Teorie, tecniche ed esperienze nei processi di verifica e valutazione dei Servizi e Progetti Immateriali
Documenti sul Bilancio Sociale
Pubblichiamo il Documento "Responsabilità Sociale delle Imprese. Esempi di buone pratiche italiane" realizzato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con Italia Lavoro S.p.A..
Introduzione
Il concetto di responsabilità sociale delle imprese (CSR - Corporate Social Responsibility) viene concordemente definito come “l'integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate (stakeholder)1.” L'adesione da parte delle imprese a questo comportamento virtuoso denota l'adozione volontaria di strategie aziendali socialmente responsabili connotate dall'obiettivo di perseguire uno sviluppo sostenibile. È intorno a questo concetto che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (raccogliendo le sollecitazioni della prima Conferenza Nazionale sulla CSR tenutasi a Roma il 10 dicembre dello scorso anno) ha riunito un Gruppo di lavoro per individuare e selezionare alcuni esempi di buone pratiche tra le imprese italiane.
Il lavoro effettuato in questi mesi è presentato in questa pubblicazione, che porta il titolo di Responsabilità Sociale delle Imprese - Esempi di buone pratiche italiane. Sono descritti 30 casi di buone pratiche, esempi di una imprenditorialità che ha deciso di intraprendere il percorso della sostenibilità con l'adozione di comportamenti socialmente responsabili. Attraverso la descrizione delle buone pratiche attuate da queste aziende il Ministero intende promuovere un nuovo modo di “fare impresa”, in grado di coniugare il successo e la creazione di valore con un comportamento rispettoso e proattivo verso i propri interlocutori.
Dal punto di vista metodologico il Gruppo di lavorosi è ispirato ad un'analoga iniziativa della Commissione Europea2, mutuando i medesimi criteri che hanno consentito l'individuazione e la selezione dei casi raccolti. Essi si basano sulle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (economica, sociale e ambientale) e sono supportati dagli indicatori del Progetto CSR-SC sviluppato in questi anni dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in collaborazione con l'Università Bocconi di Milano.
Questi criteri sono riassunti nella tabella “I Pilastri per lo Sviluppo Sostenibile delle Imprese Socialmente Responsabili”.Come detto, i pilastri dello sviluppo sostenibile sono quello economico, quello sociale e quello ambientale. Il pilastro sociale si articola a sua volta in due sottoaree, che comprendono il posto di lavoro e la comunità. All'interno di ciascuna area è stata proposta un'articolazione di indicatori volti ad indirizzare l'analisi sui diversi aspetti della gestione dell'impresa.
In questa prima edizione il Gruppo di lavoro ha deciso di valorizzare le best practices soprattutto delle piccole e medie imprese, che rappresentano oltre il 90% tessuto imprenditoriale italiano.
Il volume Responsabilità Sociale delle Imprese - Esempi di buone pratiche italiane è un primo passo per promuovere casi di eccellenza di responsabilità sociale delle imprese italiane e per proseguire nell'opera di diffusione di questo tema, soprattutto tra le piccole e medie realtà imprenditoriali.
L'auspicio è che il presente volume possa contribuire a stimolare l'adozione di azioni socialmente responsabili anche in altre realtà organizzative e possa altresì suggerire l'emulazione delle attività di CSR descritte per applicazioni anche in altri contesti.
È doveroso in questa sede ringraziare tutte le persone e le organizzazioni che hanno contribuito alla raccolta delle buone pratiche presentate e alla realizzazione e pubblicazione del volume: in particolare Anima3 e Sodalitas4 (per quanto riguarda le associazioni di imprese già sensibili al tema della responsabilità sociale); Adiconsum5 (per la categoria dei consumatori, sempre più determinanti nel condizionare positivamente i comportamenti delle imprese); gli sportelli specializzati delle Camere di Commercio italiane6 (che, grazie alla loro capillarità nel territorio e competenza sul tema, sono stati fondamentali per l'individuazione e l'analisi di numerosi casi di eccellenza); Italia Lavoro Spa (che ha realizzato il volume); Claudia Svampa, giornalista (che ha coordinato il comitato di redazione) e Laura Prati (che ha realizzato il progetto grafico).
Il coordinamento generale necessario alla realizzazione del volume e, più in generale, il coordinamento delle complesse attività che ruotano attorno al Progetto CSR-SC del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è stato effettuato con la solita passione da Elena Biglietti, Alessandro Bressan e Celeste Iannuzzi del Gruppo di lavoro CSR-SCdel Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, coordinato da Katia Martino del Segretariato Generale del Ministero, con il supporto di Maria Cristina Pitorri in stretta collaborazione con la Direzione Generale per la Famiglia, i Diritti Sociali e la Responsabilità Sociale delle Imprese CSR7 del Ministero.
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Come sono i bilanci sociali delle aziende italiane. Uno studio di Adiconsum

