Poi dalla psicologia umanistica, che attraverso i concetti di "crescita" e "incontro" ha fatto passare l'equivalenza fra terapia, formazione e cocktail parties.

Più recentemente l'equivoco è stato alimentato dai transazionalisti (A.T.), dai pragmatisti (Palo Alto) e dagli psiconeurolinguisti (PNL), i quali hanno esteso a ogni campo le loro teorie semantiche, facili e divulgative.

Il motivo principale di questa "colonizzazione" si radica nello straordinario potere della corporazione terapeutica negli USA, che ha dominato il dopoguerra con un processo di medicalizzazione estesissimo. Un secondo motivo si può ritrovare nel fatto che molti paradigmi nati nel mondo terapeutico sono in realtà insufficienti e spesso inadatti a effettive pratiche terapeutiche. Migliaia di operatori si sono formati come rogersiani, nell'A.T., nella Pragmatica, nella PNL, nello Psicodramma, nell'Analisi Immaginativa per poi scoprire che queste conoscenze non potevano essere, se non in piccola parte, utilizzate in contesti terapeutici reali, né pubblici né privati.

Il che li ha spinti a cercare di utilizzarle in contesti formativi o addirittura ricreativi. In realtà la professione della psicoterapia e la professione della formazione psicologica vanno ben oltre l'acquisizione di un paradigma psicologico, sia pure interessante. Entrambe richiedono una formazione psicologica personale, ma soprattutto una serie di procedure metodologiche e di tecniche che possono essere acquisite solo attraverso una specifica formazione professionale. Per fare formazione psicologica, come per fare psicoterapia, occorre possedere, oltre a un training personale relativo a particolari skills, almeno tre livelli di teoria: euristico, semantico e pragmatico (14). Cioè un sapere perché, un saper dire e un saper come si fa. Solo la psicoanalisi coi suoi derivati e il behaviorismo nel campo terapeutico, e la psicosociologia nel campo formativo sono paradigmi che contengono tutti e tre i livelli teorici. E solo la psicoanalisi e la psicosociologia dispongono anche di un solido concetto di training personale. Oltre a sottolineare che le pratiche terapeutica e formativa sono separate e differenti, possiamo dunque affermare che così come per gli psicoterapeuti professionali occorre una formazione specifica, psicoanalitica o behavioristica, così per i formatori delle skills necessita una specifica formazione psicosociale.

5. Note bibliografiche

  1. Agnoli F. "LE PAROLE DELLA PSICOLOGIA. DUE TERMINI IN INGLESE, UNO SOLO IN ITALIANO? Su Giornale Italiano di Psicologia, vol. XVII, n. 4 dic. 90
  2. Matte Blanco I. "L'INCONSCIO COME INSIEMI INFINITI" Einaudi, Torino, 81
  3. De Cataldo L., Gullotta G. "SAPERSI ESPRIMERE", Giuffrè ed. Milano, 91
  4. Cocco G.C. "IPERMANAGGING", F.Angeli, Milano, 93
  5. Caprara G.V., Perugini M. "L'APPROCCIO PSICOLESSICALE E L'EMERGENZA DEI BIG FIVE NELLO STUDIO DELLA PERSONALITA'" su Giornale Italiano di Psicologia, vol. XVIII, n.5, dic. 91
  6. Cfr. Contessa G. "SKILLS PER IL TERZO MILLENNIO" su Impresa e Società, anno XVIII, n. 6, marzo 87
  7. Cfr. Contessa G. "DALL'ETA' DI VULCANO ALL'ETA' DELLA LUCE", Clup, Milano, 92
  8. AA.VV. "T-GROUP", Clup, Milano, 87
  9. Rogers C. "INTERPERSONAL RELATIONSHIP USA" su Journal of Applied Behavioral Science, 3, 68
  10. Sapir M. "LA FORMAZIONE PSICOLOGICA DEL MEDICO" Etaslibri, Milano, 75
  11. Lai G.P. "GRUPPI DI APPRENDIMENTO" Boringhieri, Torino, 73
  12. Schein E. "LA CONSULENZA E LO SVILUPPO ORGANIZZATIVO" Etas Kompass, Milano, 72
  13. Contessa G. "UN NUOVO SVILUPPO ALLE TECNICHE DI GRUPPO IN FORMAZIONE: I GRUPPI AE" in La Società trasparente, Atti XIX Congresso psicologi italiani, ed. SIPS, Bo, 81
  14. Sui problemi di classificazione della teoria cfr. Contessa G. "LA FORMAZIONE" CittàStudi, Milano, 93
Ulteriore pubblicazione sul tema: cfr. Contessa G. "COMPETENZE E FORMAZIONE", 2000, Ed.ARCIPELAGO