Gastronomia e professioni sociali (Ektor Georgiakis)
I disastri dei non professionisti


1. Complessità della gastronomia

Siamo inondati dai programmi televisivi di gastronomia. Quello che la mamma o la moglie fanno 2/3 volte al giorno con noncuranza, viene presentato come un'impresa culturale titanica. Il merito di queste trasmissioni è portarci a rivalutare le nostre casalighe più esperte.

Le difficoltà cominciano dagli strumenti. In cucina ci sono decine di attrezzi, di cui bisogna conoscere nome e funzione. Chi cucina deve decidere se usare un tipo di pentola o un'altra (rame, terracotta, acciaio, ecc.), quale tipo di coltello, il piatto più adatto; deve sapere come usare il frigorifero, il forno, l'abbattitore e l'affumicatore.
Poi bisogna conoscere bene le materie prime. Qui servono le conoscenze di un microbiologo, di un agronomo e di un nutrizionista.
Noi profani diciamo patata, cipolla, farina o sale perchè non sppiamo che esistono 54 varietà di patate, 20 di cipolle, più di 20 di farina e 10 di sale (ciascuna delle quali ha un uso diverso in cucina). Non sappiamo riconoscere i funghi edibili. Non abbiamo la più pallida idea di quante calorie produca un piatto di ceci. Non distinguiamo il timo dal dragocello. Ignoriamo del tutto la funzione dell'amido nel riso o nella pasta.
La procedura è lo scoglio più grande. E' la fase dei segreti e delle intuizioni creative di chi cucina. Mettere il sale prima o dopo. Cuocere a fuoco lento o vivace. Col coperchio o senza. Usare l'olio o il burro. Aggiungere pepe nero, bianco o rosa. Quale erba spruzzare nel sugo o sul piatto. Che tipo di formaggio si può abbinare meglio al piatto. Quando mettere in pentola l'aceto o il vino, e quale vino. Va aggiunto o no un pizico di zucchero. E così per centinaia di decisioni.
La stessa nomenclatura dei piatti è complicata. Pancetta e uovo è carbonara. Pancetta, cacio e pepe si chiama gricia. Pancetta e pomodoro uguale amatriciana.
I giapponesi fanno un sushi (riso e pesce) che cambia nome secondo il tipo di pesce usato.

Non tutte le casalinghe sanno superare queste difficoltà: solo quelle che hanno avuto buone maestre (di solito le loro madri o nonne) e che si impegnano in cucina da almeno 10 anni. Solo i cuochi professionali che hanno avuto una buona scuola, un buon tirocinio, e parecchia esperienza, sbagliano raramente il risultato. La maggioranza prepara dei parti ad umore, secondo il caso, come capita. Qualche volta va bene anche così. Spesso "andiamo in pizzeria".

Cosa distingue chi cucina come capita e chi lo fa con grande esperienza o professionalmente?

Il metodo (modo codificato di operare per ottenere uno scopo) o il protocollo (complesso di regole e procedure cui ci si deve attenere in determinate attività). Un insieme foltissimo di regole tramandate da generazioni nel caso delle cuoche di famiglia, o acquisito con un lungo percorso di formazione nel caso di cuochi professionali. Regole che si possono anche trasgredire o innovare, ma con serie sperimentazioni e parecchi tentativi.

2. Volontari e professionisti

Il temine "volontario" qui si intende esteso a 4 tipologie:

a. coloro che prestano la propria opera gratuitamente, essendo titolari di redditi da altre fonti (gli unici veri volontari)
b. quelli che prestano la propria collaborazione come studenti o tirocinanti, cioè allo scopo di imparare
c. i giovani che partecipano al Servizio Civile o ad associazioni dilettantistiche, per crescita personale
d. coloro che svolgono un lavoro sotto-pagato o in nero, per il quale non hanno alcuna preparazione

C'è un volontariato che non può nuocere, perchè lavora con le cose. Questo tipologia non ha tante occasioni di fare disastri. Allestire un presepe in un asilo, raccogliere rifliuti su una spiaggia, partecipare a una raccolta fondi sono azioni tipiche del volontariato, che non richiedono grandi conoscenze e non possono nuocere. Non servono metodi e protocolli. Bastano dedizione e buona volontà. E' la situazione dei cuochi casalinghi, volontari e dilettanti, che fanno del loro meglio, senza il rischio di nuocere.