Adiconsum ha condotto uno studio sui bilanci sociali pubblicati da 21 aziende italiane scelte in rappresentanza dei settori bancario, assicurativo, erogazione di servizi pubblici, distribuzione di beni di consumo. L'iniziativa rientra nell'ambito del progetto europeo SA&CO (Social accountability and consumers).
Chi fosse interessato allo studio, può contattare la Redazione del sito: info@bilanciosociale.it

Pubblichiamo gli atti del convegno “Il marketing sociale e la Corporate Social Responsibility”, tenutosi mercoledì 26 ottobre, all’Asolo Golf Club di Cavaso del Tomba (TV) organizzato da Reporting RP e Connecting-Managers. Evento che ha riscontrato un notevole successo di pubblico molto attento alle tematiche legate alla RSI. In allegato un estratto delle presentazioni dei case history proposte dai vari relatori e i primi risultati del sondaggio on-line proposto da Reporting RP e lanciato sul sito di Connecting-Managers, con l’obiettivo di misurare l’interesse e l’impegno delle imprese del Nord-Est sul tema della RSI.

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Diffusione della CSR attraverso i meccanismi del mercato

Nell'attuale dibattito relativo all'introduzione della CSR all'interno delle imprese prende sempre più co po l'idea che l'imp esa abbia in effetti delle responsabilità verso la collettività e non solo verso i prop i azionisti.Tuttavia,fino ad oggi le imprese,e in primo luogo i manage ,hanno gene almente posto la soddisfazione degli azionisti,intesa come massimizzazione del profitto,come obiettivo principale da aggiungere.Introdu e la CSR in una realtà imprenditoriale significa invece accettare che l'imp esa abbai il dove e di massimizzare la soddisfazione di ogni suo stakeholder.Conciliare questa visione con la tradizione adicata globalmente della massimizzazione dei profitti appare in effetti poco probabile.Anche qualora i manage dovesse o svegliarsi dal loro torpore capitalista, prendendo coscienza della responsabilità che ha l'impresa verso la collettività,difficilmente potrebbe o modificare le strategie competitive pe conside are elementi di alto valore morale ma appa entemente sconvenienti da un punto di vista economico. L'anello di congiunzione tra le due visioni,diametralmente opposte,è appresentato dalla possibilità di trovare dei benefici di natu a economica legati ai comportamenti socialmente responsabili.T a i dive si possibili vantaggi ne esiste uno decisamente più concreto degli altri:l'impatto in te mini reputazionali sul mercato.In sostanza,se un'impresa si dimostra socialmente responsabile può guadagnare in termini di immagine e reputazione agli occhi dei consumatori e quelli più sensibili a certe tematiche potrebbero iniziare a preferirne i prodotti ispetto a quelli dei concorrenti.Questa possibilità,tutt'altro che remota,si scontra con l'evidente incapacità valutativa dei singoli consumatori,che non hanno certamente né il tempo né le competenze pe valutare in maniera efficace il comportamento di ogni impresa.Il grande potere detenuto inconsapevolmente dai consumatori,esplicabile attraverso le lo o scelte di acquisto potrebbe perdersi a causa dell'enorme quantitativo di informazioni da conside are.In risposta a questo p oblema è opportuno conside are l'introduzione di uno strumento di valutazione sintetica del comportamento sociale dell'impresa,una sorta di ating,che riassuma in estrema sintesi il comportamento delle imprese e pe metta al consumatore di confronta e i diversi prodotti anche conside ando questo elemento di differenziazione.

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Buone prassi di imprese nazionali ed estere sul tema della responsabilità sociale d'impresa

Pubblichiamo una serie di buone pratiche sulla responsabilità sociale d'impresa di alcune PMI europee predisposta dall'Unione Europea.

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Il Bilancio Sociale dalle imprese profit alle organizzazioni non profit.

Pubblichiamo questo documento della Dott.ssa Monica Vitali laureata in Economia e Commercio presso l'Università degli Studi di Bologna: "I recenti fatti di cronaca nazionale e internazionale, ed i sempre maggiori vincoli di natura ambientale e normativa, hanno portato ad un’evoluzione del modo in cui si intende l’azienda, soprattutto quella di grandi dimensioni, che ha dovuto fare i conti con scandali finanziari, ambientali, sfruttamento di minori, e con tutto quanto ne ha fatto perdere la credibilità e l’immagine etica. E’ nata così l’esigenza da parte delle organizzazioni che vogliono sopravvivere in un ambiente turbolento, di legittimare la propria attività attraverso l’approvazione e il consenso esterno. L’azienda deve rendere conto del proprio operato a più soggetti esterni (stakeholders), ovvero a portatori di interesse ulteriori rispetto al soggetto economico di riferimento. Fra gli stakeholders si possono classificare: dipendenti, clienti, fornitori, banche, stato, comunità locale, ovvero tutti coloro che a vario titolo entrano in contatto con l’impresa...."

