IL MARKETING SOCIALE E
LA PSICOLOGIA DI COMUNITA'***

1. La Psicologia di Comunità

La psicologia di comunità si può definire come la psicologia del lavoro e dell’organizzazione territoriale (Contessa, Sberna, 1981), Si tratta di una branca della psicologia interessata a studiare e intervenire sui problemi psicologici inerenti gli operatori sociali; i servizi sociali, culturali, educativi e sanitari del territorio; i bisogni sociali del cittadino; i rapporti inter-istituzionali territoriali.

La psicologia di comunità si occupa di problemi psicologici, cioè attinenti i modi di pensare, sentire e comportarsi degli attori sopra indicati; quindi nella sua sfera entrano:

a- opinioni, pregiudizi, immagini e desideri espressi

b - atteggiamenti, potenzialità, bisogni latenti

c - comportamenti e relazioni sociali ed istituzionali

d - processi e dinamiche organizzative e comunitarie

In questi anni di vita (circa 40 negli USA e circa  10 in Italia) la Psicologia di Comunità si è occupata di numerosi problemi di grande interesse:

1.    I rapporti fra cittadini e servizi territoriali

2.    I problemi di stress e burn out fra gli operatori sociali

3.    I bisogni emergenti fra gli utenti dei servizi

4.    Le dinamiche organizzative intra ed inter-istituzionali

5.    Gli interventi di prevenzione e sensibilizzazione

6.    Problemi di valutazione dell’efficienza e dell'efficacia dei servizi

7.    Le figure sociali e professionali emergenti

8.    La disoccupazione.

1.1. I problemi aperti

Come tutte le discipline, anche la psicologia di comunità ha aperto più problemi di quanti ne abbia risolti; o meglio, ha trovato modi originali di leggere e interpretare i problemi.

Queste nuove chiavi di lettura e queste nuove sensibilità evidenziate dalla psicologia di comunità, come vedremo nelle pagine seguenti, hanno fra l'altro favorito un avvicinamento fra questa disciplina di intervento tipicamente sociale ed il marketing, che è una modalità di intervento tradizionalmente aziendale.

1.1.1.  Il vissuto comunitario

La psicologia di Comunità ha senso solo in presenza di una comunità. D'altro canto solo la presenza di una comunità giustifica tutte le Riforme sociali avviate negli Anni Settanta.

La Scuola, mediante la istituzione degli Organi Collegiali, ha mutato la sua natura da servizio periferico totalmente dipendente dal Ministero a unità legata al territorio e co-gestita con esso. La Riforma Sanitaria ha inteso avvicinare i servizi ai cittadini, tramite l'individuazione di "bacini di utenza" avanti una certa omogeneità e una certa forma unitaria. La Legge 180 ha spazzato via la logica dell'istituzionalizzazione del disagio psichico, per affidarlo al territorio, inteso come rete integrata di servizi. Il Decentramento Urbano, non ha avuto solo il segno di una dislocazione geografica dei servizi comunali, ma anche e soprattutto il significato di riconoscere autonomia e identità a unità geo-sociali sub-metropolitane.

In alcune Regioni si sono individuati territori omogenei di produzione culturale chiamati Sistemi Bibliotecari. Insomma negli Anni Settanta sono apparse alla ribalta della società italiana numerose nuove entità sociali ed istituzionali, definite come "forme" aventi peculiari compiti ed autonomie: i Distretti Scolastici e Sanitari, le Circoscrizioni Urbane, i Sistemi Bibliotecari, le Comunità Montane, i Comprensori. Nuovi raggruppamenti territoriali nei quali lo Stato ei servizi si sono articolati.

Né ha senso recriminare sul fatto che molte di queste realtà sono state più dichiarate che effettive: aldilà delle normali oscillazioni storiche che ogni società incontra nella sua evoluzione, resta il fatto che il processo di suddivisione ed articolazione è indispensabile alle esigenze della complessità postindustriale.

Fenomeni vistosi come quelli della Partecipazione, del Volontariato e delle radio -TV private; ipotesi suggestive come quella della prevenzione primaria e della educazione permanente e integrata;   tendenze come quelle delle comunità di accoglienza, dei day-hospital e dei Centri Giovanili, non si spiegano se non hanno a monte una visione del territorio strutturato in comunità di appartenenza.

Naturalmente, sappiamo che un conto è definire confini amministrativi e giuridici, un altro è attivare una reale comunità vissuta come tale dai cittadini e le istituzioni che ne fanno parte. L’alternativa all'ipotesi della comunità territoriale vissuta come unità di appartenenza è il ritorno al modello della società di massa, governata da una unità centrale burocratizzata e totalitaria e con i suoi corollari di spersonalizzazione,  alienazione ed estraneità.

La psicologia di comunità, come psicologia di queste nuove "Gestalt", ha sollevato il problema di farle esistere e funzionare in realtà, e non solo come simulacri cartacei.

Il processo di appartenenza psicologica a "forme" nuove é certo di lunga portata storica, ma può e deve essere favorito ed accelerato da opportuni interventi. I quali si pongono come preliminari ad ogni altro: prima di poter intervenire su una "forma" occorre che essa abbia una minima consistenza vitale nei suoi attori (Contessa, 1987).

1.1.2. Il cittadino-utente come referente

Tradizionalmente, i servizi in Italia rispondono ad una logica istituzionale più che di mercato. Il "padrone" dei servizi non è il cittadino, bensì l'operatore o l'autorità gerarchicamente superiore.

Come tutte le istituzioni burocratiche, i servizi dimenticano ben presto i finì per cui sono sorti e li sostituiscono con finalità "interne". Un esempio illuminante di tale processo è la diffusione del movimento per i Diritti del Malato, che fa pensare come gli ospedali abbiano dimenticato il loro primo fine istituzionale. .

La democratizzazione degli organi di governo dei servizi ha sottolineato il passaggio dalla logica centralista a quella comunitaria, ma in sostanza ha significato solo la cooptazione di migliaia di individui nel ceto politico. Il cittadino è definito utente, ma i servizi non sono "utensili" che il cittadino usa a suo piacere. Questa dinamica tipica di tutte le istituzioni è aggravata nei servizi di pubblica utilità, sia per la assenza di un mercato concorrenziale sia per l'assenza di procedure valutative interne. I servizi infatti non si misurano con i risultati, ma solo con la rispondenza alle procedure o con la fedeltà al potere interno. Spesso accade che le procedure siano un fantasma agitato ed utilizzato in occasione di scontri di potere. Migliaia di norme vengono evase nei servizi, con la compiacenza di tutti, finché le lotte di potere non richiedono un ritorno al loro rispetto. Il passaggio ad una logica del cittadino come utente-padrone del servizio è una vera rivoluzione culturale ed organizzativa, e non può avvenire se non tramite interventi intenzionali. Molti dei quali sono di tipo giuridico ed economico (leggi e contratti di lavoro); ma molti dei quali sono di tipo culturale e psicologico.

1.1.3. Il problema dell'utente potenziale

Lo sganciamento dei servizi dal mercato e da qualsiasi procedura di valutazione porta al paradosso che, in teoria, gli operatori sono incentivati a ridurre il numero di utenti. I servizi puntano ad avere pochi utenti ed i più "adatti" alle risorse e alla cultura esistente.

Esempi di questo tipo ne abbiamo nelle comunità alloggio o terapeutiche dove la procedura di ammissione è molto attenta; nella attività terapeutiche o formative fomite dai servizi sociosanitari, nelle quali la selezione degli utenti è raffinata; nella scuola, dove i portatori di handicap vengono sempre più spesso dislocati in spazi "cripto-differenziali";  nei centri ricreativi, dove vige una specializzazione per età. In sostanza avviene che molti servizi si specializzano sempre più per piccole fasce di utenza, utilizzando procedure molto selettive.

Selezionano di fatto tramite gli orari di apertura al pubblico, oppure la selezione avviene mediante il "messaggio" di presentazione del servizio o le modalità di accesso.

