Cosa determina la qualità di un percorso formativo? E' un
quesito importante a cui tutti gli addetti ai lavori ed i loro utenti
potenziali e reali dovrebbero rispondere. Riguarda l'etica professionale
oltre che questioni di "mercato". Forse, però, non
esiste un'unica risposta dato che le variabili interessate sono numerose
e le connessioni fra esse producono risultati differenti.
Il problema si è fatto più urgente da quando lo Stato
ha legiferato in merito, determinando cosa costituisce la qualità
degli "organismi" che si occupano di formazione e delle
loro proposte. La procedura non è obbligatoria, ma solo chi
vi sottostà può garantire il conseguimento dei crediti
richiesti annualmente a coloro che lavorano nell'ambito socio-sanitario.
Si tratta della formazione continua necessaria per mantenersi aggiornati
(ed anche per conservare il proprio posto di lavoro).
Un'iniziativa lodevole da molti punti di vista, si potrebbe affermare,
se non fosse che ciò che viene richiesto per l'accreditamento
non riguarda l'aspetto sostanziale ma piuttosto quello formale-burocratico.
Per esempio la definizione del concetto di "formazione",
non pare essere ritenuta elemento di rilievo: esso è inteso
nella forma più estesa ed omnicomprensiva riferendosi a qualsiasi
situazione "intenzionale" collegata ad una qualche forma
di apprendimento. Che si imparino i rudimenti della scrittura o come
aiutare un paziente terminale a "ben morire", sempre di
formazione si tratta! Non si evidenzia la necessità di processi
differenti in rapporto ad obiettivi differenti. Come non pare necessario
predisporre strumenti e metodologie diverse per misurare l'apprendimento:
può bastare un "questionario pre e post per la valutazione
delle conoscenze composto da 30 domande con 5 risposte a scelta multipla
da somministrare in ingresso e uscita del corso" (Scheda descrittiva
di modulo formativo ISS "La formazione degli operatori nell'assistenza
domiciliare"). Mentre sono essenziali la sede operativa, le capacità
organizzative, la pubblicità dei bilanci , la certificazione
ISO, ecc.
L'obbligatorietà della frequenza è un altro elemento
che inquina più che migliorare la qualità. L'apprendimento
è infatti collegato con la motivazione personale ed essa deriva
dal grado di libertà del partecipante/allievo il quale dovrà
fare i conti con le sue difese e resistenze anche nel caso di una
completa autodeterminazione. D'altra parte i gestori, e gli stessi
docenti, saranno tentati di ricorrere a metodologie manipolative,
avendo a che fare con partecipanti spinti dal dovere più che
dal desiderio di migliorarsi professionalmente e di evolversi a livello
personale.
L'adeguamento a parametri fissi molto limitanti della progettazione
produce altri guasti: variabili come obiettivi / metodologia / durata
di un intervento, sono interdipendenti e raramente possono essere
fissati una volta per tutte, a meno di prevedere tutte le opzioni
possibili (se anche questo fosse possibile, renderebbe difficile o
improponibile l'innovazione e l'originalità). Conseguenze possibili
sono il prolungamento inutile dei percorsi formativi o l'accumulo
di obiettivi irraggiungibili nel tempo disponibile.
Non pare esistere un qualche tipo di selezione dei partecipanti che
non sia l'ordine di iscrizione in rapporto al numero degli ammessi.
Addirittura ci sono corsi indirizzati a profili professionali diversi
o a tutti gli addetti ad un certo settore -per esempio "personale
sanitario impegnato nei rapporti interpersonali" (!). Se l'eterogeneità
dei partecipanti è in molte occasioni una risorsa per moltiplicare
le possibilità di apprendimento, alcuni elementi di omogeneità
fra loro -per esempio il livello di "scolarizzazione" e
di "acculturazione" - sono essenziali come punto di partenza.
