PRO MANUSCRIPTO
In questo momento storico si fa sempre più frequente la coincidenza
tra la problematica inconscia dell'individuo, impegnato nel processo
psicoanalitico e la problematicaoggettiva e ideologica dello stesso,
inserito com'è nel contesto socio-economico.
Per di più la problematlca individuale, che emerge dal discorso
dell' inconscio presenta una ampiezza e una prospettiva che va al
di là della vita quotidiana del singolo, rivelando un significato
che ha valore collettivo, e rispecchia in maniera molto significativa
la problematica soclo-economica che si manifesta attualmente nei movimenti
politici e culturali.
A livello di vita individuale questa problematica appare nel bisogno
della 'realizzazione del Sé', là dove il Sé (secondo
la formulazione del concetto stesso da parte di Jung) si riferisce
al divenire della personalità, come espressione individuale
dell'universalmente umano, così che tale bisogno indica,
in ultima analisi, proprio quello dell'essere umano di ritrovare il
senso della vita nel significato storico della propria esistenza personale.
A livello di vita sociale questa stessa problematica si prospetta
nell'avanzarsi dei nuovi bisogni che costituiscono il movente
di fondo di alcuni movimenti rivoluzionari, come quello giovanile
e quello femminile, e il tema principale di riflessione di certo pensiero
marxista; nuovi bisogni che si riassumono nel concetto del
'bisogno di comunismo', inteso questo ultimo come il bisogno della
persona umana di :recuperare la dimensione sociale, quale dimensione
di vita inerente alla sua esistenza personale, e di recuperare contemporaneamente
il senso della sua individualità nella prassi sociale
che è l'unico ambito all'interno del quale l'essere umano si
realizza.
Ciò porta con sé la necessità per l'uomo di superare
il limite della propria identità, che sta nel riferimento egoico,
per arrivare a riconoscersi nel proprio divenire relazionale.
Ma poichè ciò che imprigiona l'uomo nel limite dell'egoriferimento
è l'immagine che egli stesso ha di sè come dipendente
da una bisognosità naturale e da un sociale estraniato e reificato
che lo governa attraverso le istituzioni, questa trasformazione implica
il passaggio dal piano dei bisogni cosiddetti naturali (che sono poi
quelli relativi alla sopravvivenza dell'essere umano come ente particolare)
al piano dei bisogni socio-culturali (che sono quelli relativi alla
sopravvivenza dell'essere umano come ente generico).
Questo passaggio vuole dire a sua volta una trasformazione della struttura
della psiche.
Ma la struttura attuale della psiche si costituisce all'interno dell'istituto
familiare, di qui la necessità della rivoluzione nei confronti
di questa istituzione.
Come possiamo parlare della nuova struttura psichica senza tornare
a costringere l'essere umano in un comportamento definito da assunti
teorici o senza cadere in un volontarismo moralistico?
Come il nuovo non si inventa, ma scaturisce dalla trasformazione del
vecchio, così per comprendere la dinamica della struttura psichica,
che già si prospetta come possibile, dobbiamo farla derivare
dall'analisi di quella attuale che è la struttura edipica della
personalità che la psicoanalisi cosiddetta ufficiale assume
come fatto astorico e universale, in quanto conseguente al divieto
dell'incesto quale legge inderogabile che garantisce l'ordine sociale.
Dobbiamo quindi solfermarci sul concetto dell'Edipo e del divieto
dell'incesto, come sono tutt'oggi assunti a partire dalla formulazione
di Freud, e sul significato socio-politico che vengono ad acquistare
in questo momento storico.
Per Freud la vicenda dell'Edipo è una vicenda d'amore o meglio
di sessualità.
E' il desiderio sessuale del figlio per la madre, interdetto dal potere
paterno pena la castrazione.
Questa interdizione, come tabù sociale rappresentato dal padre,
non solo costituisce l'unica via per liberare l'individuo maschio
dal desiderio sessuale nei confronti della madre, ma si pone addirittura
a fondamento della vita sociale degli uomini, in quanto ne garantisce
l'ordinamento che verrebbe stravolto dalla promiscuità sessuale,
la quale, a sua volta, nporterebbe l'umanità alla condizione
dell'orda primitiva e quindi ancora all'animalità.
E' chiaro che per spiegarci la concezione di Freud sull'Edipo e sull'incesto
dobbiamo vederla alla luce della impostazione naturalistica di tutto
il suo discorso.
Per Freud la pulsione sessuale è la rappresentazione psichica
di uno stimolo endesomatico che tende ad annullarsi scaricando la
propria tensione(la libido) sull'oggetto, che nel caso in questione
è appunto la madre.
Con ciò si capisce perchè l'atto simbolico dell'incesto
si presenta come quello che conferma l'individuo all'interno del rapporto
edipico; esso infatti vuole dire, in questo caso, che l'individuo
persiste nella fantasia della relazione sessuale fra figlio e madre,
dove l'esser figlio o l'esser madre si riferisce al legame di parentela
e non alle modalità di rapportarsi che sono reciprocamente
quella infantile e quella materna; e si capisce anche perchè
il tabù dell'incesto venga visto come espediente indispensabile
per difendere l'ordine dei rapporti familiari dai quali lo stesso
Freud fa dipendere l'ordine sociale. Difesa che impone l'atto di sottomissione
all'ordine paterno quale ordine autoritario della società.