Intendiamoci, la specializzazione è spesso sintomo della serietà degli operatori: solo in alcuni casi è un trucco per ridurre gli impegni e le difficoltà. Purtroppo però, nel settore sociale non c'é la stessa situazione del settore medico, dove esistono tutte le specializzazioni (o quasi). In molti casi, nel territorio, non esistono tanti centri specializzati integrati, ma uno o due (e spesso incomunicanti o conflittuali). Questo significa che quel territorio godrà di un servizio specialistico e vedrà insoddisfatti i bisogni della generalità.

Nelle situazioni migliori si considera utente chi si accosta al servizio, ne fa uso o vi partecipa in qualche misura. Questo fenomeno presuppone:

a) che il cittadino abbia chiara la natura del suo bisogno;

b) che il cittadino conosca la mappa dei servizi disponibili e sappia la funzione di ciascuno; quindi

c) che il servizio sia stato capace di presentarsi con chiarezza e appetibilità agli utenti potenziali di oggi e di domani;

d) che il cittadino riesca a superare le difficoltà psicologiche, cognitive e logistiche per accostarsi al servizio.

Il verificarsi di tutte queste condizioni è una coincidenza che riguarda giocoforza una piccola minoranza dei cittadini potenziali utenti del servizio. Ciò significa che esiste un'area di utenza potenziale in ogni comunità che demarca il disagio inespresso o espresso in forme indirette e simboliche (cioè violenza, danneggiamenti, isolamento, disappartenenza, autolesionismo, emarginazione, sintomi psicosomatici, ecc.). I Servizi migliori dunque fanno un servizio, ma non scalfiscono il bisogno sociale diffuso. Definire l'utenza potenziale, accostarvisi, convincerla a far uso del servizio giusto nei modi appropriati è un tipico problema posto dalla Psicologia di Comunità.

1.1.4. Dal servizio "porta aperta" al servizio "porta a porta"

11 problema dell'utente potenziale è collegato alla ristrutturazione dei servizi, come mentalità e come competenze. Non avendo come referente il bisogno sociale e dunque l'utente potenziale, i Servizi si basano sulla logica della "porta aperta"; cioè attendono il cittadino cui fornire aiuto (Contessa, 1986).

Ne consegue che arriva al servizio solo il cittadino "maturo" o per cultura o per disperazione. Sociologicamente diremmo o medio-borghese o drop-out da tempo in contatto con le istituzioni d'aiuto. Qualche esempio va fatto. In biblioteca vanno solo persone che possono leggere il cartello indicatore dell'edificio e degli orari di apertura, non gli analfabeti. Nei servizi per tossicodipendenti arrivano i figli di famiglie "medie", per cultura e per unità interna, oppure i tossici semi-distrutti sulla soglia dell'aldilà: i giovani con alle spalle famiglie "down" per cultura o per disgregazione o i giovani tossicodipendenti "ancora in piedi" sono in minoranza a fare uso dei servizi.

Nei Servizi materno-infantili si presentano soprattutto le coppie acculturate, non quelle del sottoproletariato. Gli studenti a scuola sono seguiti da genitori piccolo o medio-borghesi e da famiglie unite, non da famiglie disgregate e sottoproletarie.

E così via. I servizi "porta aperta" tagliano fuori i cittadini, utenti potenziali, che avrebbero più bisogno d'aiuto. L'attuale fenomeno dell'evasione dell'obbligo scolastico è una conferma vistosa di questa analisi.

Naturalmente molti operatori si sono posti da tempo questi problemi, anche grazie alla psicologia di comunità, e hanno ipotizzato o si sono mossi verso una logica del "porta a porta", cioè portando il servizio laddove esiste il bisogno, e trasformando il servizio in Unità di intervento. Naturalmente passare da una logica passiva e casuale ad una logica attiva e programmata, richiede una rivoluzione culturale ed una somma di capacità e procedure molto insolite.

1.1.5. La prevenzione e i bisogni futuri

L'utente potenziale è non solo colui che ha un problema ma non lo riconosce o non sa a chi rivolgersi. E' anche colui che avrà un problema domani, mentre oggi fa solo parie di un gruppo "a rischio" o addirittura è senza alcun problema, cioè "sano e normale".

La psicologia di Comunità è quella che più di altre discipline si occupa dell'agio più che del disagio, del benessere più che del malessere, della prevenzione più che della terapia.

Questo naturalmente implica l'impiego di modi di pensare e di agire di tipo "anticipatorio" anziché "catastrofico". Occuparsi degli studenti prima che siano espulsi dalla scuola; dei giovani invece che dei tossicodipendenti; dei genitori invece che dei minori maltrattati; degli analfabeti invece che dei lettori; dei prepensionati invece che degli anziani; dei centri giovanili invece che delle carceri minorili, significa fare prevenzione.

Ovviamente è difficile, perché il disagio è assai più visibile e doloroso dell'agio; perché nei Servizi sanitari ci sono terapeuti e non preventori; perché nelle scuole ci sono insegnanti più che educatori. Ma forse è difficile anche perché il soggetto disagiato è debole e dipendente, mentre il soggetto agiato è forte e contrattuale, dunque assai più critico.

D'altronde il lavoro preventivo ed il pensiero anticipatorio devono iniziare ad attivarsi nei servizi, per due motivi. Il primo è culturale e morale: l'azione successiva raramente riesce ad essere più che riparatoria o consolatoria; inoltre é molto costosa in termini di dolore. Il secondo è più materiale e forse più accettabile come motivo per la prevenzione: ed é il costo progressivo degli interventi "post" disagio.

Le espulsioni dalla scuola hanno un costo sociale enorme; le psicoterapie nei servizi promettono di dilagare; la tossicodipendenza si espande: quanto costeranno in futuro i servizi "successivi", come danni individuali e sociali, e come spese di intervento?

La prevenzione è una risposta non certo sostitutiva ma necessaria per anticipare i disagi futuri. In alcuni casi (per esempio la tossicodipendenza o l'analfabetismo di ritorno) è facile prevedere quanti utenti, in una certa zona , saranno colpiti, a condizioni inalterate . In altri casi si tratta di fare un lavoro previsionale vero e proprio: i problemi dei "single" come i problemi degli immigrati di colore non hanno ancora scatenato sintomi particolari ma è facile prevedere che lo faranno presto.

1.1.6. L'utenza collettiva

In una logica preventiva e di massa, è naturale che si comincia pensare non solo a utenti individuali ma anche  a utenti collettivi. Qui la psicologia di comunità ha sviluppato numerose teorie e tecniche: dalla terapia di rete a quella famigliare e sistemica; dall'intervento organizzativo ai gruppi di self help; dall'intervento ambientale ed ecologico, alle organizzazioni volontarie. L'utenza collettiva può essere distinta in tre categorie:

a - il gruppo di utenti di un Servizio

b - il gruppo di volontari o disagiati omogenei solidali

c - l'organizzazione territoriale disagiata.

La prassi di intervenire con gruppi di utenti, invece che con singoli, sta diffondendosi sempre più nei servizi.

Il primo motivo è quello economico, visto il costo di un rapporto uno a uno fra utente e operatore. Di eguale importanza è  il motivo della particolare valenza di cambiamento scoperta nel piccolo gruppo a partire dal lavoro di K. Lewin (Marrow, 1977). Gruppi di ricerca, di lettura, di studio, di terapia, di espressività, di ricreazione, di formazione e sensibilizzazione stanno dunque sostituendo l'utente singolo (Spaltro, 1985).

Questo cambiamento non solo richiede negli operatori competenze specifiche nelle dinamiche e nelle tecniche di lavoro di gruppo, ma implica anche una prospettiva di "raggruppamento". Gli utenti non si presentano al Servizio già in gruppo, ma individualmente. Spetta agli operatori stabilire criteri di raggruppamento,  selezionare gli utenti in base ai criteri, e poi avviare gruppi omogenei per interesse, condizione o problema. Inoltre, essendo il gruppo una entità specifica, è necessario istituire fra i soggetti un patto "istituente" il gruppo.

