Data: 08.06.2003 / Argomento: Europa / URL: http://www.rekombinant.org/article.php?sid=2090
l'europa é sconfitta, occorre ripensarla. E nessun altro può farlo se
non il movimento del general intellect, nella sua autonomia dal dominio
di un capitale retro-globale e nazi-liberista
La disfatta
All'inizio del giugno 2003, sollecitati da un intervento firmato da Jurgen
Habermas e Jacques Derrida, alcuni prestigiosi intellettuali sono intervenuti
scrivendo brevi saggi comparsi nei diversi paesi per contribuire al processo
di unità europea che attraversa un momento di particolare delicatezza
e drammaticità. Era ora che accadesse qualcosa del genere, perché negli
anni passati il progetto politico europeo non ha suscitato né mobilitazioni
sociali né riflessione intellettuale né passioni civili. Fino a questo
momento il processo di unità europea è stato affare di banchieri e di
burocrati, asettica costruzione di ingegneria amministrativa. Il concetto-Europa
è rimasto così sfocato, la discussione intorno all'elaborazione di una
Carta Costituzionale ha coinvolto soltanto le elite politiche, ed esangue
è stato l'interesse per il processo di creazione di un'entità politica
originale.
Non sono certo da rimpiangere le retoriche nazionaliste che accompagnarono
in altri tempi i processi di formazione di nuove entità politiche, tra
squilli di tromba e proclami di aggressiva superiorità. Ma nel processo
di unità europea è in gioco l'unica possibile invenzione politica capace
di innovare il panorama mondiale. Perciò concettualizzare lo spazio europeo
dovrebbe diventare finalità principale del movimento di pensiero autonomo.
L'appello di Habermas e Derrida ha dunque una funzione positiva, perché
chiama ad una assunzione di responsabilità intellettuale ed indica l'Europa
come il focus di un'attenzione non solo politica ma anche filosofica.
Ma temo che il paradigma di pensiero entro il quale si muove il loro contributo
sia inadeguato a far fronte alla situazione attuale. Il tentativo di Habermas
e Derrida appare nobile ma perdente, perché assume il punto di vista di
un'identità culturale del passato.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito alla disfatta del progetto unitario
europeo così come esso è maturato fino a questo momento. E questa disfatta
è legata all'obsolescenza del paradigma concettuale umanistico e illuminista
entro il quale la storia europea si è mossa, e che forse non è più capace
di elaborare quanto di nuovo emerge nella storia del mondo.
I segni della disfatta sono emersi evidenti nel confronto che ha opposto
il nucleo franco-tedesco dell'Unione europea al fronte bellicista che
si è costruito al seguito della Presidenza Bush. La prima finalità della
presidenza americana nella guerra iraqena della primavera del 2003 era
la sconfitta e la divisione dell'Unione europea. Questo scopo è stato
raggiunto. L'Europa deve ridefinire strategicamente non solo la sua funzione
geopolitica, ma anche la sua specificità culturale e sociale, se vuole
avere un ruolo originale ed autonomo, se vuole conquistare il diritto
all'esistenza.
Il nazional-liberismo: devastazione sociale e guerra preventiva
Il fronte bellicista che si è costituito sotto la direzione della presidenza
Bush ha come missione l'estensione illimitata del principio liberista.