Levi-Strauss riporta la concezione di Freud, circa l'instaurarsi del
tabù dell'incesto come il passaggio dall'orda primitiva all'organizzazione
sociale, all'interno del pensiero strutturalista, dove ne fa il principio
simbolico che dà nascita al sociale: il principio dello scambio
tra gli uomini, dove l'oggetto dello scambio, e quindi l'oggetto del
contratto sociale, è la donna.
Lacan, nel suo ritorno a Freud, coglie nell'Edipo e nel suo superamento
l'accesso al simbolico. Superamento che anche per questo autore sta
nell'interdetto dell'incesto imposto dal padre, interdetto che ha
qui però il significato di evitare al bambino il suo permanere
nell'immediatezza della relazione duale con la propria madre, e di
costringerlo così a sostituire il simbolo all'oggetto e a prendere
da esso quella distanza che lo fa soggetto. Lacan ripone quindi nel
divieto dell'incesto, nel nome del padre, il fondamento dell'essere
umano che sta proprio nel suo farsi umano grazie alla mediazione simbolica.
Ma, riportando questo discorso all'interno del pensiero strutturalista,
cui Lacan si attiene, l'interdetto dell'incesto nel nome della "legge
del padre" diviene anche per questo autore, come per Levi-Strauss,
l'apriori simbolico che fonda e difende i rapporti di parentela,
i quali fondano a loro volta la struttura sociale.
Infatti, all'interno della teoria lacaniana, il divieto dell'incesto
nel "nome del padre" quale rappresentante dell'ordine simbolico
dei rapporti familiari, è il principio che assegna a
ciascuno, come diritto e dovere, il posto che gli compete in tale
ordine e che fa sì che ciascuno trovi la propria identità
nel ruolo stesso, sia esso di padre o di madre, di figlio o di figlia,
cosicchè ciascuno possa riconoscere se stesso e distinguersi
dall'altro, come altro da sè, all'interno della differenziazione
dei ruoli.
L'interdetto dell'incesto diviene pertanto lo statuto familiare iscritto
nel codice sociale, come unica modalità del socilizzarsi, e
viene assunto come il primum movens dei rapporti sociali che
si articolano a partire da esso. Ciò vuol dire che all'interno
di questa teoria è l'ordine dei rapporti familiari, quale fatto
simbolico che si dà nell'uomo come un apriori metafisico
a stabilire l'ordine dei rapporti sociali e a giustificarne pertanto,
in maniera astorica, la struttura della società.
Sicchè in Lacan l'interdizione dell'incesto, già concepita
come il momento primo della mediazione simbolica che, ostacolando
l'immediatezza pulsionale, porta l'individuo sul piano del soggetto
e del sociale, viene poi giustificata come necessità di socializzazione
intesa però come difesa dell'ordine dei rapporti familiari.
L'autore arriva con ciò a mettere insieme, nel concetto dell'interdetto
dell'incesto, due concetti diversi: quello di farsi soggetto dell'uomo
grazie alla mediazione (che non si dà in effetti se non nella
prassi sociale) e quello del divieto a infrangere l'ordine dei rapporti
sociali già dati.
Ma proprio questo mettere insieme due concetti in uno fa sì
che in Lacan il processo di soggettivizzazione, in cui vien riposta
l'identità ultima dell'essere umano, fuori della quale è
l'animalità, viene a coincidere con l'accettazione incondizionata
dell'ordine sociale costituito, cosicchè, per questo autore,
è proprio l'ordine dato dei rapporti familiari il sine qua
non dello stesso processo di soggettivizzazione, in quanto è
proprio questo ordine, e questo ordine soltanto, che nell'assegnare
a ciascuno un ruolo definito nel sistema dei rapporti, verrebbe a
dare a ciascuno la possibilità di riconoscersi nell'interlocuzione
con gli altri ruoli del sistema e a fondare così la struttura
dialogica della psiche, ovvero la soggettività quale capacità
di
interlocuzione con sè medesimi.
Così Lacan, che sembrava voler recuperare la soggettività
dell'uomo dal determinismo naturalistico di Freud, arriva viceversa
a coinvolgere la stessa soggettività nel condizionamento deterministico
di una cultura data per sempre da un apriori simbolico.
Al di fuori della psicoanalisi cosiddetta ufficiale si colloca viceversa
il discorso di Jung sull'Edipo e sull'incesto, il quale si presenta,
rispetto a quello psicoanalitico, completamente rovesciato. Jung non
tratta l'Edipo come un argomento specifico all'interno di una teoria
dello sviluppo psichico; il problema del'Edipo si presenta nel suo
discorso come il cardine del processo di individuazione.
Questo processo si riferisce allo svolgimento della individualità
umana attraverso una dialettica complessa che si risolve, in definitiva,
in quella della soggettività dell'uomo con la propria oggettualità,
sia questa oggettualità quella naturale che quella storico-sociale,
e che segna il divenire umano dell'essere umano.