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Dal POF al “Bilancio Sociale”: un orizzonte da esplorare per la scuola dell’autonomia.

Pubblichiamo questo documento realizzato da Franco De Anna Dirigente per i servizi Ispettivi MIUR - Ufficio Regionale Scolastico Marche, che tenta di estendere alla scuola la metodologia e la filosofia del Bilancio Sociale.
"Sono sempre più numerose le imprese, sia profit che no profit, che adottano lo strumento (e la filosofia che lo ispira) di “rendicontazione sociale” che passa sotto il nome di “bilancio sociale”. Più recentemente, accanto alle imprese, lo strumento si sta diffondendo tra gli Enti Locali, in particolare Comuni e Provincie, attraverso necessari e opportuni adattamenti strumentali, ma in coincidenza di ispirazione e criteri. Queste note vorrebbero contribuire ad aprire una riflessione e, perché no?, una linea di ricerca per la “traduzione” nella scuola dell’autonomia, sia della filosofia che ispira tali esperienze in altri contesti, sia degli strumenti necessari a metterla in opera. A partire dalla considerazione che almeno alcuni elementi di quella filosofia sono presenti ad origine, nello strumento POF, almeno quello ipotizzato con l’istituzione dell’Autonomia, se non quello “praticato” nella realtà multiforme della scuola reale. Dunque esplorando le differenze specifiche, gli arricchimenti implicati, i completamenti necessari, a partire dal POF, per pervenire ad un vero e proprio “Bilancio Sociale” dell’Istituzione scolastica Autonoma."

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BS: Bilancio Sociale o Bull Shit?
Non si tratta solo di efficienza economica, ma dell'impatto dell'azienda sulla società nel suo complesso.

Un articolo di Paolo D'Anselmi tratto da www.ferpi.it

"'Tutte cazzate', direbbe il mio amministratore delegato se gli andassi a proporre di fare il bilancio sociale", sorride amaro il collaboratore del Mitico Manager. "È una bella vigna nella quale andare a prendere contratti", ammicca il collega con l'accento nordico del dipendente pubblico che fa pratica privata. Gli stalloni del management sono spietati con il bilancio sociale e sono corroborati – al traverso - da intellettuali di valore. Per esempio Massimo Mucchetti nell'analitico libro "Licenziare i padroni", loda Enel ed Eni e Telecom degli anni '80 e '90 per avere creato valore e profitto per gli azionisti. Mucchetti si basa sul conto di utili e quotazione azionaria. Che c'entra questo col bilancio sociale? C'entra perché il bilancio sociale è il luogo dove uno si fa venire il dubbio che un monopolista che fa profitto sta strozzando i consumatori. Il BS non è la vetrina delle limosine alle vedove e agli orfani, non è report di veltroniani concerti sponsorizzati dal cartello dei concessionari per la riscossione dei tributi. Nel BS si può dare notizia del quadro concorrenziale in cui profitti e guadagni in conto capitale sono stati ottenuti. Il BS distinguerebbe tra Olivetti soggetta a concorrenza internazionale, Fiat metastatizzata nello Stato ed Enel, monopolio secco. Occorre forse evitare il primato assoluto dell'economico, anche a sinistra. Bisogna estendere il quadro dell'impatto, economico e non, verso gli altri stakeholder, ai consumatori. Si può riportare ciò che hanno di recente scoperto AntiTrust e AntiGas: i costi al pubblico di utilities e grandi servizi in questa nazione sono alti. Le qualità basse. Punto. Dove lo scriviamo questo? In un bilancio sociale Fiat, per esempio, si potrebbe riepilogare la storia dei ‘voluntary' agreement che per molti anni hanno vietato ai giapponesi di presentarsi sul nostro mercato; si potrebbe calcolare l'impatto sociale ottenuto dai denari del popolo che hanno finanziato gli investimenti al Sud; si potrebbe infine raccontare i risultati dei test sulla qualità della ‘sbattuta' di uno sportello Fiat ed uno BMW. "Si ma queste sono informazioni riservate". Allora vuol dire che non lo devono più essere e che la concorrenza si andrà a fare su altro, con maggiore informazione per tutti. Sarebbe interessante leggere sul bilancio sociale della Banca Nazionale del Lavoro la percentuale dei depositi da enti pubblici, cioè del suo mercato captive; leggere da FS qualcosa sui rimborsi per ritardo, che rigirano denari pubblici e non migliorano il servizio; leggere da Autostrade come mai la triplicazione della Roma – Orte è fatta tranne la critica galleria di Ponzano; leggere da Alitalia d'essersi rivolta all'Enac contro le compagnie straniere perché alzassero le tariffe; da Capitalia la tabellina con il numero e l'importo dei rimborsati risparmiatori Cirio, spaccata per profilo di rischio che quei risparmiatori avevano firmato. Dal lato del bicchiere mezzo pieno, è gradito leggere da Enel di un avviso di garanzia arrivato a certi dirigenti. Quanto allo Stato hardcore, sarebbe bello essere informati sulla quantità di suicidi in carcere da un report del ministero di giustizia invece che dalla associazione Antigone: i politici trasalirebbero di meno ad ogni suicidio di colletto bianco e saprebbero che ci sono dieci suicidi al mese. Concludendo, il BS non è solo efficienza economica – che nel privato è il sano particulare del profitto – ma alza lo sguardo verso l'impatto dell'azienda sulla società nel suo complesso. Il BS è disclosure. E sarà pure da signorine, pero donde los hombres?
Paolo D'Anselmi