Anche se è ormai evidente che il primato degli interessi privati sull'interesse
collettivo ha portato al collasso le strutture della vita sociale civilizzata,
i gruppi dominanti dell'economia mondiale non hanno intenzione di recedere
da queste politiche, anzi vogliono portare alle estreme conseguenze la
privatizzazione di ogni fonte energetica, di ogni spazio comunicativo,
di ogni bene e servizio primario. L'egoismo nazionalista o di clan prevale
ormai sulle retoriche del globalismo. L'intervento statale autoritario
si sostituisce sempre più spesso alle dinamiche del libero mercato per
imporre gli interessi delle grandi corporation. Un liberismo nazionalista,
intimamente antiglobalista, è quello che si va formando sotto lo scudo
dell'infinita guerra americana. Lo chiameremo nazional-liberismo. La privatizzazione
dell'acqua, del patrimonio genetico, dello spazio della comunicazione
sono nuovi campi nei quali si proietta il disegno di conquista delle corporation
globali. Soltanto se sarà autonomo da questa tendenza, e saprà avviarne
il rovesciamento, il processo europeo avrà un senso. Ma l'attuale gruppo
dirigente europeo non ha né la cultura né l'intenzione né soprattutto
la potenza per opporsi al disegno nazional-liberista. Perciò non può portare
a compimento il progetto europeo, che deve invece diventare oggetto di
riflessione e di azione dei movimenti sociali anticapitalisti. Solo a
questa condizione il processo di unificazione europea avrà caratteri di
originalità. E in questo modo i movimenti sociali antiliberisti troveranno
una finalità positiva.
L'illusione pericolosa del nazionalismo europeo
Nel corso dell'ultimo anno, in coincidenza con l'accentuazione dei toni
bellicisti dell'amministrazione americana, si erano diffuse illusioni
sull'autonomia dell'entità politica europea. Nonostante la condizione
di minorità strategico-militare, anzi proprio grazie al basso profilo
militare dell'entità europea, molti hanno creduto che l'Europa a guida
franco-tedesca potesse costituire un'alternativa al modello americano.
A mio parere è stato un modo sbagliato di impostare la questione. Ponendo
il problema in questi termini si è finito per ragionare sul progetto politico
europeo in termini nazional-europei. L'idea che un polo franco-tedesco-russo
possa costituire il partito della pace e un punto di resistenza contro
il nazi-liberismo non ha fondamento.
La Francia e la Germania difendevano i loro interessi economici e geopolitici
quando si sono opposti alla strategia americana di guerra d'aggressione.
E i loro interessi economici e geopolitici sono perdenti. Il titolo nazistoide
del film di guerra Shock and Awe cui abbiamo dovuto assistere impotenti
nella primavera del 2003 mostra con chiarezza che la strategia americana
mirava a minacciare ed a terrorizzare non solo i paesi arabi, non solo
il mondo islamico, ma anche tutte le potenze nazionali e tutte le forze
sociali che vogliono cercare strade alternative alla dittatura globale
nazi-liberista. Se a questa minaccia opponiamo un progetto di tipo nazionalista
europeo la battaglia è perduta in partenza.
A nulla varranno le alchimie sulle modalità decisionali. L'Europa è divisa
e subalterna, e non riuscirà a diventare una potenza militare capace di
ostacolare o di condizionare il nazi-liberismo americano. E se lo diventasse,
costruendo un esercito potente e unificato, e una improbabile capacità
di decisione politico-militare, questo sarebbe un incubo ulteriore, non
la liberazione dagli incubi presenti.
Non America non Europa, ma un movimento globale contro la guerra e
il nazi-liberismo
Anche nell'ambito del movimento si è accreditata l'ipotesi di una contrapposizione
tra egemonismo americano e autonomia europea che trova il suo contenuto
nella difesa dei diritti civili e di un liberismo moderato dalla socialdemocrazia.
Ma questa rappresentazione va respinta. Non c'é America ed Europa. C'é
un'opinione democratica di euro-americani contro la guerra. C'é un'opinione
contro la guerra largamente maggioritaria in Europa e minoritaria negli
USA. Questo é il punto.
L'Europa è uscita sconfitta dal confronto. Ma quel che conta é la costituzione
di una cultura cosmopolita e internazionalista che si è opposta alla guerra.
Dimenticare l'Europa, dunque? Niente affatto. Il movimento democratico
anti-liberista deve opporsi alla riduzione del concetto di Europa ad un
nazionalismo. geopolitico, o economico, e deve affermare un concetto d'Europa
come principio di costruzione estensiva post-nazionalitaria dal basso.
Quel che di meglio vi é (stato) nell'esperienza europea é proprio questo:
la creazione di reti che non coincidono con alcun territorio, e che si
protendono verso aree distanti dall'Europa storico-geografica.
