La prevenzione fra repressione e promozione (G.Colombi)

E' del 1963 la famosa frase di J.F.Kennedy: "Prevenire è meglio che curare". Da allora la prevenzione è diventata uno slogan buono in ogni situazione. Prevenire significa agire perchè un evento sgradito non si verifichi o si verifichi meno spesso e con meno danni possibili. Per prevenire occorre dunque agire sulle cause del fenomeno. I modi per farlo sono di due tipi.

Il primo è il più semplice ma anche il meno efficace: la repressione, attuata mediante forme di aggressione, proibizionismo, controllo, punizione, minaccia. Per prevenire il terrorismo si fa una guerra mondiale permanente. Per prevenire la diffusione della tossicodipendenza, se ne proibisce la distribuzione. Per prevenire i danni della prostituzione la si ostacola in ogni modo. Per prevenire i danni da fumo, si proibisce il consumo in pubblico. Per prevenire gli incidenti automobilistici, si danno pesanti sanzioni a chi guida male o in condizioni non totalmente sobrie. Per prevenire gli incidenti sul lavoro si aumentano i controlli. Per prevenire i furti e gli errori della burocrazia, si aumentano i vincoli burocratici. Da mezzo secolo questa via è stata seguita con iniziative sempre più stringenti, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il terrorismo, la droga, il fumo, la prostituzione, gli incidenti stradali e sul lavoro, i reati da burocrazia sono, in gradi diversi, aumentati.

Se i problemi non fossero affrontati con un approccio meramente ideologico, la conclusione concreta che dovremmo trarre è che la repressione come fatto preventivo non serve o almeno non basta, quando addirittura non si dimostra dannosa. Il caso della "guerra preventiva" è tipico del valore "controproduttivo" di certa prevenzione. Una guerra fatta per prevenire il terrorismo, non solo ha generato molti più morti di quelli provocati dal terrorismo, ma ne ha stimolato la gravità e la diffusione nel pianeta. Il caso della tossicodipendenza è simile. Su 100 soggetti danneggiati dal consumo di droga, registriamo 200 soggetti danneggiati dalla lotta alla droga: dai malavitosi morti in guerre fra bande, ai tutori dell'ordine caduti sul fronte di questa guerra, ai tossicodipendenti morti per sostanze venefiche trovate sul mercato nero. Nei casi del lavoro, del traffico o del fumo non si registrano effetti controproduttivi, ma le statistiche dimostrano l' inadeguatezza di ogni prevenzione basata solo sulla repressione. Il caso della prostituzione è simile. Abolite le case chiuse per difendere la dignità della donna, si sono messe le donne alla mercè della strada, dell'aids, della droga e della schiavitù.

Il secondo modo di fare prevenzione, non necessariamente alternativo al primo, è quello della promozione, attuata mediante l'azione culturale, l'aiuto, il sostegno, il cambiamento del contesto. In questa ottica, la prevenzione del terrorismo si ricerca promuovendo la società civile dei Paesi non democratici. La prevenzione della tossicodipendenza, del fumo e degli incidenti stradali si persegue rafforzando la capacità dei singoli di rifiutare consumi e comportamenti dannosi. La prevenzione dei danni della prostituzione dovrebbe essere affidata alla legalizzazione. La prevenzione degli incidenti sul lavoro si promuove con la formazione permanente.

La prevenzione attraverso azioni di promozione non esclude la compresenza di provvedimenti repressivi, ma fino ad oggi notiamo che la prevenzione repressiva impegna quasi il 100% delle risorse disponibili. L'industria della prevenzione repressiva costa miliardi di euro, impiega migliaia di addetti, è un mercato in piena regola.

I motivi di questo evidente sbilanciamento sono tanti. Il primo è che le corporazioni della repressione sono più forti di quelle della promozione. Per esempio, il complesso industriale-militare è assai più potente del complesso culturale e assistenziale. Il secondo è che le azioni repressive, anche se poco efficaci, forniscono l'impressione di una maggiore immediatezza. Il terzo è che la prevenzione repressiva offre un valore implicito: la soddisfazione del bisogno sadico di punire i comportamenti estranei al pensiero dominante.