Responsabilità sociale d'impresa e cooperazione

Cooperstudi, centro studi, documentazioni e ricerche del movimento cooperativo marchigiano, organizzazione che lavora in collaborazione con la Regione e con le associazioni del movimento cooperativo, Confcooperative, Legacoop, Unci, AGCI, ed editi da "Affinità elettive", ha pubblicato all'interno della sua collana editoriale il volume "Responsabilità sociale d'impresa", un valido supporto per chi già opera nel mondo della cooperazione e vuole attivare nella propria struttura cooperativa pratiche di responsabilità sociale d'impresa.

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Responsabilità sociale e coscienza sociale: una ricerca

Una recente ricerca ha inteso verificare il grado di consapevolezza della responsabilità sociale ed etica dell’impresa fra i titolari d’azienda della provincia di Padova iscritti ad Unindustria e presso un campione di imprenditori del Nord Est, scelti come opinion leader in riferimento al sistema economico e produttivo dell’area di Padova e del Nord Est. La ricerca è stata promossa da Camera di Commercio di Padova, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, con il supporto di varie altre organizzazioni di categoria e associazioni fra cui Ucid. L'analisi ha messo in evidenza, in particolare, gli elementi che secondo gli imprenditori contribuiscono a identificare un modello di sviluppo economico “sociale”, cercando anche di evidenziare le eventuali correlazioni positive esistenti tra le azioni di responsabilità sociale promosse dalle imprese e i risultati economici conseguiti.

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Scheda di valutazione del bilancio sociale

La presente scheda, curata dal Dott. Enzo Mario Napolitano, è stata predisposta per consentire al lettore di un bilancio sociale di effettuare una prima valutazione della qualità dello stesso e una comparazione con i bilanci sociali di imprese appartenenti allo stesso settore.
La scheda è stata impostata tenendo conto del documento Principi di Redazione del Bilancio Sociale approvato nel 2001 dal Gruppo di studio per la statuizione dei principi di redazione del bilancio sociale che viene ormai considerato il minimo comune denominatore dei bilanci sociali predisposti in Italia.

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Relazione sulla RSI in Europa, in Italia e nel Veneto

Pubblichiamo questo saggio realizzato da Raffaella Mantoan e Daniele Nicolai realizzato per il Master in "Responsabilità sociale d'Impresa" dell'Università degli Studi di Verona. Nel documento sono riportati i risultati delle ricerche svolte per tentare di sintetizzare i diversi modi in cui la RSI viene percepita all’estero, in Italia e nel Veneto.
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Primo rapporto sulla responsabilità sociale d'impresa in Italia

Scarica il primo rapporto sulla responsabilità sociale d'impresa in Italia, redatto da ISVI. Per la sezione "L'impegno sociale delle PMI italiane", ISVI si è avvalso della collaborazione di Doxa.
sito web:www.isvi.org/Rapporto%20RSI.htm