Tutto questo determinava una netta distinzione fra la formazione obbligatoria
e la formazione continua o specialistica. Tralasciando l'uso improprio
e ambiguo del termine formazione -a cui venivano dati significati
diversi non solo in questi due ambiti- ciò che il percorso
scolastico obbligatorio non avrebbe garantito era lo sviluppo equilibrato
delle capacità. A volte non poteva garantire neppure l'aumento
delle conoscenze (del nostro Pianeta, della storia dell'umanità,
delle scoperte scientifiche) e l'acquisizione delle abilità
(leggere, scrivere, far di conto, per fare degli esempi). Il processo
di apprendimento richiede infatti la partecipazione e la corresponsabilità
del discente/formando, senza la cui collaborazione non è possibile
raggiungere nessun risultato: neppure le minacce, comprese le più
pesanti, garantiscono il conseguimento degli obiettivi se non ottengono
un comportamento attivo. Ciò è tanto più determinante
quando si tratta di sviluppare capacità di cui lo stesso individuo
è consapevole poco o per niente e delle quali non conosce le
potenzialità e la forza di impatto con la realtà del
suo contesto abituale di vita. Nessuno rinuncia volentieri ad una
situazione conosciuta a favore di una ignota salvo che per due motivi:
l'intollerabilità (il desiderio di fuggire da) o l'interesse
(il desiderio di andare verso). In entrambi i casi la scelta si basa
sulla libertà, sulla possibilità di autodeterminazione,
sulla disponibilità emotiva ad affrontare un percorso incerto
ed ignoto, sull'autostima, sulla tolleranza per la dissonanza, la
diversità.
In tutto questo il formatore è colui che offre un'occasione,
che dà qualche suggerimento tecnico, che spiega alla ragione
perché non si debba "avere paura", che consente di
fare in sicurezza qualche piccolo esperimento, che evidenzia un modello
di processo che può essere trasferito altrove, senza esprimere
posizioni o giudizi morali sugli argomenti trattati.
Il risultato della sua azione è una sintesi che si diversifica
per ogni formando in quanto Soggetto diverso: qualcuno impara molto
e in fretta e cambia visibilmente fra l'inizio e la fine di un intervento;
qualcuno pare immutato perché ha bisogno di tempi lunghi; qualcuno
ha delle illuminazioni che fatica a collegare; per qualcuno è
un processo costoso e di sofferenza, per un altro è entusiasmante
e gratificante. E per qualcuno il tutto è solo un'esperienza
da dimenticare, una perdita di tempo.
Fino a circa vent'anni fa la formazione continua era accessibile ad
un gruppo ristretto e selezionato di persone interessate a perfezionarsi,
evolversi, crescere, per sé stesse principalmente, e poi anche
per chi o "cosa" gli stava intorno. La selettività
di questa procedura non era per forza negativa, benché sia
possibile che ci sia stato chi è stato raccomandato ed ha goduto
immeritatamente di vantaggi destinati ad altri.
Senza voler esagerare, anche i mecenati cinquecenteschi facevano la
stessa cosa. Forse un sistema più democratico ed egualitario
avrebbe sacrificato Michelangelo o Leonardo da Vinci e ci avrebbe
privato dei loro capolavori.
Questa logica élitaria è stata attaccata alle radici
prima dall'ideologia politica del Welfare State e poi dai piani di
sviluppo dell'UE (Unione Europea) e infine dai processi di standardizzazione
mondiale (ISO / UNI EU). I principi alla base di queste strategie
non sono per forza negativi né irragionevoli. Ma non sono neppure
garanzia di "pari opportunità" per i fruitori. Per
esempio la Legge istitutiva della "Nuova Scuola Media Unica"
del 1963 ha sicuramente uniformato i programmi di studio, ma non ha
ottenuto comportamenti uniformi degli insegnanti sia dal punto di
vista educativo generale che metodologico. A tutt'oggi esistono problemi
a questi livelli nello stesso Consiglio di Classe. Dunque persino
una legge -fra l'altro ampiamente sperimentata- non può garantire
che la "Scuola A" offra allo studente le stesse opportunità
della "Scuola B". Invece si può essere certi che
il calendario scolastico e l'orario di apertura dell'edificio scolastico
sono controllati rigidamente e, in caso di difformità, possono
provocare sanzioni.
Va anche detto che queste scelte hanno consentito una sorta di meccanismo
"autogenerante" lavoro non solo per chi si occupa di formazione.
Se tutti devono poter studiare dalla scuola materna ai corsi di specializzazione
post universitaria è evidente che servono insegnanti e formatori
in proporzione. Se un cittadino italiano che si occupa di animazione
gode del diritto di lavorare in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione
occorre che i programmi formativi del suo profilo professionale siano
uniformati in tutta l'UE e che ci siano percorsi di aggiornamento
costanti ad ogni cambiamento o al sorgere di ogni nuovo problema;
e così via. Ci vorranno poi appositi uffici per tutta la documentazione
al riguardo e occorrerà creare enti preposti all'operazione,
che conoscono a fondo le leggi del settore ed i relativi regolamenti
attuativi , che acquisiscono a loro volta le credenziali, che realizzano
(o fanno realizzare) quello che la Legge prescrive.