Con lo sviluppo dell'ottica comunitaria, per la quale il problema deve essere affrontato nel luogo dove nasce e con le risorse che in esso si trovano, hanno trovato grande sviluppo i gruppi di auto-aiuto o i gruppi di volontari uniti da un problema simile. Molti di questi gruppi nascono spontaneamente, altri vengono promossi da servizi territoriali. La loro caratteristica è quella di una forte autonomia unita in genere ad una grande coesione.

Gradualmente essi diventano, all’interno della comunità, vere e proprie entità ben caratterizzate, capaci di esprimere bisogni e proposte, di intervenire e negoziare. Nei rapporti comunitari essi si presentano come collettivi esprimenti proprie dinamiche e bisogni originali; i Servizi devono dunque rapportarsi ad essi non come semplici gruppi di utenti, ma come interlocutori bivalenti: in parte utenti, in parte partner.

Un terzo tipo di utenza collettiva è rappresentata dalle organizzazioni presenti in comunità, che spesso di pongono come portatrici di un disagio interno o come produttrici di disagio per i soggetti che ne fanno parte.

Una scuola elementare molto selettiva potrebbe diventare un utente collettivo; allo stesso modo potrebbero porsi dei gruppi giovanili, incapaci di fomite un servizio efficacie ai giovani del quartiere; o ancora un caseggiato o rione, particolarmente "a rischio"; o un centro ricreativo in difficoltà di rapporti con gruppi di devianti. In tali casi è l'organizzazione nel suo complesso, intesa come unità speciale, che diventa utente di un Servizio, o su richiesta o sull'ipotesi avanzata dal servizio stesso.

Qui le dinamiche sono particolarmente complesse ed i bisogni organizzativi richiedono una serie di interventi specifici. La psicologia di Comunità ha evidenziato le peculiarità di un lavoro su e con i gruppi e le organizzazioni, cioè con un'utenza collettiva, ed ha sperimentato numerose tecniche di intervento.

Tuttavia restano aperti numerosi problemi teorici e pratici, che richiedono sensibili avanzamenti nei prossimi anni.

1.1.7. Gli incentivi motivazionali e la qualità nelle Organizzazioni

La psicologia di comunità si sforza di affrontare i problemi sopra delineati, ma si scontra con il pesante problema della Qualità del lavoro sociale e dei Servizi. In sostanza si scontra col problema della motivazione alla Qualità e della motivazione all'appartenenza attiva. I cittadini, gli operatori, le stesse organizzazioni sociali non solo non sono premiati ma vengono penalizzati se si impegnano per la Qualità della convivenza comunitaria.

Giorni di lavoro persi, orari straordinari, trasferte, serate e week-end impegnati, affetti trascurati, piccole spese senza rimborsi; e poi conflitti interpersonali, rischi di sanzioni o emarginazioni, accettazione sociale abbassata: questi sono i costi del lavoro sociale sia esso volontario o professionale orientato alla Qualità.

L'unico corrispettivo per tutto ciò è di tipo morale o ideologico. Il risultato più ricorrente è quella che si è chiamata "burn-out syndrome".

Per accettare i pesanti costi derivanti dal lavoro sociale comunitario, molti si sentono spinti ad iper-idealizzare gli obiettivi, estendendoli fino alla grandiosità ed all'onnipotenza, Dopo le prime sconfitte o delusioni subentra una condizione psicologica di rifiuto e di ritrazione psichica, con pesanti risvolti di svalorizzazione di sé o dell'utenza (AA.VV. 1987).

Non è un caso se il volontariato riguarda in prevalenza i giovanissimi e se la "voglia di Qualità" nel lavoro sociale riguarda gli operatori fino ai trent'anni. Le eccezioni ci sono, ma sono rare. Anche qui però resta il problema che di solito i volontari o i professionisti impegnati nella Qualità, sorgono all'interno di situazioni favorevoli, cioè meno bisognose di risorse. Per esempio nelle borgate i volontari sono "importati" dall'esterno, mentre sarebbe utilissimo che nascessero "dal di dentro". Nelle organizzazioni tese al mutamento, vivaci ed aperte, è facile trovare operatori impegnati per la Qualità, ma ce ne sarebbe più bisogno nelle organizzazioni sclerotiche, burocratizzate e dequalificate. In altre parole, finché il volontariato e la qualificazione organizzativa sono attese messianicamente, c'è solo da aspettarsi che sorgano nelle situazioni più favorevoli. Ancora una volta, le situazioni più depresse e disagiate, cioè che necessitano di maggiori aiuti e stimoli, sono quelle da cui meno ci si può aspettare motivazioni e risorse per cambiare.

Dunque, è importante difendere e valorizzare sia il volontario che l'operatore che si impegnano per la Qualità comunitaria. Per esempio si tratta di riconoscere il contributo sociale del volontario, magari contenendo le sue perdite lavorative; fornendogli aiuto e sostegno in termini di formazione e supervisione; offrendogli facilitazioni per i trasporti e le comunicazioni. Ma si tratta anche di risolvere l'annoso problema della valutazione delle prestazioni degli operatori sociali, affinché si arrivi ad un reale riconoscimento della Qualità (non del ruolo) nelle prestazioni.

Ma anche più importante è studiare un pacchetto di incentivi motivazionali, per coloro che non sono "votati" al volontariato. Lo stimolo etico o ideologico funziona solo per una minoranza di persone e per tempi piuttosto brevi. Occorre affiancare a questo, altri generi di incentivi, come: permessi di lavoro, gratuità nell'uso di certi servizi, viaggi-premio di studio, riconoscimenti pubblici, accesso ai mass media locali e così via.

Un ruolo particolare nella promozione della Qualità nelle organizzazioni ce l'hanno i sopra-sistemi che hanno sulla comunità un certo potere di controllo. Per esempio certi fondi possono essere stanziati in base al raggiungimento di predefiniti standard, oppure si possono attribuire premi particolari (di tipo materiale o onorifico) ai sotto-sistemi che raggiungono migliori risultati.

1.1.8. Il problema della Qualità

L'incentivazione è strettamente legata al problema della Qualità. Possiamo definire questo termine come la ottimizzazione del rapporto mezzi-risultati (efficienza) e del rapporto risultati-bisogni (efficacia) (Sardella, 1985).

Questa definizione implica la predeterminazione dei risultati da valutare e del modo di valutarli; e dei bisogni da misurare e del modo di misurarli. Temi di grande complessità, ma anche poco studiati, finora. Per cui non sembra eccessivo ipotizzare che la scarsità di punti fermi su questo problema sia proporzionale alla scarsità delle risorse investite per studiarlo.

Poiché la comunità non è un'impresa, non basta avere la misura del prodotto lordo o dell'utile per avere un indice della sua Qualità. Occorre richiamarsi a indicatori sanitari, culturali, criminali, scolastici, cioè  legati oggettivamente alla Qualità della vita; ma bisogna riferirsi anche a indicatori più soggettivi quali le opinioni, i sentimenti e gli atteggiamenti.

Altrove ho chiamato tutto ciò Osservatorio Psicosociale del Benessere (Contessa,1984).

L'efficienza diventa dunque il rapporto fra i mezzi e la diminuzione o l'aumento del valore degli indicatori. La variazione degli indicatori poi va rapportata ai bisogni reali della comunità, per trovare il tasso di efficacia.

Per esempio, un Servizio per la Tossicodipendenza che trattasse, a parità di risorse e con successo una percentuale in più di utenti ogni anno, potrebbe essere giudicato efficiente; ma sarebbe poco efficace se il numero complessivo dei casi trattati fosse una percentuale minima rispetto al fenomeno droga nella comunità.

In altri casi un Servizio potrebbe essere molto efficace, cioè in grado di soddisfare appieno un bisogno della comunità, ma a tali costi economici e psicologici da essere definito inefficiente. Il problema della Qualità è stato in passato confuso con il freddo efficientismo e l'economicismo anti-umanistico.