Glossario
Mettiamo a disposizione un interessante glossario realizzato dal dott. Saverio Pipitone, Laurea in Scienze Politiche e delle relazioni internazionali (Università degli Studi di Palermo, Facoltà di Scienze Politiche), Master in Responsabilità sociale d'impresa, (Università degli Studi di Verona, Facoltà di Giurisprudenza ed Economia); per contatti diretti sovia@virgilio.it;
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ed uno scritto relativo "Alla partecipazione nella responsabilità sociale d'impresa".
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Il Bilancio Sociale nell'Amministrazione Pubblica
Mettiamo a disposizione in allegato un numero speciale della rivista "Azienda Pubblica". Tale numero, infatti, è stato interamente dedicato al Bilancio Sociale (in generale) e al Bilancio Sociale nelle Amministrazioni Pubbliche (in particolare). Proprio rispetto a questo secondo punto mancano precisi riferimenti in materia per cui riteniamo che le pubblicazioni in esso contenute possano contribuire al dibattito di professionisti ed esperti sul tema.
Il resto del contenuto del documento è richiedibile, contattando:
Dott.ssa Manila Marcuccio, Divisione Amministrazioni Pubbliche SDA BOCCONI
Via Bocconi 8, 20136 - Milano, Tel. 02.5836.2087, Fax. 02.5836.6832
Segreteria di redazione della rivista all'indirizzo: azienda.pubblica@uni-bocconi.it
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La responsabilità sociale dell'impresa: presupposti etici e ragioni economiche
Un saggio del Prof. Stefano Zamagni
Università di Bologna, Facoltà di Economia
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Contabilità sociale delle attività motorio-sportive e del movimento nel Comune di Ferrara
Rendiamo disponibile questo interessante progetto relativo alla Contabilità Sociale nello Sport" elaborato dal Servizio Sport e Giovani del Comune di Ferrara.
Il modello elaborato si pone l'obiettivo di rendere visibili e comprensibili i fatti, intesi come risultati ottenuti dall'intero SISTEMA SPORTIVO CITTADINO, con parole piuttosto che con aride e complesse cifre, mettendoli a disposizione dei cittadini, dei praticanti sportivi, dei portatori di interessi sociali diversi (istituzioni, sistema scolastico, associazionismo, sistema sociale-sanitario, ecc…) gli obiettivi raggiunti, con elevati livelli di attendibilità e fedele rappresentazione. Il progetto fornisce utili indicazioni su come esaminare la distribuzione delle risorse, la spesa e le attività sinergiche tra i vari soggetti del SISTEMA SPORTIVO CITTADINO e di come l'azione complessiva del sistema ha contribuito al miglioramento della qualità della vita della nostra comunità.
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Il Bilancio Sociale nell’ambito del Non Profit
Pubblichiamo questa relazione per presentare le caratteristiche del bilancio sociale nel campo delle organizzazioni che non contemplano la massimizzazione e distribuzione del profitto tra le proprie finalità istituzionali. Questa importante peculiarità, la non prevalenza del profitto o del lucro tra i fini aziendali, non esime queste organizzazioni, non fosse altro che per un impegno morale nei confronti di coloro che forniscono le risorse principali (lavoro, finanziamenti, ecc.), dall’esigenza di dotarsi di strumenti adeguati, a partire dalla loro stessa struttura organizzativa, affinché dette risorse vengano utilizzate nel perseguimento dello scopo sociale col massimo grado di efficienza, efficacia ed economicità possibile, e nel rispetto dei diritti, purchè legittimi, dei portatori di interessi (o “stakeholder”).
La relazione è stata realizzata da: Dott. Giuseppe Chiappero, Dott. Davide Barberis, Dott. Lorenzo Ferreri, Dott. Pier Luigi Foglia del Gruppo di Lavoro “Enti Locali” e “No-profit” dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Ivrea - Pinerolo – Torino.
Bilancio sociale non profit(File PDF 304 Kb)


Della Responsabilità sociale d'Impresa
Pubblichiamo questo interessantissimo saggio sulla "Responsabilità sociale d'Impresa", gentilmente concessoci dal Prof. Stefano Zamagni, Economista, Docente dell'Università di Bologna ed uno dei massimi esperti di Economia Civile.