L'elemento mediatore di questa dialettica è il simbolo, quale
trasformatore dell'energia vitale (che Jung chiama ancora libido)
la quale trapassa dalla tendenza all'annullamento entropico all'orientamento
creativo; trasformazione della libido che a sua volta trasforma la
modalità di rapportarsi dell'uomo da quella dell'immediatezza
a quella della mediazione.
Processo questo che si svolge sì nel singolo individuo, ma
poichè questi è inteso come l'espressione individuale
del'universalmente umano, il processo coincide con il divenire dell'umanità
lungo la storia. Così che l'individualità, che si sviluppa
nel processo di individuazione è la risposta, singolare e irripetibile,
che l'individuo dà ai problemi umani che il contesto storico
in cui vive propone a lui in prima persona. Il problema dell'Edipo
e dell'incesto è appunto il momento fondamentale di questa
dialettica.
Per Jung il desiderio della madre, quale simbolo dell'origine, scaturisce
dalla necessità per l'uomo di tornare alla dimensione pulsionale
della vita, per recuperarla alla coscienza e farne dei nuovi dati
di conoscenza, trasformando così la natura in cultura; ma il
desiderio della madre è anche il fascino che esercita sull'uomo
la fantasia di un ritorno a una condizione di pacificazione, la seduzione
della adesione immediata alla natura; seduzione che porta in sè
la minaccia della perdizione dell'uomo quale soggetto.
Il simbolo del divieto dell'incesto da parte del padre è la
difesa della soggettività, dell'autocoscienza, della presenza
riflessiva dell'essere umano del mondo, difesa ispirata appunto dalla
paura della perdizione, ma che, una volta istituzionalizzata nel potere
della ragione e nella ragionevolezza dell'ordine sociale, diviene
impedimento al processo di individuazione; ma la legge del padre è
anche simbolo della capacità di mediazione che l'essere umano
deve acquistare per poter tornare alla madre, ovvero alla natura per
trasformarla e trasformarsi senza più perdersi in essa.
Di qui il restare nell'Edipo vuol dire, sul piano intrapsichico, restare
prigionieri dell'illusione di poter conservare o restaurare la condizione
di pace originaria, protetti d'altra parte, dal rischio di tornarci
veramente a venirne divorati, da un'autorità esterna che lo
vieta.
Sul piano relazionale ciò vuol dire restare dipendenti da una
figura materna appagatrice dei bisogni più immediati e da una
figura paterna che impone la rinuncia e la sottomissione a un ordine
che controlli la vita pulsionale.
Il compimento dell'incesto, viceversa, simboleggia il momento in cui
l'essere umano, fatta propria la capacità di mediazione che
l'autorità detiene, si fa capace egli stesso di superare la
tentazione dell'adesione immediata alla vita pulsionale, può
tornare ad essa per trasformarla in nuovi orientamenti della coscienza
e creare così nuove forme della realtà specificamente
umana.
La vicenda dell'Edipo e dell'incesto si riferisce quindi, per Jung,
alla vicenda del farsi umana dell'umanità attraverso la dialettica
dela mediazione che trasforma la natura in cultura.
In questa visione dialettica del divenire individuale, le figure parentali
si presentano come simboli di modalità, genericamente umane,
di rapportarsi a sè stessi e al mondo, che l'individuo, avendole
sperimentate attraverso le persone reali dei genitori, deve recuperare
a sè, con termini dialogici di questo rapporto.
La madre come termine dialogico diviene il riferimento alla oggettualità
della nostra esistenza, sia essa naturale che storico-sociale, e la
modalità di questo riferirsi è quella erotica.
Il padre come termine dialogico diviene il riferimento alla necessità
per l'uomo di farsi soggetto e la modalità ad esso inerente
è quella logica.
Se l'individuo non recupera a sè, come proprie funzioni psichiche,
le modalità umane di rapportarsi che i genitori rappresentano
e continua a proiettarle su di essi, egli resta da essi dipendente
simbioticamente, come da parti di sè, e non accede pertanto
alla dimensione relazionale-dialettica che richiede la diversificazione
dei due del rapporto; e viceversa, nel momento in cui recupera a sè
le funzioni parentali, distingue sè dai genitori reali che,
a loro volta, gli si presentano come persone umane, altre e diverse
da sè; e nello stesso momento assume in sè i simboli
parentali come principi, i principi stessi della vita umana: quello
della oggettualità e quello della soggettivizzazione, ai quali
si riferisce nell'esercitare verso se stesso e verso gli altri le
stesse funzioni parentali: il principio materno è il principio
della vita come fatto oggettuale, ovvero è il riferimento alla
nostra esistenza di oggetti in una realtà oggettiva, sia quella
naturale che storico-sociale, e l'Eros quale tendenza a nutrire, ad
arricchire, far crescere la vita nella sua universalità e nella
sua continuità, per amore della vita stessa.
Il principio paterno è il principio della vita quale fatto
coscienziale, è quindi il riferimento al nostro divenir soggetti
dell'esistenza; è il Logos
quale modalità riflessiva
di rapporto con la vita stessa.
Come le modalità del rapportarsi alla oggettualità e
alla soggettività, che le figure parentali simboleggiano, portano
in sè l'ambivalenza, altrettanto ambivalenti si costituiscono
le figure stesse; ovvero il simbolo materno e il simbolo paterno presentano
entrambi un aspetto positivo e un aspetto negativo.