A me sembra che poche cose siano alienanti ed anti-umane come lo spreco di risorse. In una comunità a risorse limitate (ed ogni comunità ha dei limiti di risorse umane e economiche) ed a bisogni illimitati (e tutti i bisogni sono illimitati), ogni scelta inefficiente o inefficace è una scelta "a danno" di qualcuno. Un servizio costoso e inadeguato a certi bisogni è una sottrazione di risorse per altri servizi ed altri bisogni.

Qualcuno teme che dietro termini come Qualità e Valutazione si nascondano reviviscenze autoritarie e pericoli di arbitrio.

Questo pericolo va certo controllato mediante la massima trasparenza e partecipazione nella determinazione degli indicatori e delle procedure per misurarli e valutarli. Tuttavia mi pare che proprio nella attuale situazione di "Qualità Casuale", non programmata né valutata consensualmente, si annidi il vero arbitrio. Attualmente l’apertura o chiusura di un Servizio, l'aumento di operatori e risorse o la loro diminuzione, la carriera o l'assegnazione di mansioni, sono i processi più arbitrari (cioè sottoposti all'arbitrio di chi detiene il potere) che si conoscano.

1.1..9. Le aggregazioni non profit

La Psicologia di Comunità dà grande importanza ai servizi comunitari, ai gruppi ed alle istituzioni, ma anche a tutte le aggregazioni non profit in genere. Le Associazioni, le Fondazioni, i Comitati, le Federazioni, le Cooperative sono aggregazioni non profit, nel senso che si distinguono dalle imprese per avere al centro scopi diversi da quelli del profitto. Parlo di centralità del profitto perché da una parte l'impresa ha anche altri scopi (occupazione, sviluppo sociale, produzione di utilità, ecc.), e le aggregazioni non profit, pur avendo al centro altri scopi, non possono trascurare l'aspetto economico.

Queste aggregazioni sono più strutturate dei semplici gruppi, ma meno strutturate delle istituzioni locali o dei Servizi Sociali. Questa condizione porta alla convivenza di due esigenze spesso in contrasto: quelle derivanti dal volontariato (gratuità, ideologizzazione, grande libertà personale) e quelle derivanti dall'organizzazione (economicità, realismo, normatività).

Fino agli Anni Ottanta nelle organizzazioni non profit ha certamente prevalso la logica del volontariato, per cui il "piacere" delle scelte personali faceva premio sulla qualità operativa.

Tuttavia negli ultimi anni si sta sviluppando molto interesse per i problemi del lavoro e dell'organizzazione nel settore da molti identificato come "terziario sociale avanzato".

Alcune modalità organizzative tipiche dell'impresa possono anche essere tradotte nel contesto non profit, ma molti problemi richiedono un approccio specifico e nuovo. La motivazione al lavoro non può basarsi su incentivi economici o non solo su essi, ma deve basarsi su una identificazione fra la organizzazione quotidiana e i valori dichiarati, e ciò implica una enorme creatività e flessibilità organizzativa.

Ancora, il governo del turnover diventa un problema cruciale nelle organizzazioni non profit, che devono fare i conti con ondate successive di nuove generazioni di addetti. Anche il management deve trovare modelli e stili originali, fra quello d'impresa e quello del "gruppo amicale". Questi problemi assumono una ancora maggiore importanza in quelle organizzazioni i cui addetti sono simultaneamente operatori e utenti, come le comunità terapeutiche o le cooperative con handicappati; o in quelle organizzazioni di servizi nelle quali c'è una sovrapposizione totale fra struttura interna e prodotto offerto (associazioni culturali e ricreative, cooperative di consulenza, ecc.)

1.1.10. Il lavoro di comunità e i mass media

Negli interventi di psicologia di Comunità finora attuati in Italia è apparso chiaramente il ruolo fondamentale dei mass media locali. Ogni intervento di comunità necessita infatti di un'azione continua di distribuzione informativa, affinché tutti i gruppi sociali siano messi al corrente, ma anche di una costante cassa di risonanza con funzioni di sensibilizzazione e motivazione. I mass media sono dunque un indispensabile supporto. A volte essi sono anche il mezzo attraverso il quale l'intervento si realizza: pensiamo a indagini fatte mediante tagliandi diffusi sulla stampa locale, oppure cicli di trasmissioni televisive o radiofoniche; a campagne pubblicitarie con manifesti stradali, o a contatti telefonici e postali.

La seconda scoperta fatta in questi anni è che i Servizi e le organizzazioni sociali non profit e le istituzioni comunitarie, sono del tutto impreparati a gestire correttamente il rapporto con i mass media.

Salvo eccezioni, i media si occupano di problemi comunitari in termini scandalistici o pietistici e gli operatori che dovrebbero comunicare qualcosa alla comunità sono incapaci di uscire dal linguaggio oscuro e tecnico della loro cultura.

E' impressionante constatare come la proliferazione di emittenti locali abbia visto così poco presente il settore terziario sociale avanzato.

Molti operatori sociosanitari consumano una enorme quantità di tempo per riunioni serali di sensibilizzazione su certi problemi, ma solo raramente riescono ad avere accesso ai media che darebbero una quantità di contatti assai maggiori.

Per i contatti con gli utenti o i cittadini, gli operatori di comunità fanno grande uso del mezzo postale e scarsissimo uso di quello telefonico, più economico e spesso più efficace.

Le scarse campagne di pubblicità murale sono fatte senza seguire i basilari principi della comunicazione con alti costi e nessuna efficacia. In conclusione, i mass media sono percepiti come essenziali ma restano un "oggetto" misterioso e lontano.

2. Il marketing

"I1 marketing consiste nell'analisi, pianificazione, realizzazione e controllo di programmi accuratamente formulati volti all'effettuazione di scambi volontari di valori con mercati obiettivo allo scopo di realizzare le finalità dell'organizzazione. Esso mira soprattutto ad adeguare l'offerta dell'organizzazione ai bisogni e desideri del mercato-obiettivo, e all'uso efficace delle tecniche di determinazione del prezzo, della comunicazione e della distribuzione, per informare, motivare e servire il mercato" (Kotler, 1978).

E' stato leggendo questo libro del Kotler che ho avuto l'indicazione del marketing come una delle possibili risposte ai problemi della psicologia di Comunità. Dagli inizi del secolo il marketing ha sviluppato teorie e tecniche che forse possono essere tradotte per un uso nell'ambito sociale e comunitario.

Lo stesso Kotler ammette che le sue teorie possono adattarsi sia al settore produttivo sia al settore sociale e non profit.

Tuttavia molti autori considerano inapplicabile il marketing al settore non produttivo in quanto ritengono necessario l'elemento della competizione, che esisterebbe solo nel settore economico.

Questa limitazione mi sembra nominalistica. In realtà ci sono imprese che non fanno marketing pur essendo nel mercato economico, non perché non abbiano concorrenza, ma perché non sentono alcun imperativo a "vincere". Allora non è tanto la competizione oggettiva, cioè il mercato, a determinare la necessità del marketing quanto la convinzione soggettiva (dell'organizzazione e dell'operatore singolo) alla Qualità.

Solo se esiste la aspirazione a realizzare gli scopi istituzionali o professionali, in campo aziendale, pubblico o sociale, si presenta l'esigenza del marketing. Per le imprese, l'ostacolo maggiore alla realizzazione degli scopi è la concorrenza solo se sono dentro la logica del mercato, non se sono nella fascia assistita. Per il settore pubblico o sociale, l'esigenza del marketing sorge quando la attuazione degli scopi è ostacolata dalle sole resistenze dell'utente.

Possiamo anche formulare il problema in altro modo, affermando che in un sistema relativamente libero dal punto di vista politico-economico e sociale, ogni istituzione opera dentro un mercato universale che comprende merci, servizi e idee.