Ancora agli inizi degli anni '70, Milton Friedman, cofondatore assieme a George Stigler della celebre Scuola di Chicago ed entrambi Premi Nobel dell'economia, poteva scrivere: "il vero dovere sociale dell'impresa è ottenere i più elevati profitti (ovviamente in un mercato aperto, corretto e competitivo) producendo così ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile". Il messaggio era chiaro: l'unica legittimazione, etica e sociale ad un tempo, del fare impresa è operare per massimizzare il profitto nel rispetto delle regole del gioco. Altrettanto chiara era la giustificazione di una proposizione così impegnativa: poiché il profitto è un indicatore sintetico di efficienza (allocativa), massimizzare il profitto significa fare il miglior uso possibile di risorse che sono scarse e quindi operare, in ultima istanza, per il bene comune (creare cioè "ricchezza e lavoro per tutti"). In tali condizioni, catena del valore economico e catena del valore sociale finiscono col coincidere. Oggi, nel tempo della società post-fordista in cui siamo entrati, nessuno più sottoscriverebbe, a cominciare dallo stesso Friedman, asserti come quello sopra riportato. Beninteso, la generazione di profitto continua ad essere condizione necessaria, ma non più sufficiente, perché l'impresa possa dirsi legittimata agli occhi della società civile. Per quali ragioni? Ne indico tre, di natura, per così dire, fondazionale e che valgono a farci comprendere come quello della corporate social responsibility, vale a dire della responsabilità sociale dell'impresa (rsi), non sia un fenomeno passeggero legato ad una qualche moda culturale, ma qualcosa di permanente destinato a connotare di sé il comportamento dell'impresa globale del futuro. La prima ragione ha a che vedere con una vera e propria novità emergente di questa epoca di sviluppo: la responsabilità sociale del consumatore-cittadino. Si tratta del fatto che la figura, ormai superata, del consumatore come ricettore passivo delle proposte che gli vengono dal lato della produzione, va cedendo il passo ad un soggetto che vuole bensì consumare, ma in modo critico. In altro modo, ciò significa che con le sue decisioni di acquisto e, più in generale, con i suoi comportamenti, il consumatore intende contribuire a "costruire" l'offerta di quei beni e servizi di cui fa domanda sul mercato. Non gli basta più il celebrato rapporto qualità-prezzo; vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se nel corso della sua produzione l'impresa ha violato, in tutto o in parte, i diritti fondamentali della persona che lavora. Si prenda il caso, ormai paradigmatico, della multinazionale Nike. Dopo che alcune associazioni di consumatori avevano denunciato lo scandalo del lavoro minorile mal pagato in India e Pakistan, il titolo Nike precipitò dai circa 66 dollari dell'agosto 1997 ai 39 dollari del gennaio 1998, e ciò in conseguenza di una ben orchestrata campagna di boicottaggio. (Esperienze analoghe sono capitate alla Reebok e alla Nestlé). Ma v'è di più. Recenti indagini di mercato hanno evidenziato come l'80% dei consumatori europei si dichiari propenso a favorire lo sviluppo di imprese impegnate, in qualche modo e in qualche misura, nel sociale. E il 72% dei consumatori italiani intervistati ha dichiarato che sarebbero propensi a pagare un prezzo più elevato per i beni che acquistano se avessero certezza (e garanzie) che le imprese in gioco si sottopongono alla certificazione sociale (del tipo Social accountability, SA 9000) oppure si impegnano in iniziative socialmente rilevanti. D'altro canto, il boom dei fondi etici e della cosiddetta finanza etica conferma appieno queste dichiarazioni. In buona sostanza, la tendenza in atto sembra confermare l'intuizione di J.S. Mill - uno dei massimi punti di riferimento del pensiero liberale - quando, intorno alla metà dell'ottocento, aveva formulato il principio della sovranità del consumatore. Solo che allora i tempi non erano ancora maturi perché questa sovranità potesse venire esercitata. Passo alla seconda delle ragioni indicate. Una delle conseguenze più vistose dell'attuale globalizzazione è il fenomeno della destrutturazione dell'attività produttiva e, al proprio interno, della delocalizzazione delle imprese. Una bella metafora di Peter Drucker rende bene l'idea. Le imprese dell'epoca fordista - scrive il nostro - erano come le piramidi d'Egitto, strutture ben piantate su un territorio con il quale sviluppavano relazioni di natura non solo economica, ma anche sociale e culturale. Le imprese di oggi, invece, sono come le tende del deserto che un giorno possono essere piantate in un luogo e il giorno dopo in un altro. Quale il significato di tale fatto ai fini del nostro discorso? Quello di segnalare che va progressivamente diminuendo la corrispondenza stretta tra territorio e impresa, una corrispondenza che veniva alimentata da controlli informali e da forme di mutuo aiuto. L'imprenditore che si fosse "comportato male" si trovava a dover rispondere, in quale forma, alla "sua gente", la quale rappresentava anche, in non pochi casi, il mercato di sbocco dei suoi prodotti. In contesti del genere, la responsabilità sociale dell'impresa era, per così dire, in re ipsa: è forse per questo che