La Psicologia degli Automi
Orazio Miglino, Stefano Nolfi

Introduzione
In molti saggi di questo libro si parla di modelli e simulazioni applicati a vari aspetti della psicologia. In tutti questi casi gli autori tendono a costruire un sapere psicologico fondato su modelli quantitativi e non verbali. In pratica tentano di raggiungere l'obiettivo che la psicologia scientifica persegue dalla sua fondazione: la definizione di leggi formali dei "fatti" psicologici come accade per i "fatti" fisici. Questo è stato il denominatore comune di ogni approccio nato all'interno della psicologia scientifica o sperimentale, come dir si voglia. È storicamente noto che questa ambizione si è sempre scontrata con il numero enorme di variabili che occorre considerare ogni qual volta si vuole quantitativamente spiegare un dato comportamento. Il comportamentismo è morto anche a causa dell'enorme numero di variabili intervenienti che ogni modello assumeva e non controllava. Il cognitivismo agonizza strangolato dal groviglio di "scatole" e "frecce" che propone in ogni sua spiegazione. Uno spiraglio per il rilancio del programma "formalista" è rappresentato dai (relativamente) nuovi modelli "emergentisti" accoppiati con la grande potenza di calcolo degli attuali computer. Infatti, la possibilità di delegare alla capacità di un modello, come nel caso delle reti neurali, di trovare (apprendere) una soluzione a dei problemi con molte incognite (o variabili), sembra aver dato nuova linfa alla psicologia scientifica. L'impressione generale è che si abbiano a disposizione degli strumenti in grado di affrontare l'enunciazione di grandi teorie formali (o simulate, direbbe qualcuno) circa il linguaggio, la formazione dei concetti, i moduli mentali, ecc. Secondo una visione ancora più ottimistica questi nuovi strumenti potrebbero consentire di superare i confini disciplinari tra le varie scienze (biologia, neuroscienze, psicologia, sociologia) per
arrivare ad una Teoria Generale della Vita [Parisi 1999]. L'obiettivo è ambizioso, tuttavia ci sembra che l'approccio emergentista stia introducendo qualcosa di qualitativamente nuovo nel nostro modo di fare ricerca. Ci sembra che questi strumenti, oltre che "rifare la realtà nel computer", come sostiene il titolo di un recente libro di Parisi [2001], consentano di ricreare delle realtà.

Da quando il metodo galileano si è imposto come pratica gnoseologica, i modelli formali (matematici) prodotti dalla scienza sono il frutto di un'opera analitica del ricercatore che per spiegare un dato fenomeno impone una certa struttura di relazioni tra variabili ben definite. Ovviamente quanto maggiori sono il numero di variabili e le leggi di relazioni
assunte dal modello, tanto più grande è la quantità di calcolo necessario per predire, a partire dalla struttura formale, i dati empirici. Alla base delle grandi teorie fisiche del Settecento e dell'Ottocento c'era il lavoro massacrante e organizzato di centinaia di esseri umani. All'epoca il calcolatore (o computer) era sinonimo di persona delegata a fare calcoli [Bailey 1996].
Fortunatamente, questa attività ripetitiva e priva di qualsiasi forma di creatività è stata progressivamente automatizzata fino ad arrivare alla sua totale meccanizzazione. L'attuale potenza dei computer ha consentito di affrontare il calcolo di modelli matematici complicatissimi. Questo è il campo ben noto delle cosiddette simulazioni numeriche entrato nella pratica comune sia nella ricerca di base che in quella applicata. In questo caso, però, il progresso è stato solo quantitativo. La logica sottostante alla costruzione delle Teorie scientifiche è rimasta sostanzialmente la stessa da 300 anni a questa parte. È cambiata solo una cosa: un tempo il calcolatore era un essere umano, ora è una macchina.
Esiste comunque una nuova possibilità che la grande potenza di calcolo oggi a disposizione consente: la riproduzione (o simulazione) dei meccanismi di adattamento, apprendimento, evoluzione sottostanti alla vita di ogni sistema biologico. In questo caso, una particolare competenza o comportamento del modello emerge come risultato di questi processi di adattamento simulati. Per esempio, immaginiamo di voler spiegare alcuni indici comportamentali relativi all'orientamento spaziale di un ratto in un labirinto. Secondo l'approccio emergentista, il ricercatore addestra un sistema artificiale a produrre i dati empirici. La competenza di orientarsi nello spazio, quindi, non viene direttamente imitata/simulata, ma è un prodotto dei processi di adattamento/apprendimento inseriti nel modello simulato. A questo punto possiamo dire che la competenza così ottenuta rappresenta un modello del comportamento di orientamento spaziale dei ratti? La risposta non può essere netta. In qualche misura è affermativa perché, in fin dei conti, la soluzione appresa dal modello spiega e predice i risultati empirici osservati. D'altra parte è anche vero che il modello acquisisce autonomamente la competenza di orientamento spaziale. Ed è questo scarto di autonomia che fa la differenza con la modellistica tradizionale e le simulazioni
numeriche in generale. La libertà data al modello di apprendere un compito potrebbe aver portato il sistema a produrre i medesimi indici comportamentali del ratto, ma la logica (o la psico-logica) con cui li ha ottenuti potrebbe essere completamente diversa. Tutto sommato le formiche e gli esseri umani possono presentare dei comportamenti di orientamento spazialedel tutto simili. Ma basta questo per dire che la formica è un buon modello dell'attività di
orientamento spaziale umana (o viceversa)?
Questo è il punto. Modellare i processi di adattamento/apprendimento/autorganizzazione, come accade nel caso delle reti neurali artificiali, può trasformare le strutture formali in sistemi autonomi molto simili a nuove forme di vita più che alla "fotografia" schematica di un pezzo del reale. A certi condizioni, che vedremo nelle pagine seguenti, questi modelli possono essere considerati alla stregua di veri e propri organismi artificiali, insomma come una nuova realtà e non solo delle simulazioni della realtà.

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