Il simbolo materno, quale riferimento alla oggettualità della
nostra esistenza, mentre nel suo aspetto positivo è l'autocoscienza
in noi dell'appartenenza all'ordine sociale di cui ci riconosciamo
figli, come i figli di una madre spirituale che ci consente
l'affidamento a un ordine cosmico sensato, nella sua variante negativa
è il nostro riconoscersi soltanto entro il limite della natura
animale da cui ci sentiamo derivare come i figli di una madre naturale,
che ci minaccia la perdizione della nostra stessa autocoscienza nella
immediatezza pulsionale polimorfa ed incoerente; quale modalità
di questo nostro riferirci, mentre nella sua variante positiva, esso
è l'more, la passione, la tensione che ci muove alla realizzazione
della vita (che sia vita sensata nella società) e in essa ci
sostiene, nella sua variante negativa è l'adesione immediata
alla pulsione affettiva non finalizzata, che trattiene nella identificazione
simbiotica di soggetto oggetto; e infine, sempre lo stesso simbolo,
quale funzione che in noi stessi esercitino, mentre nella sua variante
positiva è l'amore verso il proprio sè che deve manifestarsi
al mondo nella sua ricchezza, funzione che ci impegna nella fatica
del lavoro quotidiano finalizzato al senso, nella sua variante negativa
è invece l'indulgente concessività verso noi stessi
che ci mantiene nella convinzione della bisognosità e nel diritto
ovvio e naturale all'immediato appagamento, convinzione che ci fa
incapaci di controllo, di mediazione e di finalizzazione.
Anche il simbolo paterno presenta questa ambivalenza. Quale riferimento
alla possibilità dell'uomo di divenir soggetto, esso è,
nella sua variante positiva, l'esigenza del senso quale giustificazione
della vita umana e quale orientamento in essa; senso che non si dà
se non nella socialità, così che è anche simbolo
della possibilità per l'uomo di realizzare se stesso nella
prassi sociale, simbolo che finalizza l'Eros in questa direzione e
ci consente la fiducia nella finalizzazione del nostro divenire anche
quando ci è oscura la finalità; nella sua variante negativa
esso è invece la legge quale autorità che impone un
ordinamento imprescindibile, l'uscita dal quale è condannata
come l'uscita dalla stessa condizione umana; quale modalità
di questo nostro riferirci, se nella sua variante positiva esso è
il distacco riflessivo del soggetto, che consente un rapporto mediato
con la stessa pulsione erotica e dà luogo alla creatività,
nella sua variante negativa è l'obbedienza, la sottomissione
incondizionata all'ordine dato come assoluto, che ci impedisce il
recupero del senso individuale della nostra esistenza nelal prassi
sociale; infine, sempre lo stesso simbolo, quale funzione che in noi
stessi esercitiamo, mentre nella sua variante positiva è la
perenne interrogazione che ci incalza alla ricerca del significato
nascosto o stravolto dell'immediata datità delle cose, nella
sua variante negativa è esattamente il suo opposto: è
il pregiudizio, l'adesione acritica al valore dato come un apriori,
anzi è l'indiscutibilità del dato assunta essa stessa
come valore.
L'aspetto negativo o positivo dei due simboli materno e paterno, si
condizionano reciprocamente.
Se il simbolo materno, l'Eros, si prospetta come la risposta immediata
alla richiesta affettiva, che annulla la tensione e nega la distanza
riflessiva del soggetto, il simbolo paterno, il Logos, non può
che prospettarsi come la legge repressiva che impone dal di fuori
quell'orientamento che l'individuo da sè non si sa dare; e
così, un simbolo paterno che si presenta quale principio normativo
estraneo al reale interesse del soggetto, e pertanto non si costituisce
a lui come oggetto d'amore, fa necessariamente sì che l'Eros
refluisca nelle braccia materne, come appagamento immediato della
pulsione che conforti e consoli una fatica senza senso. Viceversa
se il simbolo paterno, il Logos, si prospetta come possibilità
di realizzazione del proprio sè nel mondo, esso canalizza l'Eros
in questa direzione, così come, a sua volta, la disponibilità
erotica al valore rende possibile superare l'immediatezza del proprio
appagamento affettivo per una finalità che lo trascende.
Da questo discorso emerge dunque che è il prospettarsi dell'aspetto
negativo dei due simboli in questione a mantenere l'individuo nella
dipendenza dalla propria bisognosità e da un ordine esterno
che la governi.
E questa è appunto la situazione edipica, intesa come il permanere
dell'individuo nella dipendenza da figure parentali, siano esse reali
o fantasmatiche.
Sono allora le figure parentali reali ad attivare nel figlio il simbolo
negativo?
E' certo che, se le figure parentali impersonano i simboli dei due
principi fondamentali della vita, sarà il loro intervenire,
proprio in quanto principi, ad attivare una configurazione negativa
o positiva dei simboli stessi. E la configurazione sarà negativa
se i genitori reali, nell'esercitare la funzione parentale e quindi
nell'operare quali principi, lo fanno ai fini del proprio narcisismo.
