Appunti intorno al tema della “Trasmissione del Sapere”

Ci sono tre elementi che si intrecciano nel dar fisionomia e significato alle idee che esporrò oggi: il concetto di paradigma, la figura del mito, il vissuto di futuro. Ma procediamo con ordine.

Cosa si intende per Paradigma. Un modello e un esempio che serve per mostrare, confrontare, indicare qualcosa a qualcuno altro. Nella filosofia della scienza e, in particolare, per Kuhn  (ma sarebbe necessario confrontare le 20 e più definizioni contenute ne ”La struttura delle rivoluzioni scientifiche”), è qualcosa che può funzionare quando non c’è la teoria (theorein=guardare, theoros=colui che dà uno sguardo).

Paradigma  è un’immagine concreta usata in modo analogico.

Paradigma è qualcosa che viene prima dello “sguardo” che categorizza e definisce oggettivamente; può permettersi di trascurare il problema della verità alla quale la teoria invece deve rendere conto.

Afferisce al campo del “mito”: narrazione che costituisce la trama di quella ragnatela che sovrapponiamo al divenire disordinato e coinvolgente dell’esperienza. E’ fonte di fraintendimento. Ha a che fare con la creazione (poiesis), piuttosto che con la logica (logos=mettere insieme), che accorpa singoli frammenti di fatti evidenti e verificabili. E’ una comunicazione relativa a motivazioni, comportamenti, azioni,  in relazione a contesti fatti di  relazioni interpersonali.

Ecco perché per riflettere sulla “trasmissione del sapere” (consapevolmente o meno) mi sono riferito a tre figure che hanno a che fare con il mito (la cui trasmissione è stata di fatto orale).

Ecco perché parlare di “trasmissione del sapere” significa per me entrare in una riflessione sul fraintendimento (dei saperi e della comunicazione di essi) e sulla difficoltà di rintracciare modelli teorici esplicativi.

E la trasmissione del sapere sulla soglia del millennio di inscrive in uno scenario che potremo delineare a partire da alcuni elementi, quali:

  • un LINGUAGGIO fatto di metafore (reti, sistemi, bit, ....) che influenza i saperi compreso quello su “come si apprende” (basti pensare all’odierna diffusione del neo-cognitivismo)
  • una TECNICA (il cyber, il virtuale) che trasforma il CORPO da “substrato materiale, garante dell’integrità fisica” a “rete di informazioni, macchina o messaggio”
  • una SCIENZA (della psiche e delle relazioni) che nel CORPO trova ancora ineludibile radice, anche se l’immagine del computer ci costringe ad affermare non tanto che l’uomo ha un corpo, ma che il corpo ha un uomo. 

Lo scenario che ne esce è quello dominato dall’Immateriale” che come  LINGUAGGIO E SAPERI è RE-FIGURAZIONE dell’esistenza, metamorfosi (cambiamento di forme mentali e di vita) forse catastrofe, che porta ad una nuova origine, non ancora descrivibile e “osservabile” e quindi paradigmatica.

E che probabilmente ha a che fare con e si realizza attraverso:

  • l’individualità, piuttosto che le relazioni e il collettivo
  • sentimenti (sensazioni e sensibilità) dai nomi nuovi, che portano con sé ambivalenze e contraddizioni
  • instabilità e precarietà  (esistenziali, professionali, relazionali)
  • desideri non solo bisogni
  • il futuro e il passato, piuttosto che il l’attuale e il presente.

E quindi in questo scenario “trasmettere il sapere”, cosa significa?

Alcune possibili ridefinizioni:

* trasmettere = (mandare al di là)

- tramandare da una persona all’altra (per es. si dice di padre in figlio);

- comunicare un’informazione tramite un veicolo qualunque

* sapere =  complesso di nozioni, conoscenze e simili che si possiedono (la radice è essere savio: assennatezza, accortezza, saggezza, prudenza, sensatezza)

E a quale pratiche si può far riferimento:

° educare = condurre; evoca una relazione in cui si accompagna il procedere dell’altro

Mentre ° insegnare = “mettere un segno dentro” e  ° istruire = “costruire dentro” portano in sé un implicito consenso alla passività di chi apprende e quindi allo strapotere dell’insegnante/istruttore.

Primo PROBLEMA. Il sapere costituito è obsoleto; è necessario valorizzare la diversità (tra chi tramanda e chi è allievo), porre al centro delle pratiche di trasmissione il fraintendimento e la creatività; uscire dalla logica della replicabilità e dell’adattamento. Ma forse questo non è da sempre il compito delle trasmissione? e cioè trasmettere un sapere di “partire da sé”, come capacità di “significare la vita” contro l’intrinseca insignificanza (precarietà, finitezza, caducità) della condizione umana.

Rigenerazione di chi pratica attraverso la trasmissione, riproposizione della generazione cioè della nascita ?! Educare, insegnare, istruire come ripercorrere la propria nascita “naturale” (phisis) attraverso la nascita (culturale e psicologica) altrui?

La phisis centro e cuore del logos? Trasmettere sapere per esorcizzare la propria morte ?

