Il mito dell'integrazione Guglielmo Colombi |
Il termine integrazione è diventato il valore principali
dei sostenitori della globalizzazione. Nel migliore dei casi è
l'incorporazione di una certa entità etnica in una società,
con l'esclusione di qualsiasi discriminazione razziale. E' come
l'inserimento dell'individuo all'interno di una collettività,
attraverso il processo di socializzazione. Implica la relazione
e il reciproco influenzamento fra le parti che puntano all'integrazione.
Dall'impero romano e a parte la Chiesa, l'Occidente è stata
la cultura meno integrativa del pianeta. L'Oriente ha fatto di meglio,
ma solo un poco. Cina e Russia, in quanto grandi imperi, hanno imitato
l'integrazione imperiale romana, anche se ancora persistono problemi
come il Tibet e la Cecenia. La mezzaluna verde ha integrato diverse
etnìe sotto l'ombrello religioso, più o meno come
la Chiesa cattolica. In Myanmar, la minoranza Rohingya è
perseguitata. A parte l'aberrazione anti-ebraica del nazi-fascismo, sono sempre
aperti i conflitti anti-integrazione fra Israele e Palestina, o
fra i gruppi etnici della ex-Jugoslavia. La integrazione dei Rom
e dei Sinti è un problema irrisolto da secoli. L'Europa è
il continenete dove pullulano i movimenti autonomisti. Fiamminghi
e Valloni sono come cane e gatto. In Spagna i baschi e i catalani
sono in perenne rivolta. Irliandesi e scozzesi non sembrano molto
integrati con gli inglesi. Le Figaro ha riportato che Les Izards, un quartiere di Tolosa, è una "no-go zone", dove le bande arabe di trafficanti di droga controllano le strade in un clima di paura. Oltralpe vengono chiamate Zus (Zone urbane sensibili), sono 751 in tutto il Paese ed ospitano almeno 5milione di musulmani. Una di queste è Sevran, banlieue di 50mila anime, dove il 90 per cento degli abitanti sono di origine straniera. In Gran Bretagna, esisteLondonistan. Una denominazione che va ben oltre la capitale per comprendere quartieri in quasi tutte le città del Regno Unito. Quartieri dove spesso si trovano dei cartelli avvertono che "stai entrando in una zona controllata dalla sharia". Il Belgio ha una lunga lista di zone a rischio. A Bruxelles, dove il 20% della popolazione è di religione musulmana, esiste un intero quartiere Molenbeek sottoposto alla Sharia. Qui nessuno, anche se non islamico, può bere o mangiare in pubblico durante il mese di digiuno il Ramadan, le donne sono "invitate" a indossare il velo e a non portare i tacchi. Bere alcool e ascoltare musica sono attività non gradite. LOlanda, ha una lista di 40 zone di aree urbane off-limits. Il problema numero uno, è il distretto di Kolenkit, ad Amsterdam. E' vero che l'Europa, come l'Italia, pullula di zone urbane interdette, non solo per l'islamislazione. Ma anche per la delinquenza autoctona. Nel primo caso si tratta di mancata integrazione fra culture o etnìe, nel secondo di mancata integrazione fra ceti autoctoni. In entrambi i casi abbiamo la conferma che l'integrazione, in Occidente, è un mito mai realizzato. A riprova di questo fallimento c'è il caso di molti terroristi non immigrati ma autoctoni (nati in Europa). E tantissimi sono i combattenti europei arruolatisi nel Califfato. Non che l'integrazione non debba essere cercata, ma con la consapevolezza che è un'operazione difficile e dai tempi lunghissimi.
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