Al tempo stesso occorre pensare il futuro degli Stati Uniti d'America
senza ridurci all'antiamericanismo. L'America di oggi é prossima a una
forma di fascismo militare. La presidenza Bush sta andando risolutamente
verso l'imposizione di un regime violento, oligarchico, fascista.
In un articolo dal titolo Gaining an empire losing democracy, Norman Mailer
ha scritto: "la combinazione di potere capitalista, sistema militare e
fanatismo della bandiera ha ormai creato un'atmosfera pre-fascista in
America."
E' difficile sfuggire alla sensazione che il clan Bush abbia la stessa
pericolosità che ebbe il partito nazionalsocialista tedesco, con in più
la disponibilità di armi di distruzione totale, che a a Hitler fortunatamente
mancavano. Ma gli Stati Uniti d'America non sono come la Germania degli
anni '30. Occorre far leva sulla contraddizione tra cultura democratica
e libertaria degli americani e nazionalismo bushista, se si vuole uscire
dalla trappola che l'ideologia della guerra preventiva ha ormai predisposto.
Solo un movimento negli Stati Uniti d'America potrà liberare l'umanità
dal pericolo del fascismo globale, non certo l'opposizione delle antiche
virtù europee ai vizi dell'egemonismo americano.
Bush é prima di tutto il nemico degli americani. E' negli Stati Uniti
d'America che il movimento globale deve sconfiggere Bush, la sua furia
nazionalista e il liberismo che ha prodotto questa follia.
L'elaborazione di un concetto di Europa deve servire anche a questo, non
a creare un'opposizione tra identità europea e deterritorializzazione
americana, ma a suscitare un nuovo movimento capace di disgregare il blocco
sociale nazi-liberista.
L'eredità perduta dell'illuminismo europeo
Con l'appello di Habermas e Derrida, l'aristocrazia intellettuale europea
ha tentato di rilanciare un disegno più alto, fondato sull'eredità culturale
europea. Ma cosa resta vivo di questa eredità? Cerchiamo di individuare
gli elementi essenziali della tradizione politica europea: alla base vi
troviamo la lezione dell'Umanesimo che pone l'universalità della ragione
umana al posto della forza. Vi troviamo inoltre gli elementi distintivi
della storia politica della modernità quale si è costruita attraverso
passaggi decisivi come la Rivoluzione francese, l'affermazione wilsoniana
della autodeterminazione dei popoli, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo
e il processo di decolonizzazione.
Il senso comune di questi passaggi consiste nella sospensione della forza
a favore del diritto che é manifestazione della universalità della Ragione.
Qui sta la specificità dell'epoca moderna, ma questa specificità sembra
cancellata del dilagare della violenza particolaristica, dal diffondersi
di armamenti di distruzione di massa, dell'affermarsi di un regolatore
politico egemonico ma non universale, un regolatore che non è la legge,
il diritto o la Ragione, ma il terrore, l'uso della forza come elemento
di minaccia, di costrizione.
I due elementi filosofici fondamentali della modernità di cui la cultura
europea è stata il fulcro stanno nell'affermazione illuministica di diritti
umani fondati sul carattere universale della Ragione, e nella affermazione
romantica di una identità popolare, nazionale, territoriale. Ma proprio
questi due irrinunciabili fondamenti dell'identità culturale europea sembrano
uscire dalla scena del mondo.
La deterritorializzazione prodotta dall'Info-Capitalismo e dalla telematica
digitale ha messo in crisi le forme di identità tradizionali e al tempo
stesso ha eccitato reattivamente le rivendicazioni di identità. Le identità
non sono scomparse, ma si sono trasformate in ossessioni reattive, aggressive
e risentite. Quel che rimane del Romanticismo è oggi degradato in forme
nazional-popolari o, peggio, in localismo razzista e comunitarismo securitario.
Il Romanticismo non ha più alcun carattere progressivo, e l'Illuminismo
non ha più alcuna potenza di governo universalista perché nella società
reale prevalgono i particolarismi armati l'uno contro l'altro.
