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Psicologia della superstizione
Perché si mantengono i comportamenti inutili?
di Alessandro Zocchi
(Fonte)

Perché si mantengono e si perpetuano i comportamenti inutili?

Molte persone sono superstiziose e lo sono indipendentemente dalla loro cultura, razza, etnia, classe sociale o professionale. Ritroviamo le superstizioni in tutte le popolazioni del mondo e in una grande varietà di forme.

Ma cos’è esattamente una superstizione? In generale si può dire che è ogni atto al quale si attribuisce il potere, misterioso e irrazionale, di favorire un evento positivo o di scongiurarne uno negativo. Toccare ferro, indossare un indumento particolare o portare con se un oggetto porta fortuna sono solo alcune tra le centinaia di superstizioni che l’uomo ha inventato.

Tuttavia, dato che adottare comportamenti superstiziosi non è sempre efficace, si tende a pensare che ci sia una qualche forza occulta che governa gli eventi. Osservando i fatti però si comprende che il gesto superstizioso non è la causa di ciò che accade ed il buon senso dovrebbe suggerirci di smettere di praticarlo. Al contrario, si preferisce insistere, nella speranza di propiziarci le forze occulte.

Questa caratteristica umana ha incuriosito non pochi studiosi del comportamento, i quali vedono una contraddizione insita in un atteggiamento che l’uomo tende a mantenere ma che risulta, secondo la ragione, del tutto inutile. Alcuni ricercatori hanno voluto quindi studiare più approfonditamente questo fenomeno, scoprendo cose sorprendenti.

Il modo in cui questo problema viene affrontato scientificamente implica una descrizione più oggettiva della superstizione.

Quando adottiamo un comportamento superstizioso ci aspettiamo che il nostro atto influenzi gli eventi futuri. In realtà, questo accade di rado e la statistica ce lo dimostra. Di conseguenza, la relazione tra superstizione ed evento atteso è del tutto casuale. Infatti, ad esempio, ci possono capitare diverse disgrazie ma solo ben poche saranno precedute da un gatto nero che ci traversa la strada. L’evento sarà quindi imprevedibile, ma potremo considerarlo legato al tempo, nel senso che non sapremo perché accade ma sapremo che prima o poi accadrà.

Il contesto della superstizione è quindi composto da due elementi indipendenti: da una parte c’è la persona che ripete lo stesso atto, dall’altra c’è l’evento atteso il quale si verifica un certo numero di volte, alcune delle quali saranno coincidenti con il gesto superstizioso. Queste poche volte saranno scambiate come prova dell’esistenza di una relazione di causa-effetto.

Sembra esserci quindi un errore di valutazione, anzi un errore in quel processo di apprendimento che normalmente ci fa trovare le vere relazioni di causa-effetto nella realtà che ci circonda.

Come mai si verifica questo fenomeno? Una prima domanda a cui gli studiosi del comportamento hanno cercato di rispondere è stata quella di capire se la superstizione avesse radici profonde nell’evoluzione delle specie animali. In pratica si sono chiesti se anche gli animali potessero essere superstiziosi.

B. F. Skinner era uno psicologo americano vissuto il secolo scorso e che scoprì una fondamentale forma di apprendimento: il condizionamento operante. Questo processo implica che un animale si deve rendere conto che una sua particolare azione viene seguita da un evento. Se questo evento è per l’animale gratificante esso tenderà a ripetere il comportamento che lo ha provocato. Skinner progettò delle gabbie, oggi conosciute dagli specialisti come gabbie di Skinner, con una leva la quale, una volta premuta faceva scattere un dispensatore di cibo. Essendo il cibo una ricompensa ben gradita, gli animali imparavano velocemente il trucco e passavano molto tempo a premere la leva.