L'impresa A opera in concorrenza con l'impresa B che mette sul mercato un prodotto uguale o simile; l'impresa C concorre con l'impresa D che offre un prodotto sostitutivo o antagonista (per es.: moto-bicicletta); il fisco concorre con l'idea corrente di evasione come atto di astuzia dovuta; la biblioteca compete con la televisione; i servizi per la salute sono in concorrenza con le abitudini patogene; l'associazione per la lotta contro il cancro compete con l'indifferenza e la paura.

In una società moderna e democratica tutto si può considerare scambio e tutto si può leggere come mercato, per cui non esiste offerta o organizzazione che non sia in competizione.

Purché sia presente il bisogno di Qualità, cioè l'imperativo etico del perseguimento dei fini al massimo livello di efficienza e di efficacia.

In tale ottica possiamo riconsiderare l'ipotesi che non vi sia marketing se non in regime di concorrenza: questo approccio è troppo riduttivista. G. Medcalf (1985) esprime bene il carattere principale del marketing dal punto di vista ideologico:

"Laddove in precedenza, il prodotto, il prezzo, le quantità ecc. erano concepiti in funzione del produttore, furono in seguito, secondo i principi del marketing, riferiti al consumatore: quest'ultimo e i suoi bisogni diventano prioritari".

Una simile impostazione si attaglia benissimo alle esigenze della Psicologia di Comunità, la cui filosofia di base sostiene la predominanza dei bisogni del cittadino-utente su quelli istituzionali e burocratici.

2.1. I principi chiave del marketing

Il principio chiave del marketing è che esso è una funzione dell'organizzazione, non qualcosa che si aggiunge ad essa.

Non si tratta cioè di un'attività che ogni organizzazione può fare restando inalterata, bensì un modo nuovo di concepire l'organizzazione. Col marketing una organizzazione deve basarsi su un metodo fatto di analisi, pianificazione, realizzazione e controllo. Questo principio è molto innovativo in tante imprese, perché introduce l'elemento "analisi" (del mercato, dei bisogni espressi e latenti del consumatore, dei trend, ecc.) spesso assente, e sostituito dal cosiddetto "fiuto", dalla tradizione e dai vincoli del processo produttivo.

Ma è ancora più innovativo per le organizzazioni pubbliche o sociali, perché le sospinge verso ben tre novità: l'analisi , la pianificazione e il controllo. La maggior parte delle organizzazioni non produttive opera infatti da sempre in assenza di queste tre variabili. L'analisi è spesso ideologica, cioè a priori, derivata deduttivamente da credenze politiche o morali.

La pianificazione raramente è più che stagionale. Il controllo, quando c'è, è burocratico-procedurale o quantitativo.

Malgrado questo, siamo in una fase di transizione assai interessante, nella quale sta emergendo nelle organizzazioni sociali una nuova sensibilità verso l'analisi dei bisogni, la pianificazione poliennale e il controllo della Qualità.

Un altro principio molto noto nel marketing è quello delle 4P: prodotto, prezzo, promozione, posto. Il marketing qui è inteso come l'insieme delle tecniche atte a determinare il tipo di prodotto (o servizio) da offrire, il prezzo da richiedere per esso, i sistemi di promozione e informazione, i sistemi di distribuzione. Non è difficile osservare che problemi di questo genere riguardano da vicino anche le organizzazioni pubbliche o sociali.

Per prodotto possiamo qui intendere l'oggetto dello scambio, quindi anche un servizio o un'idea. Nel settore sociale raramente si scambiano oggetti, più spesso lo scambio avviene sul terreno delle idee o dei servizi o di entrambi. Per esempio un Servizio sociosanitario offre la consulenza prematrimoniale, ma insieme offre l'idea della prevenzione.

Una associazione sportiva offre un servizio ricreativo ma anche la prospettiva dell'appartenenza a un'idea di benessere e per i volontari che vi operano, un servizio organizzato per la loro prestazione. La determinazione di questi "prodotti", perché diventino oggetti di scambio, deve essere fatta mediante un'analisi accurata e periodica dei bisogni dell'utente, del cittadino (utente potenziale), della comunità (referente ideale), e degli operatori interni, sia volontari che professionali. Naturalmente questa determinazione è un processo complesso e mutevole nel tempo (perché i bisogni evolvono), quindi molto difficile e delicato, che ha ripercussioni vistose sugli equilibri interni dell'organizzazione. Ecco i motivi per cui il "prodotto" di molte organizzazioni sociali è determinato deduttivamente e spesso così immobile nel tempo.

Il problema del prezzo può sembrare il più distante dal settore sociale in quanto spesso i servizi vengono offerti senza scambio economico.

Tuttavia, ad un'attenta analisi, si scopre che questo problema esiste, sia pure in forme mascherate. Per esempio, le comunità terapeutiche per tossicodipendenti hanno sempre trascurato la questione del prezzo, in quanto vivono in parte sul volontariato in parte su donazioni o finanziamenti "graziosamente concessi".

Questa insensibilità per la determinazione del prezzo arriva spesso a far accusare di speculazione quelle comunità che chiedono agli ospiti un corrispettivo economico. Una simile situazione ha certamente spiegazioni storiche comprensibili: le comunità sono sorte e tuttora vivono vicariando i poteri pubblici. Ciononostante la indeterminatezza di un prezzo per assistito facilita da una parte la persistenza di molte sacche di lavoro nero più che veramente volontario, dall'altra collude con l'atteggiamento "elemosiniere" delle Amministrazioni locali

Il problema del prezzo riguarda molte organizzazioni pubbliche, anche se si tratta di un prezzo pagato più in "lucro cessante" da parte dell'utente. Per esempio, quante ore di lavoro perde il cittadino per l'espletamento di banali procedure burocratiche?  Altro esempio é il prezzo che il cittadino paga al solo scopo di pagare le tasse: un costo aggiuntivo di fiscalista, che, data la farraginosità della materia, non è facoltativo ma obbligatorio.  Molti servizi come la biblioteca, la scuola, la USSL non chiedono soldi agli utenti ma chiedono tempi di attesa, spese di viaggio, spese per documenti il cui ammontare è tale da rappresentare un costo vivo; poi chiedono permessi di lavoro producendo per l'utente un prezzo da lucro cessante.

Infine, va segnalato il prezzo che molte organizzazioni non profit chiedono ai loro operatori ed utenti: un prezzo in tempi, trasporti, mancati guadagni e soprattutto somatizzazioni. Tutti questi prezzi non sono calcolati né esplicitati, e ciò va a detrimento della Qualità. Calcolarli ed esplicitarli può essere compito del marketing applicato alla comunità.

Simile a quello del prezzo é il problema del "posto", cioè della distribuzione. Si tratta di questioni di localizzazione: sedi di Servizi senza parcheggi, irraggiungibili coi mezzi pubblici, avvicinabili solo con una specie di "mappa del tesoro". Si tratta anche di orari di apertura: tutti gli uffici di interesse comunitario sono aperti solo negli orari di lavoro dei cittadini, il che impone la rinuncia ad usarli oppure il costo del permesso lavorativo. Oppure ci sono uffici aperti un'ora al giorno, il che implica lunghe code e vari tentativi, con costi moltiplicati per viaggi e permessi. Dei musei chiusi nei week-end si è parlato fin troppo, ma che dire delle strutture scolastiche (impianti sportivi annessi) chiuse per mezza giornata e per 4 mesi all'anno? Infine si tratta di questioni estetiche e logistiche. Molti uffici pubblici sembrano post-nucleari; ci sono Servizi sanitari di pronto Soccorso che sembrano cantine polverose; sedi di associazioni che sembrano magazzini teatrali: il tutto, oltre che deprimente, è sovente scomodo, freddo, poco illuminato, con servizi scarsi.

Insomma la distribuzione del "prodotto" sociale sembra essere fatta per scoraggiarne l'uso.