Ecco allora le TRE FIGURE MITICHE ci vengono in aiuto per districarci nel labirinto.

CHIRONE, centauro cioè metà uomo e metà cavallo, è medico, erudito, profeta; ha un compito, quello di educare figli che gli vengono affidati, eroi (come Asclepio, Achille, Enea) per adempiere al volere divino, attraverso la trasmissione delle abilità della caccia, della musica, della medicina.

Chirone è colui che cura il corpo (medico), che possiede la cultura (erudito) e vive la realtà con creatività (profeta). E’ per me l’immagine della sostituzione della relazione affettiva e dell’affidamento ad altri della trasmissione del sapere (fare ed essere) per la creazione di esseri straordinari.

E’ il mediatore tra un ordine (norme e valori) costituito e un ordine da costruire.

SOCRATE (470/469-399 a.C.)

E’ filosofo, di lui non abbiamo mai letto nulla; ne parlano in molti tra cui Platone e Aristotele. La sua figura è controversa: sofista senza scrupoli, filosofo naturalista, intellettuale ascetico. Platone lo ricorda come “filosofo dell’etica e dell’estetica”, dell’identità tra sapere e virtù.

Ma Socrate è anche ricordato come “servo di dio” nell’educazione dei giovani alla conoscenza di sé, del proprio non sapere, della propria condizione umana, alla cura della propria anima. La sua tecnica è la maieutica (l’interrogare senza mai rispondere): l’arte della levatrice o arte dell’ostetrica viene da lui ereditata dalla madre Fenarete. Il suo obiettivo è la definizione di valori: virtù è conoscenza, l’azione malvagia è ignoranza, la cura di sè è scopo della vita (anima deve dominare il corpo, la sofrosine= la temperanza).

E’  il maestro della sapienza di “partire da sè” per conoscere e conoscersi, per vivere in maniera virtuosa; ma è anche colui che per parlare di trasmissione mette in campo la metafora femminile della maieutica.

BUDDHA (565-486 a.C.) ovvero Siddharta Gaitama della famiglia dei Sakaya, maestro religioso indiano. A 30 anni diventa monaco itinerante per annunciare la verità. Viene chiamato Buddha (lo Svegliato, l’Illuminato) perché possiede la conoscenza salvifica ed  ha facoltà di annunciare il messaggio. 

Per alcuni il Buddha storico è semplice manifestazione temporanea del B. trascendente per la salvezza dell’umanità. Da ciò deriva l’idea della “buddhità” come scopo di salvezza proposto a tutti e quindi infiniti B. possono esistere in questo mondo.

La rinuncia al mondo e la pratica ascetica sono i temi della sua dottrina. La “via media” come annientamento di ogni desiderio (causa di tutti i dolori)  il modo di realizzarla. Il retto parlare, il retto agire, il retto modo di sostentarsi la sua morale. Il dolore è al centro della sua dottrina: tutto è dolore, il dolore ha una causa, il dolore ha un termine e vi è un cammino che conduce all’estinzione del dolore e cioè al Nirvana.

E’ il maestro della estraneità al mondo in cui si vive,; la rinuncia ad un’idea di progresso e di storia ineluttabile e incontrastabile. In questo senso mi rimanda all’idea (ma anche al vissuto) di estraneità al “contemporaneo” come condizione individuale per la ricerca di sè come antidoti all’adattamento e all’opportunismo.

A parziale conclusione o a ulteriore complicazione.

Forse potremo dire che la relazione che si instaura in qualsiasi pratica di “trasmissione del sapere” non è seriabile, ripetibile, ma si rifà ad un contesto, non è modellizzabile.

Ha un carattere di ORIGINARIA fondazione, perché l’incontro è imprevedibile e le emozioni che in esso vi agiscono fanno già parte di un processo di conoscenza che è contenuto nel mandare al di là di noi stessi qualcosa e contemporaneamente perderlo di vista (theoros).

Potremo forse dire che la trasmissione è una “generazione di senso” per sè e per l’altro? Che trasmettere qualcosa è inscindibile tra trasmettere qualcuno (sè stessi) ? Che la realtà che si genera nell’incontro è già altro da ciò che si intendeva tramandare?

Mi viene a questo punto in mente un “omissis” di tutto questo ragionamento “mitico”: la madre e il femminile. Prima generatrice, creatrice di vita e di senso, portatrice in sè della possibilità di “mettere al mondo un nuovo mondo”. Ma d’altro canto io sono un uomo e come è difficile riconoscere che Diotima fu maestra di Socrate e che la maieutica fu trasmessa a lui dalla madre Fenarete.

Origine femminile della vita e del sapere e della trasmissione nel mondo? 

Alberto Raviola, gennaio 1998

(*) il presente articolo è la trasposizione per iscritto della relazione tenuta il 31 gennaio 1998 a Molinetto di Mazzano (BS) in occasione della Giornata di Studio “Paradigmi del 2000” organizzata da ARIPS in preparazione del XXXVIII Laboratorio di Dinamiche di Gruppo e di Comunità.