Qualità, merito e demerito (Guglielmo Colombi)

Perchè un giovane dovrebbe impegnarsi nello studio, ottenere i massimi voti, specializzarsi ? Un tempo girava la favola (mai verificata) che tutto ciò sarebbe servito per avere un lavoro soddisfacente e ben retribuito, e fare carriera. Oggi, nemmeno questa favola circola più. Anzi, se sei uno studente scadente ottieni il plauso popolare, e una buona accoglienza televisiva, altrimenti sei un "secchione". Tutti sanno che pochissimi troveranno un lavoro coerente con le competenze scolastiche, e se capiterà, non sarà certo per il valore ma per le conoscenze familiari, la fedeltà politica o certe prestazioni "extralavorative".

Perchè un insegnante o un bidello, un medico ospedaliero o una infermiera, un metalmeccanico o un netturbino, un impiegato di banca o un bibliotecario dovrebbero sforzarsi di dare il massimo sul lavoro e di qualificarsi sempre di più? Lo stipendio è uguale per tutti i lavoratori della stessa categoria. La carriera non ha alcun legame con la qualità delle prestazioni o dei risultati, nè nelle organizzazioni pubbliche nè nelle imprese private. Non è prevista alcuna punizione nei casi di minore produttività, e nelle organizzazioni pubbliche nemmeno un reato è sufficiente per perdere il lavoro.

Perchè un capo o un dirigente o un amministratore dovrebbero qualificarsi e dare il massimo? Solo le grandi corporazioni offrono bonus o azioni in premio, ma raramente in collegamento coi risultati. Nelle organizzazioni tradizionali esisteva il principio della responsabilità oggettiva dei capi per le unità che dirigevano. Oggi questo principio è sparito e non di rado vediamo dirigenti che dopo un fallimento, vengono addirittura promossi. I risultati, come metro di valutazione, sono stati sostituiti dalla fedeltà e complicità verso la "casta", dall'appartenenza alla "cordata" vincente, dai legami "dinastici". Se qualcosa non funziona in un reparto o settore (magari per un disastro, un incidente o numerosi furti) il capo apre un'inchiesta o fa una denuncia, e con ciò la sua responsabilità è salva. Nessuno si chiede se il capo non fosse pagato anche per prevenire gli eventi dannosi.

Perchè un capo di un'organizzazione dovrebbe premiare il merito, e soprattutto cosa è il merito per un capo? Quando una società punta alla qualità, il merito è "saper fare bene il proprio mestiere" in modo che tutta l'organizzazione possa qualificare la sua produzione. Oggi, questo resta vero solo in pochissime organizzazioni private, operanti nei settori tecnologici e del lusso. La società industriale di massa ha abbandonato il "valore della qualità", fin da quando ha sposato il principio della "obsolescenza programmata". La globalizzazione ha dato un colpo mortale alla qualità, con la riduzione verso il basso dei costi di produzione. Una società che non ha interesse per la qualità spinge i capi a definire merito la fedeltà, la subalternità, la omologazione.

Non esistono premi per la qualità in organizzazioni pubbliche come gli ospedali, dove quelli che uccidono i pazienti prendono gli stessi finanziamenti di quelli che li guariscono. Non esistono premi per la qualità nelle imprese che possono delocalizzarsi in Romania o assumere immigrati clandestini. Non esistono premi per la qualità in tutte le organizzazioni legate agli appalti pubblici, nei quali gli unici valori sono il prezzo o l'appartenenza clientelare.

Il lato positivo (per molti) è che non esistendo qualità o merito, è sparito anche il demerito. Un lavoratore che lavora malissimo non subisce alcuna ritorsione. Un dirigente che manda a rotoli un reparto o un settore non mette a rischio la sua possibilità di corriera. Un amministratore che fa fallire un'impresa trova sempre qualche "amico" che lo lancia in un'altra avventura. Un politico che perde, ha sempre una presidenza che lo aspetta.