Nel 1948 Skinner fece un particolare esperimento i cui risultati furono pubblicati sul Journal of Experimental Psychology. Questo articolo era destinato a divenire un classico nella letteratura psicologica ed etologica e meritò la ripubblicazione sulla stessa rivista nel 1992, per celebrare i 100 anni dell’ American Psychological Association. Il titolo, tradotto, è: "Superstizione nel piccione".

Skinner mise un piccione all’interno di una delle sue gabbie. Questa volta però il dispensatore non era più collegato alla leva ma solo ad un meccanismo a tempo. Il cibo veniva quindi somministrato a intervalli prestabiliti indipendentemente da quello che faceva il piccione. Di conseguenza, l’uccello avrebbe potuto restare tranquillo ed aspettare l’arrivo del cibo. Cosa fece invece il piccione?

L’uccello cominciò a ripetere il comportamento che, in maniera del tutto casuale, stava facendo l’attimo prima che arrivasse il cibo. Sottoponendo diversi piccioni allo stesso esperimento, Skinner ottenne un individuo che girava su se stesso, uno che allungava il collo verso un angolo della gabbia, un altro che tirava su la testa con uno scatto, uno che sembrava spazzolare con il becco l’aria sopra il fondo della gabbia e due che dondolavano la testa. Skinner sapeva che l’arrivo del cibo dipendeva solo dal tempo ma il piccione no, ed aveva associato erroneamente l’arrivo del cibo ad un qualche suo movimento. Questo comportamento non era evidentemente la vera causa dell’evento voluto e infatti non era efficace nella maggioranza delle occasioni. Tuttavia l’animale insisteva nel ripeterlo. Si trattava di un comportamento superstizioso a tutti gli effetti.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché Skinner utilizzò proprio i piccioni. Ebbene tutto risale al periodo in cui Skinner lavorava per i militari. Il suo compito era quello di provare ad insegnare ad un animale a pilotare un missile verso il bersaglio. L’animale doveva restare all’interno di una speciale camera e rispondere ad alcuni stimoli che avrebbero guidato il missile (l’animale sarebbe stato un involontario kamikaze). Il piccione fu scelto perchè considerato l’animale più adatto ad una simile impresa. Per fortuna del piccione, questa tecnica non fu mai applicata perchè i militari si affidarono di più all’elettronica, ma Skinner continuò gli esperimenti e fu l’inizio dei suoi studi sull’apprendimento.

Con l’esperimento sui piccioni Skinner dimostrò che anche tra gli animali potevano svilupparsi comportamenti superstiziosi. Tuttavia, i piccioni sono uccelli e quindi con un cervello ben diverso da quello dell’uomo. È possibile che altri animali, evolutivamente più vicini a noi, possano essere superstiziosi?

Due ricercatori dell’Università dell’Oklahoma, L. D. Devenport e F. A. Holloway, hanno studiato a questo proposito dei mammiferi come noi: i ratti. Anche in questo caso gli animali furono messi in una gabbia con un dispensatore di cibo a tempo ma questa volta i ricercatori osservarono che nella maggioranza dei ratti non emersero comportamenti apparentemente legati alla somministrazione di cibo. Questo esperimento indicava di conseguenza che i ratti non si autoingannavano, imparando una falsa associazione tra un loro comportamento e l’arrivo del cibo. Devenport e Holloway, stimolati da questo risultato, si chiesero che cosa potesse avere di particolare il cervello di un mammifero tale da rendere i ratti immuni dalle superstizioni. La loro attenzione cadde su un’area cerebrale particolare che viene chiamata "ippocampo" perchè, nell’uomo, la sua forma richiama vagamente quella del cavalluccio marino. Secondo molte ricerche, questa struttura risulta coinvolta nei processi di apprendimento e memoria e potrebbe essere determinante nel cogliere le vere relazioni di causa-effetto. Per verificare questa ipotesi, i due ricercatori decisero di sottoporre al test fatto da Skinner sui piccioni, dei ratti in cui l’ippocampo era stato inattivato attraverso degli elettrodi. Tutti gli animali così trattati iniziarono a ripetere dei comportamenti che erano associati solo temporalmente alla somministrazione del cibo. Che questi comportamenti fossero definibili come superstiziosi e non dovuti ad un qualche deficit psicomotorio causato dalla lesione all’ippocampo era dimostrato da un altro esperimento. Se gli stessi animali venivano testati per il condizionamento operante, imparavano con facilità l’associazione indicando che la lesione non aveva compromesso le capacità di apprendere.