non se ne parlava. Oggi, in tempi in cui i mercati di riferimento dell'impresa vanno diventando sempre più globali, può accadere - come le cronache puntualmente confermano - che produrre profitto non equivale, necessariamente, a produrre benessere diffuso. Con il che, la tradizionale logica di legittimazione dell'impresa, secondo la quale la generazione di profitto era, ipso facto, fonte di benefici sociali, cessa di essere credibile e dunque creduta. Di qui la richiesta implicita, che sale con insistenza dalla società, che le imprese rivelino all'esterno, avvalendosi dei tanti strumenti a loro disposizione - il bilancio sociale; il bilancio ambientale; il cause-related marketing; la comunicazione mediatica pubblicitaria e non - il modo specifico in cui si esprime la loro responsabilità nei confronti di tutti gli stakeholders e non solamente degli shareholders. Alla luce di ciò, riusciamo ad afferrare il senso dell'iniziativa recente della Commissione Europea che, con il "Libro Verde" sulla rsi, ha inteso predisporre linee-guida per giungere, in tempi rapidi, ad una sorta di codice di condotta per le imprese europee, un codice che, valorizzando i legami di reciprocità tra impresa e società, favorisca la coevoluzione armonica di entrambe. Infine, la terza ragione dell'insorgenza e della diffusione di pratiche di rsi chiama in causa un peculiare aspetto della struttura organizzativa interna delle odierne imprese. Si tratta del fatto che, a causa dei pervasivi fenomeni di asimmetria informativa e di incompletezza contrattuale, è sempre più difficile per il management controllare l'operato dei propri collaboratori e dipendenti. Come evitare che comportamenti opportunistici del tipo free-riding e shirking (letteralmente: l'atto di imboscarsi) raggiungano la soglia al di sopra della quale viene messa a repentaglio la redditività dell'impresa? Si risponderà: mediante l'adozione di appositi schemi di incentivo, i managers cercheranno di estrarre da ciascuno dei partecipanti all'organizzazione d'impresa l'effort (sforzo) ottimale, così da raggiungere gli obiettivi prefissati. Ora, a prescindere dalla circostanza che gli incentivi sono comunque costosi per l'impresa, resta vero che essi tendono sovente a produrre effetti di spiazzamento (crowding-out) delle motivazioni intrinseche degli agenti. Ad esempio, se un dipendente è pagato per essere onesto sul lavoro, gli altri non valuteranno più il comportamento onesto come un comportamento morale. E poiché quest'ultimo è associato all'approvazione sociale, si ha che pagare per ottenere un comportamento morale produce l'effetto di erodere nel tempo la forza delle motivazioni intrinseche. Il punto da sottolineare è che uno schema di incentivo - si offre qualcosa che ha valore per dirigere la scelta del soggetto in una direzione piuttosto che in un'altra - nasconde sempre una relazione di potere, una relazione che è certamente preferibile a quella generata dalla coercizione: è sempre meglio offrire incentivi piuttosto che coartare la volontà altrui, come accadeva in epoca fordista. Ma la coercizione non è la sola alternativa possibile all'impiego degli incentivi: vi è, infatti, la persuasione e l'approvazione sociale, che in non pochi casi, si dimostrano essere le più efficienti tra le strategie d'azione. Ebbene, come parecchie storie di successo indicano a tutto tondo, la responsabilità sociale dell'impresa è il più potente dei modi attraverso cui l'impresa si crea una reputazione e dunque è in grado di utilizzare a proprio vantaggio il meccanismo della persuasione nei confronti di tutti coloro che in essa operano. Si pensi - per restare al nostro paese - ad imprese come la Coop, la Merloni, la Henkel Italia, la catena Naturasì, la Società Autostrade, l'Unipol, la Telecom, per indicare solamente alcune tra quelle maggiormente coinvolte nelle tematiche sociali. Si tratta di imprese che stanno utilizzando i vari strumenti della rsi - e in special modo del bilancio sociale - sia per rivedere il modello organizzativo di tutte le funzioni della governance aziendale, sia per avviare un ripensamento radicale circa il modo di fare impresa, oggi. In particolare, circa il modo di favorire i processi di creazione e di diffusione della conoscenza, sia tacita sia esplicita, all'interno dell'organizzazione. A tale ripensamento e, più in generale, all'affermazione di una nuova corporate culture, stanno dando un contributo importante soggetti della società civile quali Sodalitas (espressione dell'Assolombarda); Anima (espressione dell'Unione Industriali di Roma); Humanity (Luiss e Confindustria); l'Osservatorio per la Finanza Etica; il CELE (Centre for Ethics, Law and Economics, dell'Università Cattaneo di Castellanza), AICCON (di Forlì) e ora Nomisma Non Profit. L'obiettivo che, in forme e modalità diverse, accomuna il lavoro di tali soggetti è duplice: per un verso, quello di operare per restituire l'economia alla società e alla vita e per l'altro verso quello di diffondere tra gli imprenditori l'idea che il mercato per poter funzionare, bene e a lungo, ha bisogno anche di una certa dose di gratuità, dal momento che è il principio del dono che fonda lo scambio e non viceversa - come purtroppo ancora molti si ostinano a credere.