Infine il problema della pubblicità e della promozione. Questa è l'area di marketing che forse può dare di più e più in breve tempo al settore terziario sociale avanzato. Non vi è dubbio che ogni organizzazione sociale abbia la necessità vitale di informare la comunità dei suoi obiettivi e modi di operare, ma anche di far accettare la sua immagine ed il suo messaggio. Si può discutere a lungo se la pubblicità serva più ad informare o più ad influenzare e manipolare: ciò che possiamo dire è che le organizzazioni sociali hanno la stessa esigenza che ha un'impresa di "mettere sul mercato un prodotto" in modo che sia accettato come "oggetto di scambio".

Il mondo produttivo ha sperimentato in questo settore una enorme quantità di mezzi e strategie di successo. Le organizzazioni pubbliche e sociali si sono finora limitate alla sanzione o alla supplica, appellandosi al senso del dovere o alla compassione. L'uso dei mass media è ridotto al minimo, come abbiamo visto; le informazioni che escono dà servizi sono scarse e oscure; i sistemi di promozione sono poco efficaci; l'immagine non è curata.

A proposito dell'immagine possiamo constatare come l'impresa, che produce beni materiali, sia molto sensibile a questo aspetto così psicologico; e come le organizzazioni sociali che producono servizi o idee (cioè beni immateriali) lo siano assai meno.

3. Marketing e organizzazioni comunitarie

Nello schema allegato presento una distinzione schematica di tre diversi tipi di cultura organizzativa, in relazione al marketing. Nella prima colonna si raggruppano le organizzazioni produttive classiche o burocratiche, orientate dalla produzione. In queste organizzazioni prevalgono le esigenze del processo produttivo, le norme procedurali, la struttura organizzativa intesa come a priori invariante. Sia all'interno sia all'esterno, questa organizzazione si basa sul principio del dovere.

Appartengono a questa categoria molte imprese tradizionali, molti Servizi Pubblici (per es. Polizia, Fisco, Scuola, ecc.) e molte aggregazioni a forte ispirazione etica (Partito, Avis, Associazioni di Prevenzione Sanitaria, gruppi para-religiosi, ecc.).

 

ORGANIZZAZIONI DI TIPO BUROCRATICO

ORGANIZZAZIONI A CULTURA ASSISTENZIALE

ORGANIZZAZIONI DI TIPO NEGOZIALE

Oriented

Production oriented

Worker oriented

Market oriented

Referente principale

Processo e procedure

Norme e sanzioni/organ: invariante a priori

Principio del dovere

Operatore

Relazioni e ideologie/Organ. Discrezionale e fluida

Principio del piacere

Utente

Scambio/Org. Flessibile e contrattata

Principio di realtà

Patologia

Nevrosi (da repressione)

Schizofrenia (da scissione fra dichiarato ed effettivo)

Ansia, angoscia (da incertezza e cambiamento)

Organizzazione

Molto importante

Non importante

Molto importante

Utente/cliente

Poco importante

Poco importante

Molto importante

Operatore

Poco importante

Molto importante

Molto importante

Efficienza

Media (a volte bloccata)

Bassa (a volte altissima)

Alta

Efficacia

Bassa

Bassa

Alta

 

·         Imprese moderne tradizionali

·         Serv. Pubblici come Polizia, Fisco, Scuola

·         Organ. Ad ispirazione etica (partito, Sindacato, gruppi parareligiosi)

·         Imprese assistite

·         Serv. Municipali e parapubblici

·         Organ. Culturali, ricreative, assistenziali con forte identificazione tra operatore e utente

·         Imprese post-industriali

·         Servizi motivati alla qualità

·         Org. Terziario sociale avanzato

La struttura organizzativa è qui molto importante, perché è ad essa che devono sottomettersi sia gli utenti sia gli operatori, le esigenze di entrambi sono secondarie rispetto a quelle dell'organizzazione o istituzione.

In via normale questo modello offre una media efficienza, nel senso che riesce ad ottenere risultati con risorse controllate.

Tuttavia la scarsa flessibilità organizzativa e la astrattezza delle norme e dei valori, producono facilmente blocchi totali, inefficienze e conflitti paralizzanti. In tali casi l'efficienza scende verso lo zero. Va anche detto che la progressiva qualificazione della forza lavoro e il dinamismo accelerato dell'ambiente sociale sono piuttosto incompatibili con un orientamento burocratico dell'organizzazione. La divaricazione fra qualità delle risorse umane e burocratizzazione organizzativa produce sintomi patologici di tipo nevrotico, tipici delle condizioni di vita repressive: somatizzazioni, ti, ossessioni, rituali, ecc.

Nella seconda colonna si raggruppano le organizzazioni a "cultura assistenziale". Possiamo inserirvi le imprese pubbliche o private fortemente assistite, i Servizi locali (comunali, provinciali, regionali) o del parastato; molte organizzazioni del terziario sociale, in specie quelle dove c'è una forte identificazione fra operatori ed utenti. Possiamo citare come esempi le Aziende della Nettezza Urbana o le Compagnie Portuali, gli Uffici Assessorili, l’INPS e le USSL, molte associazioni sportive e culturali e gran parte delle comunità terapeutiche. In queste organizzazioni è prevalente l’orientamento "all'operatore", nel senso che esso è il principale referente, i valori dominanti sono le relazioni interne (interpersonali, sindacali, politiche, ideologiche) o la ideologia della maggioranza degli operatori.

Possiamo dire che il principio ispiratore è quello del Piacere, inteso come espressione della soggettività. L'organizzazione che ne consegue è discrezionale, cioè sottomessa alla discrezione soggettiva e molto fluida. Essa non è molto importante, anzi è continuamente evasa o interpretata, così come secondari sono i bisogni degli utenti. In via normale l'efficienza è piuttosto bassa, essendo minata da conflitti interni, frazionamenti, individualismi e dispersioni. In alcuni casi essa invece è altissima : quando la organizzazione si trova in situazione da "stato nascente". La magica fusione che si stabilisce in questi casi riesce a produrre, per momenti brevi ma intensi, una elevata efficienza. L'efficacia verso i bisogni della comunità è invece sempre bassa, perché nelle situazioni di stato nascente si eleva solo l'efficacia rispetto ai bisogni degli operatori e degli utenti. In simili organizzazioni la patologia più diffusa è di tipo schizofrenico, cioè causata da una vistosa separazione fra teorie e teorie in azione o fra dichiarato ed effettivo. Gli operatori negano di privilegiare il principio del piacere, parlano di sacrifici e dedizione verso l'utenza.

In queste due categorie organizzative è ovviamente escluso ogni orientamento di marketing, non tanto perché manchi un contesto competitivo, quanto perché nelle realtà burocratiche la Qualità è identificata con il rispetto per la struttura in astratto e nelle realtà assistite essa è identificata con la realizzazione dei bisogni degli operatori.

La terza colonna raggruppa le organizzazioni, profit e non, ad orientamento negoziale, le quali hanno molteplici referenti e si fondano sullo "scambio" e sulla Qualità. Esse sono interessate sia all’efficienza che alla efficacia; hanno come primo referente l'utente (attuale e potenziale); fondano la loro azione sull'analisi e dunque sul principio di realtà, cioè offrono prodotti peri cittadini che esistono e non per quelli che "dovrebbero" esistere. La struttura ed il funzionamento di queste organizzazioni sono articolati, flessibili e innovabili, ma sempre in un contesto negoziale, fra gli operatori e fra questi e l'utente e la comunità. Tali organizzazioni considerano molto importanti tutte le variabili della complessità comunitaria: le strutture, il cittadino e gli operatori.

Quando esse funzionano con le risorse adatte, queste organizzazioni raggiungono la massima efficienza ed efficacia cioè la massima Qualità, nella società post-industriale (caratterizzata da alta turbolenza, pluralità di modelli e progressiva qualificazione della forza lavoro).