La barbarie
Il confronto che il gruppo neo-conservatore ha sostenuto con l'ONU e l'UE
ha sancito la fine del primato del diritto.. Nei mesi che hanno preparato
e seguito la guerra iraqena la presidenza americana ha mirato ad affermare
una cosa essenziale: nulla ha più rilevanza se non la forza. Chi possiede
la forza può fare tutto, e nulla è limite all'esercizio della forza. Perciò
il Consiglio di sicurezza dell'ONU e la Unione Europea sono state dichiarate
irrilevanti nel momento in cui si distanziavano dalle decisioni di guerra
preventiva. La presidenza americana non ha tentato di occultare o attenuare
il senso della sua azione. Il primato della forza è divenuto un elemento
della dottrina. Occorre prenderne atto: è questa la nuova dottrina che
prende il posto dell'universalismo politico moderno: il diritto non conta
niente, solo la forza vale. Per l'illuminismo che sta alla base della
costruzione culturale europea significa semplicemente la disfatta.
Da qui dobbiamo partire se vogliamo ripensare il progetto politico europeo
al di fuori e al di là dei limiti del pensiero politico moderno, al di
là del contesto filosofico illuminista e romantico. Non si può pensare
di fermare la barbarie post-moderna riaffermando principi le cui basi
sociali si sono dissolte. La base sociale dell'illuminismo è stata in
Europa l'esistenza di una borghesia egemonica nella produzione nella politica
e nella cultura. Quella borghesia produttiva di tipo protestante e democratico
non esiste più, o comunque ha perduto il suo ruolo egemone. La società
del semiocapitalismo postindustriale produce e scambia essenzialmente
merce linguaggio. La legge rigorosa di determinazione del valore delle
merci in base al tempo di lavoro necessario è sostituita dall'aleatorietà
dei valori fluttuanti. La menzogna, la violenza, l'arbitrio, la relazione
mafiosa non sono più eccezionali deviazioni dalla norma, ma la regola
stessa dell'infocapitale.
La premessa della democrazia moderna era l'esistenza di una sfera pubblica
nella quale poteva formarsi un'opinione pubblica relativamente indipendente,
una seconda condizione era il rispetto di questa volontà da parte del
potere politico. Il consenso era la base della democrazia. Ma oggi di
tutto questo rimangono solo la retorica e i rituali, non più l'effettiva
sostanza. Non esiste più alcun processo di formazione dell'opinione che
sia indipendente dal potere sterminato dei media dominati dal grande capitale.
Il movimento dopo il 15 febbraio 2003
Il 15 febbraio è stato il punto di arrivo della storia del movimento globale
iniziato a Seattle. Dopo il 15 febbraio la storia di quel movimento è
arrivata a una svolta. Il movimento si è fondato sulla premessa che la
mobilitazione dimostrativa è capace di erodere il consenso alla politica
liberista. Era vero, è stato vero da Seattle a Genova. Ma dopo l'11 settembre
il potere sul processo di globalizzazione capitalista è passato dalle
mani del ceto politico globalista alle mani di un ceto puramente criminale.
Perciò non ha più molto senso continuare nella politica dimostrativa,
nella rituale contestazione (violenta o non violenta non importa) dei
summit del potere globale. Il ceto economico politico e militare rappresentato
da Bush è un conglomerato di interessi che punta all'eliminazione fisica
di una porzione dell'umanità, alla distruzione sistematica dell'ambiente
planetario, a una colonizzazione definitiva della mente umana. Non possiamo
pensare che questo ceto economico politico e militare si possa fermare
con la critica politica, non possiamo pensare che si possa fermarlo erodendone
consenso. Esso può fabbricare la guerra a suo piacimento, e in questo
modo imporre il consenso. L'atteggiamento dell'amministrazione Bush dopo
il 15 febbraio significa semplicemente questo: "non abbiamo alcun bisogno
del consenso. Esercitiamo il potere grazie all'uso della forza, grazie
al terrore sistematico e alla gestione di un apparato globale di infiltrazione
della Mente collettiva i cui vertici sono Rupert Murdoch e Bill Gates,
e i cui vassalli sono i piccoli mafiosi locali come Berlusconi."