Una madre, che nel nutrire il figlio soddisfa il proprio narcisismo
di nutrice, mantiene costui nel vissuto di sè come di chi deve
perennemente essere nutrito; un padre, che nel guidare il figlio soddisfa
il proprio narcisismo di potere, mantiene quest'ultimo nel vissuto
di sè come di colui che deve perennemente essere guidato.
C'è da dire però che le figure parentali, all'inte:rno
dell'ordine dei rapporti del nucleo familiare, non possono, quali
persone reali, che esercitare narcisisticamente la loro funzione,
in quanto la rigida divisione dei ruoli li costringe a identificare
la funzione stessa con la loro intera esistenza e ad esercitarla perciò
ai fini di dare senso e valore alla propria vita personale, per una
finalità quindi rivolta alla propria soddisfazione narcisistica.
E con ciò c'è da dire ancora che è proprio l'assegnazione
dei ruoli definiti e separati all'interno del nucleo familiare, sancita
dal divieto dell'incesto quale legge del padre (che la psicoanalisi
cosiddetta ufficiale assume come legge inderogabile dell'ordine sociale)
a mantenere l'individuo all'interno del triangolo edipico, nella dipendenza·
dalla propria bisognosità e sotto la tutela di chi la governa:
e che viceversa dovrebbe essere proprio il simbolo del compimento
dell'incesto, che già nella concezione di Jung si prospetta
come il simbolo della possibile infrazione dell'ordine dei rapporti
dati, a portare fuori dalla dipendenza edipica.
Dopo questa lunga ma necessaria premessa approdiamo infine al tema
fondamentale del nostro discorso. Quale è la struttura della
personalità che si istituisce all'intemo della struttura edipica
dei rapporti familiari, dal rivoluzionamento della quale ne scaturisce
la nuova?
L'Edipo è l'altra faccia del divieto dell'incesto, quale divieto
a considerare la figura parentale come il possibile partner sul piano
della reciproca 'genitalità', il che vuol dire sul piano del
reciproco relazionarsi, quali individui distinti e indipendenti l'uno
dall'altro, in un rapporto di parità.
Il divieto dell'incesto presuppone che le figure parentali restino
tali, ovvero figure nei confronti delle quali l'individuo resta comunque
in dipendenza. Così la situazione psicologica di chi si trova
all'interno del triangolo edipico è quella di chi, maschio
o femmina che sia e qualunque sia l'età raggiunta, si pone
in posizione filiale nei contranti di figure parentali con tutti gli
atteggiamenti di dipendenza e di richiesta di dipendenza che questa
posizione comporta.
La situazione del maschio all'interno dell'Edipo è quella di
chi si riferisce alla figura femminile come fa il bambino con la madre;
o egli si pone nei confronti di lei in un atteggiamento filiale, ovvero
nell' atteggiamento passivo e ricettivo di chi viene appagato nei
bisogni, o, identificandosi con il padre si pone in un atteggiamento
paterno protettivo, come il "piccolo uomo della mamma".
Ciò gli evita di riconoscere e di legittimare il proprio desiderio
di lei come oggetto d'amore quale altro e diverso da
sè; il bambino, infatti, non può desiderare di amare
'genitalmente' la madre perché il rapporto con lei è
'orale' e non "genitale', e cioè un rapporto di identificazione
simbiotica e non di reciprocità dialettica; la madre non è
mai per il figlio l'altro, il diverso, l'etero-sessuale.
ma quale appagatrice dei suoi bisogni ella si confonde con lui.
La situazione della femmina nell'Edipo è quella di chi resta
fedele alla madre nel mondo dell'appagamento immediato dei bisogni;
figlia che appaga la madre, facendosi appagare da lei, e che si fa
madre a sua volta appagando il figlio-padre.
In questo mondo l'uomo, inteso come l'altro, il diverso,
l'etero-sessuale, non può entrare senza tradimento nel
mondo simbiotico materno; l'unico uomo cui la figlia può riferirsi,
e in effetti si riferisce, senza compiere questo tradimento, è
il padre, che proprio in quanto padre, non può amarla "genitalmente'
come donna, ovvero come altro e diverso da sé.
Il riferimento della donna alla figura maschile è pertanto
quello di una bambina nei confronti del padre che media per lei il
rapporto con il mondo e da esso la protegge, o quello di una madre
verso il figlio de1 quale ella appaga i bisogni.
Pertanto, per chi :resta all'interno del triangolo edipico,non si
dà la possibilità di rapporto 'genitale' e non si dà
'etero-sessualità' e, poichè 'genitalità' vuol
dire capacità di rapporto con l'altro come altro e diverso
da sé, per chi resta all'interno del triangolo edipico
non si dà rapporto tra diversi e non si dà pertanto
la dialetticità.
Ma questo mancato accesso alla 'genitalità', insito nel divieto
dell'incesto che codifica il modello di rapporto edipico come struttura
della psiche, è a sua volta codificato come modello comportamentale
all' intemo dell'istituzione familiare.
Se infatti la 'genitalità' è simbolo della capacità
di rapportarsi all'altro come altro, diverso e contrario
da sé, è anche simbolo della capacità di mettersi
in rapporto con sè stessi come con il proprio altro, diverso
e contrario, è la capacità di reggere la
tensione della distanza e della contraddizione nella perenne dialogicità
con sè stessi e con il mondo.
