Intelligenza Connettiva di Stefania Parisi

L’idea e la constatazione (o la semplice intuizione) dell’esistenza di una “intelligenza” o “conoscenza” che fosse in qualche modo posta al di sopra dei singoli individui e delle singole menti ha trovato una prima importante formulazione nel concetto marxiano di general intellect. Il general intellect è in questa accezione una sorta di sapere astratto, una conoscenza impersonale incarnata nella scienza e nelle discipline che si sedimentano nel corso del tempo. Dunque un pensiero senza portatore, che sta prima del soggetto, gli preesiste, si qualifica storicamente e informa di sé la vita stessa di una società, istituendo gerarchie e relazioni, anche di potere (Marx 1857-58). Un’idea, è evidente, estremamente stimolante, densa di possibili ricadute e suscettibile di numerose e creative rivisitazioni e reinterpretazioni adeguate ai cambiamenti sociali. Quasi un concetto-immagine, la cui portata simbolica e suggestiva è tale da porlo all’origine di molte metafore di successo ancora in quest’epoca. Con i necessari “aggiustamenti”.

Il panorama schiuso dalla comparsa dei nuovi media – e della rete in particolare – è un palcoscenico ideale per il rinnovato protagonismo di questa idea. Alla luce, però, di una indispensabile rielaborazione e di una sua attualizzazione critica. La rete si presta cioè a fornire la cornice per una interpretazione “operativa” e profondamente rinnovata del concetto di general intellect in due sensi. Il primo, e il più ovvio, deriva dalla definizione di Internet come luogo di consultazione dell’accumulazione del sapere collettivo generale (per quanto ancora in buona parte si tratti di un sapere “occidentale”): basti pensare alla fortunata metafora della “biblioteca mondiale”, lo spazio immateriale per la fruizione pratica dei prodotti del general intellect. Il secondo è il senso a partire dal quale si sono sviluppate le teorie dell’intelligenza collettiva di Pierre Lévy e dell’intelligenza connettiva di Derrick de Kerckhove.

Questa seconda linea-guida vede la rete come il mezzo e il luogo potenziale per una partecipazione a più livelli dei singoli alla costruzione, lettura, interpretazione e modifica del sapere accumulato. Secondo Lévy (1994), infatti, l’intelligenza collettiva si definisce come “un’intelligenza distribuita ovunque, continuamente valorizzata, coordinata in tempo reale, che porta a una mobilitazione effettiva delle competenze”. Una più precisa dichiarazione di intenti, quasi un manifesto programmatico della nuova intelligenza “diffusa” che ha nella rete il suo luogo di elezione, emerge dalle successive affermazioni: “il fondamento e il fine dell’intelligenza collettiva sono il riconoscimento e l’arricchimento reciproco delle persone, e non il culto di comunità feticizzate o ipostatizzate. (…) nessuno sa tutto, ognuno sa qualcosa, la totalità del sapere risiede nell’umanità” (ib.). A differenza del general intellect, che si accresce e si stratifica diacronicamente ma rimane in un certo senso “fisso” e non manipolabile, l’intelligenza collettiva è un prodotto “sincronico”, su cui si può intervenire nel presente. Il neoumanesimo dei nostri giorni si sta forse spostando dalle corti alle reti.

Dall’intelligenza collettiva muove la riflessione di de Kerckhove (2001), che compie un passo successivo in direzione delle applicazioni concrete dell’idea di Lévy. L’intelligenza connettiva, come suggerisce il termine stesso, mira alla connessione, al collegamento, alla messa in relazione delle intelligenze, sottolinea il “rapporto” che esse intrattengono (o che dovrebbero intrattenere) le une con le altre, le sottrae al tempo lungo dell’accumulazione storica per calarle nel qui e ora dell’esperienza e della sperimentazione concreta. Se l’intelligenza collettiva è il quadro di riferimento del pensiero umano, del pensare dell’umanità, l’intelligenza connettiva ne è la parte “in movimento”, il lato che si attiva per la risoluzione pratica, “sperimentale”, di un problema specifico Essa si affida alla “moltiplicazione” delle intelligenze (favorita dalla connessione) piuttosto che alla loro somma (situata nel ”collettivo”). De Kerckhove insiste cioè sul carattere aperto del concetto di intelligenza connettiva rispetto all’immagine di “contenitore chiuso” a cui rimanderebbe l’intelligenza collettiva (la biblioteca mondiale alla quale ciascuno può portare il proprio contributo). Il suo tentativo non è tuttavia quello di “staccare” la propria ricerca dal campo dell’intelligenza collettiva, ma quello di delimitare al suo interno un settore di indagine e di sperimentazione per così dire “applicativo”. Considerata l’impossibilità di prescindere dai saperi accumulati e stratificati, la pratica dell’intelligenza connettiva potrebbe rivelarsi proficua nel favorire la creatività attraverso l’utilizzo concreto e collettivo delle conoscenze preesistenti. La diffusione della rete e delle tecnologie a essa legate sono però ancora troppo limitate a specifiche aree del mondo per cedere a tentazioni universalistiche: per il momento la democratizzazione e il neoumanesimo auspicati da Lévy stanno muovendo solo i primi passi dalle corti in cui sono nati.