Naturalmente questo primato non è senza rischi e costi. Il più frequente dei quali si può genericamente definire come ansia o angoscia, derivante dalla sparizione delle certezze e dal cambiamento continuo. Basti un esempio per tutti. Una impresa di prodotti di largo consumo "orientata dalla produzione" si fonda sull'ipotesi che i suoi prodotti e la sua organizzazione vanno bene così . Quindi poche innovazioni organizzative e niente marketing. In effetti, se nella società niente cambia, l'impresa può andare avanti benissimo. Lo stesso discorso dell'impresa vale per un'associazione o un Servizio di Comunità. Quando subentrano cambiamenti sociali, cambiano 1 bisogni degli utenti, occorrono nuovi prodotti, personale più e diversamente qualificato, un'organizzazione rinnovata.

Alcune organizzazioni fanno questo sulla base dell'intuito di un leader (proprietario, manager, gruppo dirigente), altre lo fanno abbracciando uno stile di marketing; altre ancora non lo fanno e allora escono dal mercato o entrano nel tunnel dell'assistenza. .

In un secondo tempo i cambiamenti appaiono a un tasso sempre più accelerato, il che significa che i bisogni, le professionalità ed i mercati mutano in tempi sempre più brevi; la flessibilità organizzativa viene messa alla prova ogni semestre; l'intuito della leadership non riesce a vincere ancora, allora l'organizzazione che vuole continuare a perseguire la Qualità, deve "orientarsi al mercato". Le certezze ideali, estetiche, etiche hanno vita brevissima e l'organizzazione (quindi i prodotti, i processi, i ruoli interni, i metodi, ecc. ), lo stesso.

E' una sfida permanente coi propri obiettivi in uno scenario di estrema turbolenza o mutevolezza, facilmente produttore di insicurezza, ansietà e, qualche volta, angoscia.

Le imprese più vicine alla situazione "market oriented" sono quelle del terziario sociale avanzato, soprattutto i Servizi Sociali e i Servizi all'impresa: organizzazioni che producono informazione e crescita umana.

4. Il Marketing ed il "cliente" comunità.

Il termine "market  oriented" è più preciso di quello "orientato all'utenza". Quest'ultimo infatti riduce l'ampiezza di intervento possibile per l'organizzazione, escludendo l'utenza potenziale. Tutte le organizzazioni hanno un certo riguardo per gli utenti o i clienti, ma nessuna si limita a pensare ad essi come i soli destinatari dei propri prodotti: la logica di qualsiasi organizzazione è la crescita, qualitativa o quantitativa. Questo significa che l'impresa orientata al mercato si preoccupa dei clienti attuali ma anche dei clienti potenziali, cioè del mercato in tutta la sua estensione virtuale. Per analogia diciamo che anche le organizzazioni sociali "market oriented" non si limitano ad avere come referente l'utente coi suoi bisogni, ma l'intero "bacino" di utenza cioè la comunità territoriale. Allora il Servizio o l'associazione non sono considerati organismi preposti alla soddisfazione di bisogni individuali, ma enti delegati dalla comunità a soddisfare bisogni collettivi. Il cliente, cioè il referente primo, non è più solo l'utente, ma la comunità nella quale vivono sia l'utente sia l'organizzazione. In questa visione diventano facili sia un approccio preventivo, sia una logica comunitaria, sia una vocazione all'intervento attivo. La biblioteca non è più, in questa prospettiva, un Servizio per i lettori, bensì uno strumento della comunità per soddisfare i suoi bisogni di cultura. La associazione sportiva non è più un'aggregazione per i soci, ma un'agenzia delegata dalla comunità a promuovere il benessere psico--fisico generale. Il Consultorio non è solo un servizio per famiglie a disagio, ma un organismo della comunità per la prevenzione o il sostegno a tutte le famiglie.

Questo mutamento di prospettiva (considerare la comunità intera come il vero "cliente") porta con sé parecchie innovazioni.

Per esempio l'analisi dei bisogni non sarà più limitata ai bisogni (peggio, ai desideri) degli utenti, ma si estenderà ai bisogni della comunità tutta.

La valutazione finale circa l'efficacia di un intervento o di un programma non si limiterà a misurare i risultati ottenuti con gli utenti, ma arriverà a verificare il mutamento della variabile interessata, a livello dell'intera comunità. Molte imprese innovative ragionano in questo modo quando valutano non tanto il fatturato o l'utile, quanto la quota di mercato raggiunta.

A livello sociale questo orientamento significa che ogni servizio, impresa o aggregazione deve misurarsi con la comunità intesa come unità referente.

Quasi sempre questa "comunità/unità" esiste solo come referente giuridico, amministrativo e geografico. Il progressivo processo di frantumazione che ha caratterizzato la fase matura e terminale della società "moderna" o industriale è penetrato nei meandri delle identità individuali e dei vissuti di appartenenza. La deterritorializzazione e lo sradicamento hanno un segno geografico, ma anche civile, politico, ideale.

Pochi individui e poche organizzazioni agiscono avendo come scenario il vissuto di una appartenenza alla comunità territoriale.

D'altro canto le ipotesi di partecipazione e solidarietà, prevenzione e crescita sociale si fondano sulla unità comunitaria, senza la quale fanno capolino l'ideologia totalitaria da una parte ed il corporativismo egoista dall'altra.

La comunità intesa come utente e come committente collettivo, implica una visione ed una azione psicologica, simile a quella che nel mondo produttivo richiede il "mercato".

Il mercato non esiste come entità materiale se non nei settori e nei prodotti "maturi". Il primo sforzo di una impresa è quello di rendere operante un mercato attraverso la soddisfazione di bisogni latenti o sommersi e la conseguente trasformazione dei cittadini in consumatori e clienti. In questa fase il marketing è cruciale.

Processo analogo vale per i servizi sociali, sanitari, educativi, cioè per i Servizi della Qualità della vita. Perché questi siano efficaci ed efficienti occorre che 1 singoli cittadini e le organizzazioni territoriali riconoscano un proprio bisogno come importante, e poi identifichino il servizio come un "soddisfattore" positivo. Il riconoscimento di tale bisogno non può essere legato al perimetro del disagio soggettivo, pena l'annullamento del concetto di mercato e di comunità. Esso deve estendersi ai confini della collettività, sia pure a diversa ampiezza, per rendere possibile la emersione di un mercato o una comunità.

Nel settore industriale questo è evidente. Finché esiste un solo consumatore di un prodotto, non nasce l'industria e non nasce il mercato. Se l'impresa si limita alla soddisfazione dei bisogni espressi dai consumatori in un dato momento, come si spiega l'innovazione?  Il marketing ha appunto sempre a che fare con la innovazione o il cambiamento.

Allora la prima azione di una impresa è creare, mediante il marketing, un mercato esplicito e visibile, oltre che il più largo possibile, laddove esistevano solo bisogni individuali, impliciti, invisibili e ristretti. Tale creazione non è, come molti pensano, una semplice imposizione. E' la traduzione e amplificazione, la disoccupazione e generalizzazione di bisogni reali, sia di carattere concreto sia di carattere immaginario.

In sostanza l'impresa dice all'utente: "Tu hai un bisogno che può essere soddisfatto a certe condizioni e con la tua partecipazione, dalla nostra impresa; questa fonda un nuovo mercato e fa di te un cliente".

Al di fuori di questa logica stanno l'artigiano e l'artista, produttori di pezzi unici per acquirenti individuali o "amatori".

Per analogia un Servizio dice al cittadino: "Tu hai un bisogno che noi possiamo soddisfare, a certe condizioni e con la tua partecipazione attiva; questo fa di te un utente e insieme contribuisce a istituire, cioè a rendere visibile e vissuta, una comunità". Al di fuori di questa logica sta lo Stato Assistenziale ed Elemosiniere, donatore di aiuti personalizzati a soggetti stigmatizzati.

L'analisi del bisogno inespresso e la fornitura della risposta sono in entrambi i casi problemi di marketing.

5. Il paradigma dell'arcipelago e la strategia delle connessioni

La frantumazione della modernità rende assai ipotetica una ricomposizione unitaria. Le profezie di nuovo Rinascimento fondato su una ideologia forte e unitaria e su progressivi accorpamenti politico- economici, sembrano in parte troppo illusorie in parte addirittura minacciose.