In questo caso allora l'accesso alla 'genitalità' si riferisce
alla possibilità, per l'uomo e per la donna, di rapportarsi
a sé come al proprio contrario, di rapportarsi cioè
a quella modalità d'esistenza che è propria a ciascuno,
ma che ciascuno demanda all'altro sesso.
Ma il divieto simbolico dell'incesto, simbolo del divieto a infrangere
l'ordine dei rapporti familiari, ordine che sostanzialmente si fonda
sulla divisione delle funzioni maschili e femminili al suo interno,
costringe l'identità dell'individuo nel limite del ruolo assegnatogli
e gli vieta appunto di incontrarsi, di unirsi e dialogare con quella
parte di sé che il ruolo contrario rappresenta, e così
struttura il modello del rapporto edipico: madre, padre-figlio e padre,
madre-figlia. in cui ciascuno resta nella propria univocità.
Nel nucleo familiare infatti, la donna è collocata, in quanto
donna rispetto all'uomo, sempre e soltanto nel ruolo di madre e di
figlia: di madre, quale appagatrice dei bisogni. dell'uomo (anche
sul piano sessuale dove si pone come oggetto del desiderio dell'uomo
e mai come soggetto desiderante); di figlia in quanto domanda all'uomo
padre di mediare per lei il rapporto con la società.
Ciò fa sì che la donna resti vincolata al mondo femminile
materno della immediatezza affettiva che ella, identificandosi con
la madre, perpetua come unica dimensione della sua esistenza. Questo
vincolo rafforza il divieto (già istituzionalizzato) di andare
verso l'uomo come il 'maschile' quale suo diverso, in quanto ciò
comporterebbe la rottura del modello della identità simbiotica,
proprio della madre, e quindi la negazione del mondo materno.
L'uomo resta per lei soltanto la figura del padre che la protegge
e quella del figlio che ella nutre.
Ma poichè il 'maschile' è proprio il simbolo della modalità
d'esistenza simbolico-creativa: il Logos, l'impossibilità per
la donna di andare verso l'uomo come altro e diverso
da sé porta con sé l'impossibilità di recuperare
la modalità d'esistenza logico-creativa.
Così, per la donna, al divieto di amare il padre corrisponde
il divieto ad investire eroticamente il Logos. e in tal modo l'Eros
non si finalizza ma si annulla di volta in volta nella immediatezza
affettiva; al divieto dell'incesto corrisponde quindi il divieto dell'incontro
dialettico tra le due modalità contrarie d'esistenza: l'Eros
e il Logos.
Ma poichè il divieto dell'incesto è lo statuto del nucleo
familiare, alla donna è vietato, fin che resta al suo interno,
di uscire dalla dimensione simbiotica della immediatezza affettiva,
che le è propria in quanto istituzionalizzata, e di accedere
alla dimensione simbolica dell'attività sociale creativa.
Nella personalità della donna si viene così a creare
una scissione tra un Eros non finalizzato (la cosiddetta irrazionalità
che le si imputa) e un Logos non erotizzato che le si presenta, o
come una razionalità astratta che a lei si sovrappone come
pregiudizio, o come una razionalità insensata che a lei si
oppone come nemica del suo mondo erotico.
L'uomo è collocato all 'interno del nucleo familiare, in quanto
uomo rispetto alla donna, sempre e soltanto nel ruolo di padre e di
figlio, di padre quale mediatore per lei dell'ordine sociale, di figlio
quale dipendente da lei per l'appagamento dei bisogni affettivi. Pertanto
mentre egli è comunque, sia come padre che come figlio maschio,
il rappresentante all'interno della famiglia dell'ordine razionale
della società, il suo modo di riferirsi alla donna resta quello
del vincolo affettivo ad un 'femminile-materno' che appaga i suoi
bisogni e si costituisce a lui come l'unica modalità dell'amore,
amore che resta però appannaggio della figura femminile e di
cui l 'uomo, in quanto maschio, può solo usufruire.
Cosi l'uomo resta, sul piano erotico, come il bambino che demanda
alla madre il potere di appagarlo con la sua capacità di amare
di cui egli è privo e, restando in tal modo nel vincolo affettivo-simbiotico
con la madre appagante, egli evita di andare verso la donna, come
l' altro e il diverso da sé ed evita in tal modo
anche di recuperare l'Eros come sua dimensione d'esistenza.
I1 divieto dell'incesto coincide perciò, anche per l'uomo,
con il divieto dell'incontro dialettico tra le due modalità
contrarie di atteggiarsi: l'Eros e il Logos.
E poichè il divieto dell'incesto è lo statuto del nucleo
familiare, anche all'uomo è vietato, finchè ne resta
all' interno, di recuperare a sé, come sua possibilità
esistenziale, la dimensione affettivo-pulsionale, perchè non
propria al ruolo maschile istituzionalizzato.
Così anche nella personalità dell'uomo si viene a crea:re
la scissione tra Eros e Logos intesi come irrazionalità e razionalità.