Occorre capire il messaggio che proviene dalla presidenza Bush, e tirarne
la logica conseguenza: il movimento deve modificare il suo metodo d'azione.
Ha ottenuto in questi anni un risultato straordinario: ha eroso il consenso
alle politiche liberiste, ha avviato un processo di autorganizzazione
del lavoro cognitivo. Ma ora il contesto è mutato in maniera così drammatica
che non avrebbe senso continuare sulla stessa strada. Il G8 di Evian lo
ha dimostrato. Non hanno più molta importanza i G8, incontri multilateriali
delle potenze globaliste. Il potere è concentrato nelle mani di alcuni
grandi monopoli planetari del petrolio dell'informazione e della tecnologia
militarizzata. Perciò la dimostrazione periodica contro i summit dei grandi
diviene pura testimonianza.
Il suicidio micidiale di massa
In altri momenti della storia moderna, di fronte alla tirannide e alla
violenza, gli uomini e le donne rispondevano legittimamente prendendo
le armi, formando gruppi partigiani e combattendo contro l'oppressione.
Ciò non accadrà ora perché questa nuova generazione ha capito che la violenza
genera il fascismo come il fascismo genera la violenza, e perché l'esistenza
di cui questo movimento è espressione è incompatibile con l'azione militare.
Inoltre non è possibile immaginare un rovesciamento dei rapporti di forza
perché sul piano della forza lo scarto tra chi detiene il potere e la
maggioranza della società planetaria è assoluto: corrisponde allo scarto
tra le bottiglie molotov e la bomba atomica. Vi è un'altra forma di azione
che risponde ragionevolmente alla disperazione di chi non vede più alcuna
possibilità di un futuro umano: questa forma di azione è il suicidio micidiale.
Il suicidio sta diventando la principale causa di morte nella popolazione
giovanile, e dobbiamo attenderci che un numero sempre più vasto di persone,
non soltanto di fede islamica, sceglieranno di trasformarsi in bombe micidiali
e di farsi esplodere in luoghi affollati, per placare la propria disperazione,
e per procurarsi una vendetta contro gli oppressori. E' una prospettiva
agghiacciante, ma è la più probabile, e la vediamo ormai delinearsi con
nettezza, come una moda di massa, come un comportamento contagioso, esemplare,
dilagante.
Non c'è alcuna speranza. Inventiamola.
E' difficile, in questo momento, affermare che c'è una speranza. Perfino
nei momenti più terribili della storia del Novecento, quando le truppe
della Wehrmacht invadevano l'Europa e la bestia nazista si avventava sulle
sue vittime indifese, una speranza all'orizzonte si vedeva. Era la speranza
del comunismo che animava milioni di operai, era la speranza della democrazia,
era la speranza del progresso tecnico e sociale. Ma oggi di quelle speranze
non è rimasto nulla. La parola comunismo evoca memorie di oppressione
di ipocrisia e di oscurantismo. La parola democrazia ha perduto ogni credibilità
da quando Bush se ne è fatto paladino. La tecnica ha ottenuto successi
strepitosi, ma di questi successi si è appropriato il sistema di potere,
facendone strumenti di controllo, di violenza e di morte. Non possiamo
parlare a nome della speranza, perché solo gli ipocriti possono dire oggi
di nutrirne.
E neppure possiamo fermarci al dato di fatto della disperazione, come
se questa fosse l'ultima parola nella storia dell'umanità. Noi dobbiamo
inventare. Questo è il compito del movimento nella fase che si apre. Inventare
ciò che non esiste e sabotare ciò che esiste. Disertare ogni luogo in
cui si perpetua il dominio lo sfruttamento la guerra e costruire un nuovo
orizzonte.
L'Europa è da inventare. Quella di cui parlano i politici che siedono
a Bruxelles è un cadavere. Dobbiamo inventare il concetto capace di funzionare
come principio generativo di un corpo nuovo, originale, mai visto, eppure
adeguato alla ricchezza che il semiocapitale ha suscitato ma comprime,
alle potenzialità contenute nella rete dell'intelletto generale.
