Roma, città invivibile
Crolli, incendi, traffico e agguati notturni minacciano la Roma
di Giovenale (60-127 ca. d.C.), una realtà ben diversa
da quella dipinta dalla letteratura celebrativa. A farne le spese
sono i poveri, privi della possibilità di comprarsi il silenzio,
la tranquillità, la sicurezza: privilegi che a Roma costano
cari. Di fronte a una situazione irrimediabilmente degradata, l'unica
soluzione suggerita dall'autore è la fuga: meglio rinunciare
ai giochi del circo e optare per la vita semplice di campagna.
Chi teme o ha mai temuto crolli nella gelida Preneste, a Bolsena
adagiata tra colli boscosi, nella semplice Gabi o sulla rocca di Tivoli
declive? Ma noi abitiamo una città sostenuta in gran parte
da deboli puntelli; così infatti l'amministratore fa fronte
ai cedimenti e, chiusa la fessura di una vecchia crepa, invita a dormire
tranquilli sotto la minaccia di un crollo. Là si dovrebbe vivere:
dove non ci sono incendi né timori notturni. Già va
in cerca d'acqua, già trasloca le sue cosette Ucalegonte; già
ti va in fumo il terzo piano, ma tu non lo sai. Se infatti il terrore
dilaga dal basso, brucerà per ultimo l'inquilino che solamente
il tetto ripara dalla pioggia, lassù dove le tenere colombe
depongono le uova.
Cordo aveva un letto troppo piccolo anche per Procula, sei brocchette,
ornamento del suo tavolino e poi, di sotto, una piccola coppetta e
un Chirone sdraiato sotto lo stesso marmo, inoltre una vecchia cesta
custodiva dei libretti greci, e rozzi topi rodevano le sublimi poesie.
Non aveva nulla, Cordo, chi dice di no? Eppure, quel suo nulla, il
disgraziato l'ha perduto tutto. E, ultima aggiunta alla sua sventura,
per quanto nudo e inutilmente supplicante, nessuno gli verrà
in aiuto con un po' di cibo, né con un riparo ospitale. Ma
se crolla il grande palazzo di Asturico, signore inorridite, notabili
in lutto, il pretore rimanda le udienze.
Allora si piangono le sventure di Roma, allora si odiano gli incendi.
Se riesci a staccarti dai giochi del circo, a Sora, a Fabrateria o
a Frosinone si può avere una casa stupenda al prezzo che paghi,
in un solo anno d'affitto, per un buio tugurio a Roma.
Là c'è un giardinetto, e un pozzo poco profondo (non
serve la fune) diffonde la sua acqua sulle tenere piante, senza la
fatica di attingere.
Vivi con la zappa al fianco e bada al tuo orto ben curato, da ricavarne
un banchetto per cento pitagorici.
In qualsiasi luogo, in qualsiasi angolo di mondo, conta qualcosa essere
padrone, anche solo di una lucertola.
A Roma i malati muoiono per lo più d'insonnia (ma questo malessere
lo produce il cibo, mal digerito e stagnante nello stomaco in fiamme).
E poi, quale casa in affitto consente il sonno? Occorre un bel po'
di denaro per dormire in città: è questa l'origine della
malattia. Il transito di carri nello stretto intrico dei vicoli e
gli schiamazzi delle mandrie in sosta toglierebbero il sonno a Druso
e persino a dei vitelli marini.
Ma, se un affare lo chiama, il ricco trasportato fenderà la
folla e correra al di sopra delle teste su un'enorme lettiga illirica;
strada facendo leggerà, scriverà o dormirà là
dentro: concilia il sonno, una lettiga chiusa.
Arriverà peraltro prima di me: alla mia fretta fa da ostacolo
l'onda che mi precede, mentre la folla che mi segue, con la sua gran
massa, mi comprime la schiena. Uno mi urta col gomito, un altro con
una robusta sbarra, questo poi mi tira in testa una trave, quello
un vaso. Le gambe grondano fango, ovunque sono calpestato da enormi
suole e un chiodo da soldato resta infisso nel mio alluce.
[...] Un lungo abete traballa su un carro che avanza; un altro carretto
trasporta un pino; oscillano alti e minacciano la folla.
Se crolla il carro che trasporta i marmi di Liguria e rovescia sotto
sopra sulla folla quel monte di sassi, cosa resta dei corpi? Chi ritrova
le membra o le ossa? Schiacciati, i cadaveri della povera gente si
dissolvono come un soffio di vento.
(traduzione di L. Pasetti)
da: Centro Studi "La permanenza del classico" Elogio della
politica, libri Arena, Bologna, 2008 pp. 155-159
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