Il Logos a lui si presenta come razionalità ossessiva e repressiva
della vita emotiva e pulsionale, un Logos quindi non erotizzato come
principio normativo della propria vita; e l'Eros a lui si presenta
come ciò che lo vincola all'appagamento immediato dei bisogni
affettivi, un Eros non finalizzato e pertanto irrazionale e distruttivo
della sua soggettività.
Così, all'interno del nucleo familiare, che ripete la struttura
edipica, la donna resta confinata nella dimensione dell'Eros, ma di
un Eros non finalizzato che si esaurisce nella. immediatezza emotiva,
in quanto le è vietato, dal divieto dell' incesto, di recuperare
a sé il Logos che resta per lei un modo del pensiero estraneo
alla sua modalità di pensare, modalità che è
quella immediatamente aderente alla affettività, così
che il pensiero logico a lei si presenta, non come il mediatore della
affettività stessa, bensì come la sua negazione.
L'uomo resta confinato nella dimensione del Logos, ma di un Logos
non erotizzato che si risolve in una razionalità senza senso,
in quanto a lui è vietato, dal divieto dell'incesto, di farsi
disponibile all'Eros quale adesione alla affettività che alimenta
il pensiero, così che l'Eros, anzichè essere sperimentato
come motivazione al pensare, è temuto come la sua negazione.
Cosi l'istituzionalizzazione dei ruoli all'interno del nucleo familiare
porta con sé l'istituzionalizzazione della separazione, che
in questa struttura torna a generarsi, tra maschile e femminile, tra
Eros e Logos, tra razionale e irrazionale.
Ma ciò che soprattutto questa divisione dei ruoli fonda e istituzionalizza
è la logica della contrapposizione inconciliabile tra i diversi,
logica che in effetti scaturisce dalla struttura relazionale edipica
all'interno della quale l'individuo apprende la dialogicità
e quindi l'articolazione del pensiero.
Questa stessa scissione la si ritrova intatti anche nella cultura
attuale dove viene costantemente alimentato il pregiudizio di un femminile
irrazionale e di un maschile razionale e dove, mentre si fa confluire
nel primo ogni manifestazione passionale, emotiva, erotica e financo
innovativa, al secondo si fa credito dell'ordine che regge la società
degli uomini, ma gli si imputa contemporaneamente il limite alla libertà.
Ma questa separazione razionale-irrazionale, che si dà come
fenomeno psicologico e come fatto culturale e che si presenta inerente
alla struttura edipica del nucleo familiare, è a sua volta
alimentata dalla dinamica della attuale struttura sociale, che si
serve di essa ai fini di mantenere la divisione del lavoro tra gli
uomini e le donne.
Alle donne, quali addette alla riproduzione naturale della
specie, è affidato il compito di provvedere al soddisfacimento
dei bisogni inerenti alla sopravvivenza biologica della medesima,
e le è affidato questo compito, che resta al di fuori di qualsiasi
organizzazione raziona1izzata del sistema., facendo proprio leva sulla
immediatezza affettiva della donna stessa, ovvero sulla sua irrazionalità;
all'uomo, quale addetto alla riproduzione socio-culturale della specie
umana, ma che nel sistema sociale attuale è la produzione capitalistica
finalizzata alla valorizzazione del capitale di cui egli è
strumento, si chiede un adeguamento alla logica razionale del sistema
facendo leva proprio sulla sua razionalità. Inoltre l'identificazione
dell'Eros con l'appagamento immediato dell'affetto e del bisogno,
che si crea all'interno del nucleo fami1iare, crea a sua volta il
vissuto della naturalità dell'appagamento egoico e del
diritto ovvio e naturale a salvaguardare il proprio interesse personale
anche a scapito della società. Crea quindi l'ideologia della
contrapposizione tra interesse del singolo e interesse della società
che sostiene l'attuale sistema di produzione.
Ciò che quindi, in ultima analisi, condiziona la struttura
edipica della psiche non è l'azione diretta delle figure parentali
come persone reali, ma quella indiretta del sistema sociale di cui
le figure parentali sono simboli, che si concretizzano nei genitori
reali, grazie alla loro funzione mediatrice.
Che la madre reale si presenti come il simbolo della madre negativa
che trattiene l'individuo nella dimensione naturale ed egoriferita,
è da ricercarsi nel fatto che ella media la funzione materna
della società attuale appagatrice di bisogni consumistici e
repressiva dei bisogni creativi; che il padre si costituisca come
autorità insensata anzichè come simbolo della possibilità
per l'individuo di realizzarsi nell'attività sociale, va ricercato
nel fatto che il padre è per il figlio il rappresentante del
lavoro "astratto', che resta attività razionale senza
senso, in quanto in esso non si dà la possibilità di
creare la propria personalità.
Così il modello del rapporto edipico appare come quello del
rapporto tra l'individuo e il sociale, un sociale che si presenta
all'individuo stesso nella duplice funzione parentale negativa; quella
materna, che sta nel mantenerlo nella dimensione della immediatezza
irrazionale, quella paterna che sta nel governarlo con un ordine razionaIe
repressivo, necessario allo svolgimento di una attività che
a lui resta estranea.