In realtà, accanto all'espansione del mercato del lavoro, in
questo settore si assiste anche ad una riduzione delle "aziende"
e degli addetti. La legge 196/97 - quella per l'accreditamento degli
enti di formazione - vuole rispondere a due esigenze: la qualità
del servizio per gli utenti e l'affidabilità gestionale degli
Enti di Formazione. Si tratta di una risposta a richieste costanti
del settore diventate sempre più pressanti in rapporto ai bandi
attraverso i quali si acquisiva la commessa. I bandi dovevano rispettare
nel loro testo e nelle condizioni per l'assegnazione del lavoro, a
leggi e regolamenti nazionali ed europei che erano nati in riferimento
ad altri settori quali la costruzione di strade o immobili. Poi il
tutto è stato esteso anche ad "aree immateriali"
come quella della formazione nelle quali alcuni parametri come la
consistenza del bilancio economico o la conformità della sede
alle norme di sicurezza di uno stabilimento metalmeccanico, non sono
strettamente collegate alla competenza. Questo ha di fatto formalizzato
l'accessibilità del lavoro a organizzazioni medio/grandi escludendo
tutte le altre.
Così, assurdamente, sono i sistemi che dovrebbero garantire
la qualità del prodotto offerto o garantire la professionalità
e l'esperienza del produttore a generare l'effetto contrario. Essi
si occupano infatti della formalità e non della sostanza, anche
in conseguenza del fatto che questo ultimo ventennio non è
stato impiegato ad esplorare, a studiare, a sperimentare, ad alimentare
il dibattito fra le differenti posizioni teoriche a proposito dei
processi di apprendimento e dell'evaluation (verifica + valutazione)
dei risultati. Anche il problema relativamente alla misura di variabili
immateriali è rimasto immutato, con la conseguenza che è
certificabile ciò che è concretamente visibile e quantificabile.
Senza voler entrare nello specifico delle norme per l'accreditamento
degli Enti di formazione e/o delle proposte formative, consideriamone
alcuni effetti:
1- moltiplicazione di corsi "a catalogo" (cioè offerti
da un'agenzia formativa ad utenti individuali)
2- denominazione di "corso" a proposte della durata minima
di 7 ore e massima di 50 (in realtà è possibile fare
corsi più lunghi, ma i crediti acquisibili saranno sempre proporzionati
a 50 ore d'aula)
3- versamento di "contributi" per la richiesta di crediti
ECM prima che si svolga l'attività che non può essere
modificata in alcun dettaglio se non attraverso un'ulteriore procedura
(con ulteriori costi, ovviamente)
4- moltiplicazione delle commissioni esaminatrici delle proposte di
formazione (3 esperti per ogni disciplina/profilo professionale) con
possibili diversificazioni dei crediti acquisibili dai partecipanti
in rapporto alla loro professionalità
5- esami a conclusione di percorsi anche brevissimi con modalità
"curiose" (poichè è obbligatorio utilizzare
uno strumento di valutazione dell'apprendimento si ricorre a "questionario
pre e post test per la valutazione delle conoscenze composto da 30
domande con 5 risposte a scelta multipla da somministrare in ingresso
e uscita del corso" - da "La formazione degli operatori
nell'assistenza domiciliare" modulo formativo proposto da ISS)
6- "creazione" di un nuovo vocabolario (per es. vengono
chiamati "residenziali" corsi intensivi, cioè che
si svolgono per alcuni giorni di seguito, ma nella formula "dalle
9 alle 17")
7- moltiplicazione di Enti pubblici & Istituzioni che, in quanto
accreditati, possono promuovere interventi formativi che fino a quel
momento non erano in grado di erogare e per i quali ricorrevano a
consulenti esterni anche per i loro addetti
8- "promozione sul campo" di professionisti con poca esperienza
(e questa non è mai stata una colpa per chi accede al mercato
del lavoro) e/o con una formazione non sempre congruente con le esigenze
effettive (molti psicologi psicoterapeuti si stanno "riciclando"
come formatori di operatori psicosociali, non applicando gli stessi
criteri severi che impediscono ad uno psicologo formatore - anche
di "lungo corso" - di occuparsi di psicoterapia).
Chi credeva di aver toccato il fondo con i corsi promossi e finanziati
dall'FSE si è illuso. I prossimi anni vedranno un ulteriore
peggioramento della situazione.
L'unica via di scampo potrebbe essere rimettersi a studiare, sottraendosi
al giogo del potere e della burocrazia anche se questo dovesse costare
qualche sacrificio economico.
|