Il significato e la stanza cinese di Giuseppe Bonaccorso
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Abstract: nell’articolo viene analizzato criticamente il criterio di Turing per la valutazione dell’intelligenza di una macchina e tutti i risvolti filosofici, psicologi e scientifici che l’intelligenza artificiale basata sul comportamentismo ha suscitato in varie scuole di pensiero.Un ruolo particolarmente di primo piano è svolto dalla controprova “della stanza cinese” proposta da John Searle, che qui viene studiata nell’ottica di una teoria della mente priva di qualsiasi pregiudizio ontologico o paradigmatico.

I PRO E I CONTRO DEL TEST DI TURING
Intorno al 1950 Alan Turing, dopo un lungo studio sulle macchine a stati finiti [5] – i cosidetti automi –, iniziò a prendere in considerazione l’ipotesi che tali “creature”, meravigliosamente eleganti e lontane dalle aspettative di ogni scienziato di inizio secolo, potessero acquisire la capacità di interfacciarsi con l’uomo in modo naturale, usando per esempio proprio il linguaggio. Non si può dire che l’intelligenza artificiale sia nata con Turing, ma ciò che è certo è il fortissimo impatto che il suo famoso test esercitò nel mondo della ricerca: un gioco, secondo le parole dell’autore, ma il cui obiettivo non era quello di muovere pedine o scagliare oggetti lontano, esso era piuttosto orientato al riconoscimento di una macchina (o di un qualsiasi altro agente) a partire dalle risposte che essa avrebbe dato ad ogni domanda posta da un soggetto umano. Un test comportamentistico quindi, il cui fine non era quello di identificare se e dove ci potesse essere intelligenza, ma piuttosto di valutare il grado di abilità del sistema artificiale nel dare risposte consone e spiazzanti; naturalmente quando si parla di macchina in questo ambito, è sempre importante precisare che non viene mai fatta menzione dei requisiti hardware necessari per poter conseguire un certo risultato.
Lo stesso Turing basava le sue affermazioni più sulla lungimiranza che sulla consapevolezza e in [1] a pag.64 egli scrive: << ...Io credo che tra una cinquantina d’anni sarà possibile programmare calcolatori aventi capacità di memoria di circa 109, in modo da farli giocare così bene al gioco dell’imitazione2 che un interrogante medio avrà una probabilità non superiore al 70% di compiere l’identificazione giusta dopo cinque minuti di interrogatorio. >>. La ragione di questa richiesta abbastanza alta (nell’ordine del gigabyte) di memoria è da ricercarsi proprio nell’approccio computazionale che Turing desiderava seguire: ciò che interessava realmente non era la struttura esteriore e le eventuali funzionalità grezze, ma piuttosto il programma, ovvero ciò che noi, controbattendo le affermazioni di John Searle, definiamo intenzionalità della
macchina. Un dispositivo in grado di superare il test di Turing (ingannando quindi anche il più smaliziato degli
interroganti) non è altro che un programma, più o meno variegato, che deve essere in grado di operare opportuni
collegamenti tra le domande e le risposte, ma attenzione ! Io non ho detto che esso deve poter attuare solo ed
esclusivamente un processo associativo ponderato, ma che il suo relazionamento con l’interlocutore deve necessariamente avvenire sulla base di un dialogo. Come vedremo in seguito questo approccio è già di per sè a netto sfavore della macchina ed è la causa dell’acceso dibattito che culminerà nell’esperimento virtuale della stanza cinese proposto da Searle. Io credo che Turing, nel formulare il suo gioco dell’imitazione, non intendesse esasperare il concetto di programma sino a spingere moltissimi ricercatori a creare due fazioni distinte (quella dell’IA forte e la sua opposta) ed è ben chiaro che molte ricerche contemporanee all’uscita del suo scritto “Computing Machinery and Intelligence” erano ancora in fase embrionale. La macchina a stati finiti e il calcolatore digitale rappresentavano per i molti un traguardo di straordinaria inventiva umana e furono non pochi i registi che precorsero i tempi e animarono grossi ammassi di ferraglia sino a farli apparire a tutti gli effetti
umanoidi; tuttavia oggi la situazione è cambiata radicalmente e molti entusiasmi hanno lasciato il posto ad una più cauta analisi dei dati di fatto. Ed è proprio da ciò che intendo iniziare il mio discorso. Il test di Turing è, come abbiamo visto, comportamentista, ma è anche senza dubbio molto soggettivo poichè è proprio l’interrogante il giudice supremo che deve decidere se ha di fronte un uomo o una macchina, ovvero egli dovrà confrontare il comportamento (in termini di risposte) dell’interlocutore con quello di un’ipotetica persona di media cultura e capacità. Ma come è possibile avere sempre la certezza che un certo dialogo non può essere umano, mentre un’altro lo è ? Inoltre nel test è prevista la possibiltà del bluff che, se sapientemente utilizzata, può gettare alle ortiche ogni burlume di determinismo nella decisione; ad esempio se doveste leggere questo dialogo:

A) Come ti chiami ?
B) xT334GhhdrN&353
A) Sei una macchina ?
B) 2rer%6gghd
A) Cosa ne pensi dell’ingegneria genetica ?
B) R&fffdwe55333
....
sareste in grado di dire chi è l’uomo e chi la macchina ? Di primo acchito tutti risponderebbero che B non soltanto non è umano ma è anche programmato molto male ! Ma ne siete certi ? E’ possibile che A sia un programma che effettua delle domande e B sia un burlone che si diverte a confondere le idee... Il bluff è capace di sovvertire molte certezze e, per questa ragione, bisogna essere estremamente cauti quando si effettuano valutazioni “alla cieca”. Chiaramente tutto sarebbe diverso se i due interlocutori fossere disposti l’uno di fronte all’altro e non ci fossero sistemi di telecomunicazione per pilotare la macchina da remoto. In questo caso quasi ogni dubbio verrebbe dissipato. Ho detto “quasi” perchè nulla vieta alla macchina di scherzare ! Alla domanda qual è la tua fonte di energia essa potrebbe benissimo rispondere “i grassi e gli zuccheri”, oppure, in un caso estremo, essa potrebbe fare apparire sullo schermo una scritta “Errore di Sistema. Buffer Overflow”, al che ogni interrogante con poca pazienza sarebbe in diritto di alzarsi e ridere in faccia agli ingegneri... Il test di Turing, nella sua semplice genialità, prevede anche questo ! Tuttavia il contatto diretto con la macchina, qualunque essa sia, è sempre fonte di sgradevoli pregiudizi che lo stesso Turing fa notare: <<... Nel corso della propria vita un uomo vede migliaia di macchine e, da ciò che di esse vede, trae un gran numero di conclusioni generali: sono brutte, sono progettate ciascuna per uno scopo ben preciso e quando le si vuole usare per uno scopo anche solo un pò diverso diventano inutili; la varietà di comportamento di ognuna di esse è limitata, ecc., ecc. ...>>. L’induzione psicologica che ci porta ad estendere le caratteristiche di un esemplare all’intera specie è sempre stata molto forte ma in questo settore il radicamento di idee pseudo-dualistiche ha spesso avuto la meglio su coloro che non riescono a raggiungere una posizione ferma. Molti biologi e filosofi si sono giustamente chiesti: E’ vero che il superamento del test di Turing conferisce intelligenza alla macchina ? Per chi volesse approfondire criticamente questo aspetto consiglio la lettura del capitolo “Il Test di Turing: una conversazione al caffè” di D. Hofstadter a pag. 76 di [1] , ma per adesso limitiamoci ad osservare, come già fatto in precedenza, che il gioco dell’imitazione è a netto sfavore per la macchina: essa è infatti costretta a rispondere ad una serie di domande poste in un
linguaggio astratto e senza alcuna corrispondenza semantica; d’altronde, come scrive Daniel Dennet, << ... l’assunto che Turing era pronto a sostenere era che nulla potrebbe mai superare il test di Turing vincendo il Gioco dell’Imitazione senza essere anche capace di compiere un numero indefinito di altre azioni manifestamente intelligenti... >>. 3

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1 Per contatti: http://www.neuroingegneria.com oppure Email a webmaster@neuroingegneria.com
2 E’ questo il nome che Turing diede al suo test.
3 In tal senso io nutro qualche dubbio: il test di Turing può anche essere superato con un approccio “a forza bruta” soprattutto quando l’interrogante non ha pretese particolarmente esigenti. Se ammettiamo che la durata della prova è comunque limitata, una grossa base di dati è in grado di contenere moltissime coppie domanda – risposta e il programma deve limitarsi ad inferire il risultato sulla base della correlazione esistente tra richiesta reale e archetipo preimmagazzinato. Qualora ciò accada non credo che una siffatta macchina possa far fronte ad ulteriori situazioni intelligenti.

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