La contrapposizione tra Eros e Logos, razionalità e irrazionalità,
individuo e società, che sostanzia la qualità di vita
che si dà nella cultura attuale, si rivela quindi scaturire
dal rapporto che il singolo ha nei confronti del sociale, rapporto
che torna però a fondarsi, come struttura psicologica edipica,
all'interno del nucleo familia:re.
Eppure è proprio a partire da questa struttura psichica che
si avanza oggi l'esigenza della liberazione, esigenza che nel linguaggio
dell'inconscio si prospetta con un nuovo simbolo, il simbolo del compimento
dell'incesto, che si riferisce proprio al desiderio e alla possibilità
dell'essere umano di infrangere l'ordine dato dei rapporti sociale,
pur restando all'interno della socialità, e di operare così
attraverso la propria trasformazione alla trasformazione della società.
Il simbolo del compimento dell'incesto è infatti il simbolo
delle "coniunctio oppositorum", ovvero dello incontro dialettico
tra i contrari: tra l'Eros e il Logos, incontro in cui la donna recupera
a sè il "maschile", quale modalità attiva
e creativa della sua esistenza, e l'uomo recupera a sè il "femminile",
quale disponibilità alla dimensione emotiva della vita.
Così che, sul piano psichico individuale il compimento simbolico
dell'incesto, mentre dà alla donna il diritto di accedere alla
dimensione sociale e di uscire così dal limite astorico del
suo ruolo familiare, per farsi soggetto responsabile della storia,
dà all'uomo la legittimità di aderire alla dimensione
erotico-pulsionale della vita e di farsi così padrone della
propria esistenza totale, liberandosi dal limite del ruolo di rappresentante
dell'ordine razionale che lo mantiene prigioniero del sistema.
Questa trasformazione individuale già costituisce forza rivoluzionaria,
in quanto, nel dare alla donna la consapevolezza della propria capacità
di farsi soggetto attivo nella società, fa nascere in lei anche
la necessità e il desiderio di sottrarsi al ruolo di addetta
ai servizi su cui fa leva l'attuale sistema di produzione; e, nel
dare all'uomo l'accesso alla dimensione anche erotica e passionale
della vita, gli fa ritrovare anche il desiderio e la forza di liberarsi
dalla razionalità del sistema.
Vengono così messi in questione i cardini su cui si fonda l'attuale
struttura socio-economica: la modalità emotivo-immediata della
donna, su cui il sistema fa leva per trattenerla nel ruolo di addetta
ai servizi, e la modalità razionale-ossessiva dell'uomo, di
cui il sistema si serve per adeguarlo supinamente al lavoro 'astratto'.
Ma la più grossa forza rivoluzionaria sta nel ripercuotersi
di questa trasformazione psichica individuale sul piano culturale.
L'uscita della donna dal mondo astorico della affettività immediata
ed il suo accedere alla dimensione astorica della mediazione dialettica,
non solo libera lei dalla interdipendenza simbiotica dei bisogni,
ma sposta il significato stesso dell'esistenza umana dalla dimensione
biologico-animale, che è quella in cui il singolo si riconosce
solamente come ente particolare, alla dimensione socio-culturale,
che è quella in cui il singolo, recuperando a sè il
sociale, si riconosce come ente generico e può finalmente porsi
in prima persona come soggetto responsabile della storia.
Il recupero da parte dell'uomo della funzione mediatrice dei bisogni,
demandata finora alla donna, libera l'uomo dalla dipendenza dai bisogni
stessi, e così anch'egli si sposta dal piano dei bisogni cosiddetti
naturali da cui ci si vive appunto come dipendenti al piano dei bisogni
socio-culturali, che noi stessi creiamo, creando la condizione umana.
Questa trasformazione sembra quindi operare il passaggio dell'essere
umano dal piano dei bisogni egoriferiti a quello dei bisogni della
socialità, nello ambito della quale solamente egli realizza
la propria individualità.
Questo passaggio, dal mondo della necessità naturale a quello
della necessità storico-sociale, sembra proprio coincidere,
con quello "dal regno della necessità al regno della libertà"
che Marx prospetta come l'accesso a una società comunista,
in cui i rapporti di produzione restituiscano al lavoro umano il suo
significato di "bisogno vitale", ovvero di realizzazione
dell'uomo nella attività finalizzata alla sua sopravvivenza
di ente generico e non più alla sopravvivenza biologica di
ente particolare.
Ma, soprattutto, questa trasformazione dà luogo alla rottura
della logica del sistema; quella degli opposti inconciliabili: Eros
- Logos, irrazionale-razionale, natura-cultura, singolare-universale
e dà l'accesso alla logica dialettica, l'unica che può
oggi operare il rivoluzionamento della qualità della vita.
Con il recupero del Logos da parte del 'femminile' l'Eros si finalizza
al senso e per esso si disciplina e, cessando così di essere
dispersione di energia vitale, diviene forza che alimenta il pensiero
e lo sostiene verso lo scopo; con il recupero dell'Eros da parte del
'maschile' il Logos torna ad aderire alla fonte emotiva che lo giustifica
e lo finalizza all'oggetto d'amore, là dove l'oggetto d'amore
è la sopravvivenza stessa dell'essere umano nella sua universalità.
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