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Per una economia capace di felicità
Spunti di riflessione e provocazioni teoriche
(Luigino Bruni / Università di Milano-Bicocca)
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Non vi è felicità senza gli altri (T. Todorov)
Il puro uomo economico è in effetti assai vicino all’idiota sociale (A. Sen)

INTRODUZIONE

Che la felicità sia tornata tra gli interessi degli economisti è ormai un fatto. Si susseguono pubblicazioni, convegni, dibattiti anche su quotidiani e riviste non specialistiche, che mostrano che il rapporto tra la vita economica e la felicità sta uscendo dagli ambienti accademici per entrare nel vivo della scena.
Questo ritorno della felicità in economia è dovuto all’emergere di un fatto nuovo e per certi versi paradossale. Anche gli economisti hanno sempre saputo che la ricchezza non fa di per sé la felicità. L’ipotesi che comunque sottostava alle loro analisi era che l’aumento della ricchezza, o del benessere economico, anche se non sempre portava ad un “proporzionale” aumento di felicità, non portasse comunque ad una diminuzione.
Per questo l’economia si è potuta legittimamente ritagliare un ambito meno complesso della felicità: la ricchezza o il benessere (economico), con la consapevolezza però che gran parte della felicità delle persone dipendeva da fattori non economici, in particolare dalla vita relazionale e affettiva, che non transitava per il mercato.
In questa breve nota cercherò di rispondere alle seguenti domande:
a) perché l’economia non può evitare di fare i conti con il tema della felicità
b) esiste una spiegazione convincente del “paradosso” della felicità?
c) Quali sono i vantaggi di una riconsiderazione della felicità in economia?

Vedremo come il tema della fiducia, e più in generale il ruolo dei rapporti interpersonali genuini e non strumentali, sia la variabile attorno a cui ruota l’intero discorso di questo scritto.

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