Dalla geografia del disagio ai paesaggi della memoria. Per una strategia del benessere.(FRANCESCO VALLERANI*)
ProgettoZero
Torna a Indice

Si e già detto e scritto molto, sia a livello locale che nazionale, sull'efficienza del sistema produttivo sviluppatesi nel Veneto a partire dal secondo dopoguerra. A questo successo hanno contribuito peculiari scelte di vita e consolidate attitudini sociali, rinvenibili specialmente negli anni di emigrazione e di duro lavoro, ma anche nel conseguimento di oculate economie familiari che hanno messo a disposizione sufficienti risparmi per l’acquisto della prima casa o dì un pezzo di terra. Questo giusto e lodevole impegno nella corsa al benessere economico, producendo in modo spontaneo e autonomo quello che viene definito il "modello veneto", senza dubbio tra i più efficaci sistemi produttivi del mondo occidentale, una volta conseguiti gli straordinari livelli di opulenza collettiva a tutti noti, non ha saputo avviare una pausa di riflessione, di valutare con calma il rovescio della medaglia e gli effetti collaterali, di pensare in modo consapevole al nuovo status sociale ed esistenziale, alla progressiva perdita di serenità.
La crescita dei redditi e le dinamiche incrementali sono come un fiume in piena che ha travolto il buon senso, l'antica sacralità che avvolgeva le abitudini quotidiane, le relazioni di vicinato, penalizzando l'affetto che legava gli abitanti al proprio territorio. Le strategie della speculazione, che consentono l'abnorme "spalmarsi" di zone artigianali da vendere o affittare, non si cura di una ben distribuita rete di impatti, che non sono unicamente visivi, ma che danneggiano la riproducibilità stessa del vivere sociale, come nel caso dello smaltimento dei rifiuti, l'abbassamento delle gli incidenti mortali, i rifiuti tossici interrati abusivamente, le balneabilità perdute lungo i nostri fiumi. E' inutile andare oltre: sono storie di ordinari disagi che accomunano tutte le regioni fortemente industrializzate, dove alla piena occupazione degli autoctoni fa seguito la necessità di disporre di forza lavoro esterna meno qualificata, ma essenziale per proseguire negli implacabili programmi dì espansione.
Le rassicuranti icone del Veneto agreste sono comunque ancora ben radicate, sia tra i turisti che ira gli stessi indigeni, e la loro costante divulgazione a livello internazionale accentua ancor più una preoccupante dissociazione tra geografie mentali e geografia reale che di fatto corrisponde allo stridente contrasto tra un'armatura territoriale intasata e alienante e le porzioni relitte, e isolate, di bei paesaggio. Anche il Veneto, non diversamente dalla Provenza e dalla Toscana, è ampiamente celebrato in un prestigioso patrimonio di libri fotografici, calendari e articoli nelle patinate riviste di viaggio o sul vivere country, e il tono di questa narrativa geografica popolare è ovviamente encomiastico, del tutto esente da alcun tentativo di critica cosciente alla miracolistica territorialità dello sviluppo senza fine. L'elogio al Veneto attraverso la scelta di accurate foto d'autore, che depurano le fisionomie ereditate dai recenti ingombri prodotti da! boom economico, esprime con evidenza un senso del luogo poco consapevole, del tutto superficiale e impreparato a interpretare le coeve tendenze evolutive, in cui prevale appunto un appagamento estetico ben distanziato dalle reali fisionomie territoriali, lasciate così in pasto alle pragmatiche aspettative esistenziali dei protagonisti del miracolo economico. E per il turista consapevole, ma anche per l'autoctono animato da topofilia, non è più possibile viaggiare con serenità da Padova a Treviso, o da Vicenza a Verona e non solo per l'assillo del caotico traffico veicolare, ma per il continuo cambiamento dei panorami, per la continua alterazione delle vedute familiari, per i cartelloni pubblicitari sempre più volgari e invadenti, per il bieco oltraggio allo spazio inteso come risorsa da consegnare intatta alle generazioni future, per tè nuove strade da connettere alle nuove lottizzazioni artigianali. L'amarezza si accentua imbattendosi anche in un numero crescente di omaggi ai morti lungo i cigli delle strade- sono pietosi mazzi di fiori appoggiati a croci o cippi anneriti dai gas di scarico che rammentano le vittime del traffico su gomma, cadute in nome della società del flussi economici, del vuoto etico delle relazioni subordinate al mito del lavoro e dei consumi, a cui l'ex Veneto dei contadini si è adeguato con rara efficienza.
E' su questo contesto dì presunto benessere, meglio definibile come tranquillità economica, che e urgente riflettere e in particolare sulla tipologia atropologica dell'homo iratus, cioè gli stessi protagonisti del successo economico che sono sempre più schiavi del loro lavoro, del loro traffico, del loro ammassarsi nei luoghi della ricreazione collettiva. Sembra il momento di lasciare spazio alla soggettività, fortemente repressa nei suoi aspetti più intimi e poetici. L'opprimente rigore del produrre e del rincorrere il presunto benessere deve quindi lasciare spazio alla nostalgia, che potrebbe essere valutata come un diritto, come un percorso mentale che produce geografie alternative, di resistenza al rischio costante di oblio, di annullamento definitivo dei minimalismi che compongono le realtà territoriali.
A questo proposito l'approccio geografico trae giovamento utilizzando il paradigma del "microcosmo", così come È stato garbatamente divulgato in una suggestiva narrazione di Claudio Magris dedicata alla sua geografia del ricordo. Il rapporto tra microstorie e microcosmi è dunque stretto e, allo stesso modo, la conoscenza e l'amore per i limitati orizzonti delle nostre quotidianità, costituite dalla casa, dalla strada, dalla scuola, dalla chiesa, dai volti dei nostri cari, dalle relazioni sociali, hanno in sé gli elementi culturali e spirituali per comprendere e apprezzare la totalità del creato. I processi territoriali si intersecano dunque con la dialettica umanista tra macro e microcosmo, dando così avvio a una sottile abilità percettiva che utilizza, nella formazione sociale della territoriatità, il substrato emozionale dei sentimenti. Sono dunque queste le basi per un nuovo senso dello star bene, con II proprio territorio e dopo con se stessi, godendo della consapevole condivisione con un progetto comune, in cui le pulsioni individuali siano bilanciate dal rispetto delle regole e dalla coscienza di esistere.

* Università di Venezia Cà Foscari