Illusorie perché la differenziazione, la segmentazione, la articolazione sembrano irreversibili, in tempi medi o brevi. Il vecchio ordine, ancora vicino, non è più ripristinabile e un nuovo ordine planetario richiederà decenni. I geologi ipotizzano che il movimento che ha portato da Pangea ai Continenti (dall'unità delle terre emerse alla loro frantumazione), condurrà ad una nuova unificazione, ma in milioni di anni.

Minacciose perché è fondato il sospetto che una riduzione della frantumazione possa avvenire oggi all'ombra del "Grande Fratello". (Contessa, 1985) Lo scenario attuale è dunque figurabile con l'immagine dell'arcipelago.

Una distesa di schegge dalle forme irregolari e dalla distribuzione apparentemente caotica,  ciascuna delle quali non ha più o non ancora necessariamente un'identità, una specializzazione, un ruolo. Anzi ciascuna scheggia è un'aggregazione casuale di elementi eterogenei.

Il quadro assomiglia alla vetrata di una cattedrale frantumata in milioni di pezzi piccolissimi e poi parzialmente riaccorpati in unità più grandi, ma senza il disegno precedente.

Questo processo ha attraversato le scienze e le tecniche, i gruppi e gli Stati, fino alle stesse psicologie individuali;  i saperi, i mestieri ed i poteri; le identità e le appartenenze.

La fine del XX e l'inizio del XXI secolo richiedono una ipotesi per la gestione dell'arcipelago. E questa ipotesi è offerta dallo sviluppo delle tecnologie informatiche che permettono la "cablatura", cioè la connessione fra isole di diversità. La frantumazione non è solo angoscia e distruzione; essa è anche apertura a nuovi destini e nuovi orizzonti.

In termini geografici il nuovo orizzonte è il pianeta e poi ancora l'intera galassia. In termini storici il nuovo destino si colloca sull'asse del recupero del passato e della progettazione del futuro.

Le connessioni fra isole mediante una rilettura del passato (tutto oggi è revival) ed una estensione verso il futuro (la fantascienza è il "genere" espressivo di questi anni), sembrano la caratteristica del secolo a cavallo fra i due millenni.

Il riconoscimento dell'arcipelago come mercato e come comunità, richiede una strategia delle connessioni fondata sulla creatività combinatoria e sulle relazioni negoziali.

Il marketing delle imprese e il marketing sociale che qui ipotizziamo vedono in questi due caratteri la loro connotazione maggiore.

Le imprese sono ormai orientate sempre più verso campagne che "combinano" vendita e beneficenza, gioco e commercio, mecenatismo e mercato ; ma anche verso azioni di marketing personalizzato e relazionale come il direct marketing o il "marketing by customer" (Penati, 1986). Il che è solo l'aspetto esteriore del nuovo orientamento produttivo che tende a segmentare il mercato ed offrire una gamma di prodotti e servizi sempre più personalizzati.

Ora è il momento che anche il Sociale, inteso come Servizi per la Qualità della vita e organizzazioni non profit, si inoltri nell'uso della creatività combinatoria e della razionalità negoziale

6. Quali skills, per chi e come

In altra sede (Contessa, 1987) ho mostrato come il passaggio dall’impero all'arcipelago, dall'Età di Vulcano all'Età della luce, dal moderno al post-moderno, richieda una vera rivoluzione nelle competenze di milioni di uomini.

Le connessioni fra idee e istituzioni e fra le persone, che scompongo in creatività combinatoria e relazionalità negoziale, richiedono competenze diverse e nuove. L'ipotesi che queste competenze vengano delegate a professionisti specializzati è impercorribile al livello del Sociale. La sua diffusione e la sua vicinanza col cittadino utente, fanno del Sociale una entità magmatica e complessiva. Se il marketing deve essere il nuovo strumento di espressione dei Servizi e delle organizzazioni non profit, in quanto leva principale per la costruzione di una identità comunitaria attraverso processi combinatori e relazionali, ciò significa che tutti gli operatori del Sociale devono avere competenze di marketing.

Il quale non è più solo una tecnica ma un modo di intendere i cittadini-utenti, la comunità/mercato, i servizi e le professioni sociali. Una simile impostazione richiede particolari competenze tecniche e teoriche relativamente a:

1-   l'analisi dei bisogni potenziali del territorio

2-   la progettazione di prestazioni e servizi diversificati e flessibili

3-   la valutazione dei costi e dei risultati economici e umani

4-   il controllo e la flessibilità dei modi di fruizione da parte dell'utenza (in quanto a costi, modi e luoghi)

5-   le azioni di informazione,  sensibilizzazione e promozione

6-   modi di aggregazione e partecipazione dell'utenza e del volontariato

7-   sistemi di intervento preventivo

8-   processi di interazione inter-istituzionale e comunitaria.

Tutte queste conoscenze teoriche e strumentali possono essere comprese nel quadro delle capacità di operatori sociali "market oriented". Come è facile notare, sarebbe errato pensare che tali capacità possano essere delegate ad appositi uffici esperti di marketing o, come spesso oggi avviene, ai vertici politici ed amministrativi dell'Ente o dell’organizzazione non profit.

Queste capacità infatti non sono esterne al contenuto di lavoro dell'operatore, ma ne permeano la sostanza. La loro presenza o assenza determina la prassi quotidiana, le relazioni professionali e personali, il modo stesso di essere dell'operatore. Per esempio, essere capaci di azioni informative, sensibilizzative e promozionali implica il possesso di un linguaggio e di una capacità comunicativa legati alla cultura della comunità e non delle corporazioni di appartenenza. Realizzare interventi preventivi richiede la conoscenza teorica e pratica delle situazioni di "agio" piuttosto che del "disagio". La progettazione di servizi e prestazioni flessibili e diversificate, quindi per utenze segmentate fino alla personalizzazione, richiede un approccio sincretico al lavoro sociale ed una sensibile eterogeneità delle tecniche di intervento. Questo contrasta vistosamente con la diffusa tendenza al settarismo epistemologico ed alla frammentazione delle specializzazioni. Oggi abbiamo psicologi in possesso di un solo approccio metodologico; educatori adatti ad un solo tipo di utente; animatori che dispongono di una sola tecnica.

Fin qui si tratta di acquisire conoscenze e tecniche diverse, oltre che, naturalmente di "orientare al mercato" le organizzazioni ed i servizi. La vera e grande rivoluzione riguarda però le skills personali degli operatori o se vogliamo la formazione della loro "psicologia".

Nelle organizzazioni di tipo burocratico o "product  oriented", si richiedono operatori dalle competenze psicologiche assai diverse rispetto a quelle che si richiedono nelle organizzazioni "workers oriented" o in quelle "market  oriented".

Nel primo tipo di organizzazione l'operatore deve essere soprattutto dipendente, integrato, rispettoso delle procedure, dei ruoli e delle funzioni, autocontrollato, fedele alla gerarchia, buon esecutore, ben specializzato e identificato in un segmento professionale. Nel secondo tipo di organizzazione, l'operatore deve essere fortemente ideologizzato, capace di vivere appartenenze di tipo totalizzante, capace di relazioni interpersonali 'intense, abile nei processi di negazione della realtà, capace di esprimersi in modo non specialistico e di identificarsi con l’utente.

Il terzo tipo di organizzazione richiede operatori fortemente ancorati al principio di realtà, nel contempo capaci di progettare ed evolversi con autonomia; centrati sulla Qualità e sui risultati; resistenti alla ansia ed all'angoscia derivanti da uno scenario fluttuante e negoziale; specializzati ma decisamente capaci di integrazioni interprofessionali.

Queste caratteristiche non riguardano solo il "sapere" o il "saper fare", ma anche e soprattutto il "saper essere". A fianco dunque di una formazione diversa sul piano culturale e strumentale, si profila la esigenza di una nuova formazione sul piatto psicologico.

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***Tratto da AA.VV. "IL SOCIALE COME MERCATO", CittaStudi e ARCIPELAGO