C'è invece un tipo di volontariato che può nuocere, perchè lavora con le persone. I fallimenti di questi volontari sono dannosi, addirittura traumatici, per loro stessi e per gli utenti. I volontari che lavorano con le persone sono (fra gli altri) le baby-sitters non professionali; gli operatori di comunità terapeutica (che hanno come solo curriculum quello di essere ex-utenti); gli allenatori sportivi per minori (che sanno tutto sullo sport, e niente sull'educazione); le badanti di anziani; gli animatori di associazioni e gruppi giovanili. Si tratta di almeno 1 milione di persone con circa 10.000.000 di utenti. A questi operatori, per non nuocere, servirebbero metodi e protocolli, ma non li hanno perchè non sono professionisti, non hanno formazione, non lavorano in èquipes, non hanno supervisione se non da volontari come loro.

Chi lavora con le persone deve prendere decine di micro-decisioni non diverse da quelle che si prendono in gastronomia. Da ciascuna decisione dipende la riuscita maggiore o minore del lavoro.
Gli strumenti della gastronomia corrispondono a quello che che le professioni chiamano setting: aula o stanza dell'incontro; sedie, poltrone o tavoli, materiali per attività espressive; lavagna a fogli mobili; impianti di registrazione audio-video; vetro-specchio. Come devono essere? Quanti e in quali casi si devono usare ?
La materie prime sono l'operatore e gli utenti. Di che sesso è meglio che sia l'operatore; come devono vestirsi operatore e utente; che relazione pregresse esistono fra operatore e utente; se l'utente è un gruppo, da quanti e quali soggetti deve essere composto.
Infine, anche qui la procedura è lo scoglio maggiore. Il lavoro del professionista sociale si basa su tre modalità: corporea, verbale, attiva. Usare o no il corpo. Usare le parole o il silenzio. Fare un'attività o un'altra o nessuna. Prendere appunti o registrare. Ognuna delle tre modalità ha decine di declinazioni, ciascuna delle quali influisce sul risultato.

3. Il disastro del volontariato nel welfare

I maggiori danni che questi volontari possono fare a se stessi e ai loro utenti sono:

a. incuria o cura insufficiente/inadeguata
(la baby-sitter non cambia il pannolino al neonato o riempie di caramelle i bambini; l'animatore/educatore si perde una bambina durante una gita nei boschi; la badante alimenta l'utente col solo cibo che sa fare, senza badare alla dieta)

b. educazione errata
(l'operatore di comunità impone la preghiera; l'allenatore stimola l'iper-agonismo; la baby-sitter incita la bambina a farsi un tatuaggio o aspirare a un look costoso; la badante decide cosa l'anziano debba vedere in tv; l'animatore giovanile fuma marijuana o lascia che la fumino gli utenti)

c. iper-coinvolgimento emotivo (non si contano i casi di relazioni amorose fra operatori e utenti di comunità, animatori e utenti di gruppi giovanili, adolescenti e baby sitter, badanti e utenti anziani, allenatori sportivi e genitori degli utenti; come sono frequenti i casi di difficoltà nel distacco da parte del volontario o da parte dell'utente; o i casi di sotituzione delle figure parentali con quella del volontario)

d. burn-out (dopo qualche anno di lavoro con le persone, magari anche a disagio, in organizzazioni spesso confuse, senza il conforto/confronto di colleghi o superiori, tutti gli operatori rischiano il cortocircuito -burnout- che li porta a odiare il lavoro, l'ambiente di lavoro e l'utente; fino ad arrivare ai tanti episodi sadici segnalati dalle cronache)

Contro i danni possibili il volontario è disarmato. Non dispone di un metodo, di un protocollo, di un patrimonio formativo cui riferirsi e dietro cui tutelare se stesso e l'utente.

Infine, c'è un danno non trascurabile che i volontari procurano al welfare state. La perdita di quasi un milione di posti di lavoro e la dequalificazione di tutti i servizi alla persona. Chi vorrebbe un volontario (di gran cuore) in sala operatoria o in uno studio che progetta grattacieli? Eppure è a volontari senza conoscenze o competenze specifiche che affidiano, bambini, adolescenti, giovani, disabili, dipendenti e anziani.