Devenport e Holloway suggerirono in conclusione che l’evoluzione poteva aver fornito il cervello dei mammiferi di una sorta di protezione dalla propensione di attribuire troppo facilmente relazioni causali. Questa protezione verrebbe effettuata dall’ippocampo.

È interessante notare che qualcuno ha voluto andare a vedere cosa poteva succedere all’interno dell’ippocampo di un ratto durante un condizionamento operante. M. Orsetti e collaboratori delle Università di Torino e di Firenze hanno utilizzato una particolare tecnica, detta di microdialisi cerebrale, per misurare le variazioni dei livelli di acetilcolina nell’ippocampo durante un test nella gabbia di Skinner. L’acetilcolina è un neurotrasmettitore la cui funzione, tra le altre, sembra essere quella di permettere la comunicazione tra quei neuroni particolarmente coinvolti nell’apprendimento. I ricercatori italiani hanno osservato che, nel momento in cui gli animali comprendono la relazione tra l’azione sulla leva e l’arrivo del cibo, i livelli di acetilcolina si elevano notevolmente. Inoltre tale effetto non avveniva più nelle successive sessioni sperimentali, quando gli animali dovevano solo ricordare un fenomeno ormai appreso. Era chiaro quindi che l’elevazione di acetilcolina nell’ippocampo poteva essere messa in relazione con il momento della comprensione di una relazione di causa-effetto.

Nell’uomo l’ippocampo è un’area ben sviluppata e P. Brugger e collaboratori del Dipartimento di Psichiatria del Medical Center di San Diego, USA e del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Victoria, Canada, hanno ipotizzato degli interessanti collegamenti tra quest’area ed i comportamenti superstiziosi. Un eccessivo sviluppo del credere nelle superstizioni e nei fenomeni paranormali così come uno smisurato interesse per gli argomenti mistici sembrano essere un tratto comune a molte persone che soffrono di crisi epilettiche nel sistema limbico, un insieme di strutture cerebrali di cui l’ippocampo fa parte. Quando si parla di epilessia, in genere si pensa a qualcuno che cade a terra in preda a violente contrazioni del corpo. Questo accade perché un’area del cervello inizia ad avere una serie incontrollata di scariche neuronali che si propaga velocemente a tutto il resto del cervello. In alcuni casi, il comportamento anomalo dei neuroni resta confinato ad un’area ristretta provocando una modificazione delle funzioni di quell’area, come nel caso dell’epilessia dell’ippocampo.

Brugger e collaboratori hanno proposto che lievi attività neuronali anormali potrebbero capitare occasionalmente ad alcune persone altrimenti normali, causando quell’eccesso di credenza nell’irrazionale sperimentato nella vita di tutti i giorni.

A sostegno di questa ipotesi Brugger e collaboratori riportano alcuni studi effettuati su persone che affermano di possedere capacità paranormali. Questi individui, pur non avendo evidenti problemi neurologici o psichiatrici, presentavano delle anomalie nell’elettroencefalogramma del lobo temporale (area connessa all’ippocampo) ed una scarsa prestazione in test neuropsicologici che valutano la funzionalità di quest’area.

Come nel caso dei ratti "superstiziosi", anche in queste persone è possibile ipotizzare che, in caso di un limitato malfunzionamento dell’ippocampo, si crei una tendenza ad associare facilmente un evento esterno ad un particolare comportamento. In questo modo si sarebbe trovata una base biologica del credere all’irrazionale comune agli animali e agli uomini.