Europa non è una identità, ma un divenire nel quale sono messe in gioco
enormi forze sociali ed economiche alle quali manca un orizzonte positivo.
E' forse Europa un territorio? Direi proprio di no.
Europa non può intendersi come relazione tra territori nazionali o regionali.
Non è uno stato internazionale, non è un patto tra nazioni.
Europa rete di reti
Se ci chiediamo che cosa sia Europa nella nostra esperienza, dovremo rispondere:
Europa è una rete di reti.Ma una rete ha caratteristiche nuove rispetto
alla storia delle politiche territorializzate. Prima di tutto la rete
non ha geometria fissa, può allargarsi o restringersi a seconda delle
specifiche funzioni che deve svolgere. Inoltre una rete può convivere
con un'altra senza sovrapposizioni territoriali, e può interagire con
un'altra senza identificarsi con essa.
Porsi il problema della costituzione nello spazio europeo significa dunque
costituzionalizzare il divenire, perché le reti non sono, ma divengono.
Si può costituzionalizzare il divenire?
E' possibile solo pensando a una costituzione che sia simile ad un software,
un insieme di tecniche predisposte a mutare le regole man mano che si
modifica il loro contenuto applicativo.
E il metodo generale è quello del privilegio della minorità. Minorità
è la linea di fuga lungo la quale una rete cresce si sviluppa e diviene.
In rete vige il governo delle minoranze
La democrazia moderna si è basata sul principio del governo della maggioranza.
Naturalmente questa regola aveva le sue buone ragioni, fin quando l'ambito
di applicazione della legge era il territorio, uno spazio nel quale vige
il principio newtoniano di impenetrabilità dei corpi, e in cui gli interessi
sono contrapposti perché coestensivi.
Ma nella rete ciascuno è minore, perché in uno spazio indeterminabile
(uno spazio in costante espansione) non esiste la possibilità di definire
maggioranze stabili. Nessuno può comandare.
Un ripensamento radicale della democrazia è all'ordine del giorno. Alla
parola democrazia non corrisponde quasi più niente, da quando la dimensione
globale ha preso il sopravvento sulla dimensione locale, nazionale o regionale.
Quale democrazia è mai quella che permette alle corporation di decidere
regolamentazioni che interessano la vita quotidiana di miliardi di uomini
senza sottoporre al giudizio parlamentare o alla legittimazione elettorale
scelte così decisive? D'altra parte non si può pensare che la democrazia
del futuro sia semplicemente l'applicazione del principio "one man one
vote" su scala planetaria.
Si può avanzare questa proposta, ma si tratta della segnalazione di un
problema, non di una strada percorribile. Non solo per le difficoltà (superabili)
di votazioni planetarie, ma soprattutto perché la formazione della volontà
politica planetaria deve tener conto di differenze, specificità e scarti
irriducibili, tali che a quel livello agirebbero enormi e incontrollabili
agenzie di manipolazione della volontà, a cominciare con le corporation
globali che già posseggono gli strumenti per modellare l'immaginario la
domanda, i gusti, le paure e le illusioni.
Democrazia globale non vuol dire sommatoria planetaria della volontà generale,
ma demoltiplicazione degli spazi di decisione, frattalizzazione della
decisione politica.
Minuscole comunità vanno messe in condizioni di autogovernarsi come reti
indipendenti eppure interconnesse che costituiscono la società. Il processo
costituzionale europeo deve partire da una concezione frattale, reticolare,
minore della formazione della volontà generale.
Democrazia postmodern
Ciò con cui ci misuriamo è una crisi postmoderna della democrazia che
chiede un modello postmoderno di ridefinizione della democrazia.
Il movimento deve saper trasferire la potenza che si è manifestata il
15 febbraio dalla protesta contro la guerra alla costruzione di una forma
nuova della democrazia. Dopo la guerra che il nazi-liberismo ha dichiarato
contro l'umanità non basta più difendere i valori dell'umanesimo calpestato.
Occorre reinventarne la cornice e i modi di funzionamento.
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