Uno studio di Legacoop Bologna sugli indici di bilancio delle cooperative sociali
Legacoop Bologna ha realizzato una ricerca dedicata agli indici di bilancio di un campione di cooperative sociali aderenti. La ricerca, realizzata con il contributo della Camera di Commercio di Bologna, è stata curata da Paolo Camanzi, Martina Masi e Alberto Alberani, ha avuto lo scopo di valutare il risultato conseguito da un campione di cooperative sociali sotto il profilo economico, patrimoniale e finanziario.
L’analisi di bilancio è in genere finalizzata a generare informazioni sulla gestione e sull’azienda; in questo senso, le analisi di bilancio non forniscono “apprezzamenti”, giudizi e valutazioni, bensì informazioni utili per formulare tali giudizi.
Tra i tipi di analisi di bilancio, quella per indici è forse la più conosciuta. Tale analisi si fonda sul presupposto che la comprensione delle dinamiche aziendali non possa basarsi sull’osservazione dei semplici dati indicati in bilancio, ma necessiti di raggruppamenti e rapporti resi dagli indici. Il pregio degli indici è la loro sinteticità e la facilità con cui possono suggerire domande all’analista.
Per l’analisi non sono stati adottati dunque i classici indici relativi al ROI e al ROE, ma si è posta maggiore attenzione agli indici in grado di misurare il valore aggiunto e il suo rapporto al valore della produzione. Gli indici prescelti sono stati:
Indice di liquidità
Rapporto di indebitamento
Rotazione dei crediti in giorni
Incidenza del costo del personale sul valore della produzione
Valore della produzione per addetto
Valore aggiunto
Valore aggiunto su valore della produzione
Dall’analisi, condotta sui bilanci aggregati delle cooperative per il quinquennio 1996-2000, emerge chiaramente che il settore della cooperazione sociale è in forte crescita: nel periodo di riferimento si registra infatti un incremento del 72,8% nel capitale investito, che è arrivato a circa 24 milioni di Euro, e un più 103,71% per il risultato di esercizio. La crescita risulta trainata soprattutto dalle grandi cooperative sociali di tipo A. La ricerca però evidenzia anche come il settore sia finanziariamente debole e non in grado di fronteggiare adeguatamente la crescita. In particolare, gli utili netti risultano molto ridotti in proporzione al valore della produzione limitando così la capacità di autofinanziamento delle cooperative nel settore. Il rapporto di indebitamento rilevato è particolarmente preoccupante per le cooperative di tipo A di medie e piccole dimensioni, anche come conseguenza dell’influenza esercitata dalla cronica sottocapitalizzazione dell’istituto cooperativo.
Nel quinquennio c’è anche stato un peggioramento della rotazione dei crediti (ossia dei tempi di pagamento) a partire dal 1998 che porta a rilevare una rotazione media di 147 giorni per le cooperative di tipo B, 143 per le A di grandi dimensioni e 137 per le altre di tipo A.
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Cooperazione e Bilancio Sociale: suggerimenti per una paternità consapevole di Mario Viviani
Per l'impresa cooperativa l'adozione del bilancio sociale costituisce al tempo stesso una svolta e una "rivelazione" della propria originaria peculiarità. ln realtà si tratta di un processo avviato nell'ultimo decennio del secolo XX e tutt'altro che lineare e indolore: come dimostra il fatto che esso è tuttora nella fase sperimentale ed è lontano dall'essersi generalizzato. Mentre si parla già, ambiziosamente, di "bilanci sociali di sistema".
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Il Bilancio Sociale d'Impresa di Gianfranco Rusconi
Il bilancio sociale non è un'esclusiva delle imprese cooperative. Queste, anzi, sono entrate abbastanza tardi in un dibattito già annoso. Quali sono gli scopi che un' azienda persegue nell'adottare questo strumento? E qual è il contesto "etico" nel quale tale operazione si inserisce? In questo articolo si ripercorrono sistematicamente finalità e significati di un costume comunicativo (e non solo) che sta investendo il tessuto delle economie.
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Pubblichiamo un interessante documento, inviatoci dal presidente del Consorzio Cooperativo Iniziative Sociali, Dott. Dino Terenziani, relativo all'esperienza di realizzazione del bilancio sociale delle cooperative sociali di Reggio Emilia aderenti alla Lega delle Cooperative, che ha visto coinvolte 20 cooperative sociali ( 7 di tipo A e 13 di tipo B).
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