Ci si potrebbe chiedere a questo punto che cosa potrebbe fare un uomo in una gabbia simile a quella usata da Skinner per i piccioni. Quest’esperimento potrebbe confermare, o smentire, la somiglianza tra i comportamenti superstiziosi degli animali e degli uomini.

Per quanto bizzarra questa idea possa sembrare c’è qualcuno che l’ha realizzata. Koichi Ono dell’Università Konazawa di Tokio, preparò una stanza con un tavolo sul quale erano fissate tre leve. Sulla parete di fronte al tavolo c’era un contatore collegato ad un computer programmato per farlo scattare ad intervalli prestabiliti. Un certo numero di studenti universitari furono reclutati volontariamente e parteciparono individualmente ad un esperimento di 40 minuti. Il ricercatore informò gli studenti che dovevano cercare di guadagnare più punti possibile, senza dirgli come. Nessuna azione degli studenti poteva in alcun modo attivare il contatore, ma loro non lo sapevano. Ben presto, in molti studenti emersero diversi comportamenti superstiziosi. La maggioranza di queste azioni coinvolgevano le leve, le quali venivano tirate in modi e sequenze diverse. Ogni sequenza veniva riprovata solo se il contatore scattava alla fine di essa. Alcuni studenti pensarono che le leve non avevano niente a che fare con i punti (e infatti era così) e cominciarono ad effettuare i piùstrani comportamenti come arrampicarsi sul tavolo, picchiare sul muro, sul contatore o saltare ripetutamente fino a toccare il soffitto.

L’esperimento di Ono ha mostrato chiaramente che l’uomo può sviluppare comportamenti superstiziosi così come fanno gli animali. Nonostante la presunta protezione dell’ippocampo, è un dato di fatto che molte persone continuano a credere in qualcosa di irrazionale. Gli studi sugli animali hanno evidenziato che questo atteggiamento ha avuto una lunga storia biologica e se si è conservato durante l’evoluzione per giungere fino a noi, deve aver avuto una qualche importanza adattativa. E questa è infatti l’ipotesi proposta da Danilo Mainardi nel suo ultimo libro "L’animale irrazionale". Il noto etologo sostiene che la capacità del credere nell’irrazionale sia stata, e lo è tuttora, un vantaggio per la sopravvivenza della specie umana. Il pensiero razionale ha portato l’uomo ad indagare e svelare cose incredibili sull’universo intero ma allo stesso tempo lo ha anche messo di fronte alla caducità delle cose umane, contro la quale non c’è razionalità che possa aiutare. Per Mainardi essere irrazionali, nella giusta misura, può essere un modo efficiente per affrontare meglio una vita preoccupantemente transitoria.

Bibliografia

Devenport L.D., "Superstitious bar Pressing in Hippocampal and Septal Rats". Science, Vol. 205, pp. 721-723, 1979.

Devenport L.D. and Holloway F.A., "The Rat’s Resistence to Superstition: Role of the Hippocampus". J. Comp. Physiol. Psychol. Vol. 94, pp. 691-705. 1980.

Mainardi D. L’animale irrazionale. Mondadori 2000.

Ono K., "Superstitious behavior in humans". J. Exp. Anal. Behav. Vol. 47, pp. 261-271, 1987.

Orsetti M., Casamenti F., Pepeu., G., "Enhanced Acetylcholine Release in the Hippocampus and Cortex During Acquisition of an Operant Behavior". Brain Res. Vol. 724, pp. 89-96, 1996.

Skinner B. F. "Superstition in the pigeon". J. Ex. Psychol., Vol. 121, No. 3, pp. 273-274, 1992.

Vyse S. A., Believing in Magic: The Psychology of Superstition. Oxford Univ Press 1997.

Tratto da Scienza & Paranormale n. 40