Ecco come la Cina assumerà la leadership del pianeta
L'America sta andando in rovina? di STEVE MAICH ( Vedi )

Deficit da record, debiti colossali, e nessun piano in vista per uscire dal tunnel. Se l’America va a fondo si porterà con sé il Canada

David Walker è uno che vede il futuro, e ne è spaventato a morte. Non ci dovremmo preoccupare tanto se si trattasse di uno delle migliaia di lobbisti, legislatori, e attivisti che tutti i giorni affollano Washington, perorando l’urgenza delle loro cause preferite. Esiste tutta un’industria incaricata di prescrivere ogni tipo di farmaco politico per ogni malanno vero o presunto. Ma Walker non è un attivista o un lobbista, si tratta di un ragioniere. Riveste l’incarico di controllore generale degli Stati Uniti, si tratta del capo revisore dei conti del governo più importante e potente nel mondo. Egli cerca disperatamente di far conoscere all’esterno, a chiunque lo voglia ascoltare, un messaggio: le finanze pubbliche degli Stati Uniti d’America sono in uno stato disastroso, e stanno peggiorando sempre più. Se non si prendono al più presto i provvedimenti necessari per affrontare i gravi problemi di bilancio del paese, il mondo si troverà di fronte ad uno sconvolgimento senza precedenti.

Seduto nel suo ufficio dalle pareti in legno nel centro di Washington, Walker misura le parole, cercando di non superare il confine fra l’annuncio di un allarme e quello di scatenare il panico. Si ritira un po’ quanto si parla di eminenti economisti che profetizzano una prossima “Apocalisse” finanziaria, però non ha esitazioni nell’affermare che la situazione è molto ma molto seria. “Non mi piace parlare in termini allarmistici – afferma mentre si avanza sulla poltrona- però allo stesso tempo credo che sia di importanza critica che il popolo americano, come i suoi rappresentati nel governo, comprendano la serietà della situazione.”

LE CIFRE cambiano continuamente, per adesso parliamo di un buco nelle finanze pubbliche di 43 triliardi di dollari, che aumenta ogni giorno di più. Le conseguenze sono quasi inconcepibili per una generazione di politici e elettori cresciuti in relativa prosperità, senza aver mai conosciuto periodi di grave difficoltà finanziaria. Ma il fastoso stile di vita in cui siamo cresciuti e a cui ci siamo abituati è stato ottenuto a credito, e adesso sta arrivando il momento di pagare il conto. Se gli Stati Uniti non ci riescono le conseguenze si sentiranno oltre le frontiere con ripercussioni economiche negative dappertutto. Il Canada, il cui benessere finanziario è strettamente dipendente dal commercio con gli USA, non avrà un solo settore o regione risparmiato dalle conseguenze provocate dallo shock fiscale avvenuto a sud del confine. La visione di questa deprimente prospettiva di una crisi potenziale spinge Walker ad andare in ufficio ogni giorno nella speranza di farsi ascoltare da qualcuno che affronti la sfida prima che sia troppo tardi. Sulla porta dell’ufficio si trova scritto: “Onestà, Responsabilità e Affidabilità”. “Prima cominciamo, meglio è.”- ci dice- “perché in questo momento il miracolo degli interessi composti sta lavorando contro di noi. Fare debiti su debiti non va bene. Anzitutto dobbiamo finire di scavare, e poi cercare di capire come ricoprire il buco.”

IN CHE MODO SI E’ CREATA QUESTA SITUAZIONE? Quando Gorge Bush , nel gennaio del 2001, iniziò il suo mandato si pose alla guida di una nazione che si trovava in uno dei suoi migliori periodi di prosperità economica degli ultimi decenni, grazie ad anni di crescita economica e al “boom” del mercato azionario. Nello stesso mese il Congressional Budget Office (Ufficio del bilancio del congresso) prevedeva, per i successivi 10 anni, un surplus del bilancio federale di 5,6 triliardi di dollari. Il problema politico del momento era come spendere quest’inattesa fortuna. La squadra di Bush decise di restituirla agli elettori sotto forma di una massiccia ed estesa riduzione delle tasse. Però non si sapeva che si trattava di un surplus in gran parte illusorio, provocato da conteggi errati. Le rosee previsioni del CBO si basavano su presupposti che poi si sono rivelati inesatti. In particolare che le spese del governo si sarebbero mantenute al di sotto del tasso di inflazione, e che l’economia e le entrate fiscali sarebbero cresciute molto più velocemente. Nello stesso anno un professore di economia all’Università di Boston, critico eminente della programmazione del bilancio USA, Laurence Kotlikoff, con una sua pubblicazione volle attirare l’attenzione su quello che egli definì “la fantasia fiscale” del CBO. Si trattava però di una voce isolata e pochi o nessuno lo ascoltarono. Ormai la decisione di tagliare le tasse aveva preso piede e nessuno la poteva fermare. Il CBO e altri uffici hanno successivamente rivisto i conti e aggiustato le nuove previsioni su un più realistico surplus di 2,2 triliardi di dollari. Il 60 percento in meno di quanto pensato inizialmente. Però questa riserva sparì immediatamente nel momento in cui Bush cominciò a eliminare una tassa dopo l’altra, dalle tasse sul matrimonio, alle tasse sul reddito ai guadagni in borsa ecc.

Un centro di calcolo di Washington (Center for Budget and Policy Priorities) ha calcolato che fra il 2001 e il 2004 le entrate fiscali federali siano diminuite di 600 miliardi di dollari. Quasi tutte le tasse finora introdotte sono temporanee, però i repubblicani sono intenzionati a renderle permanenti entro la corrente legislatura. In mezzo a questa pacchia della riduzione delle tasse, e dopo nove mesi dall’inizio del mandato, arriva l’11 settembre. L’atteggiamento del pubblico americano nei confronti della sicurezza e della difesa, di fronte all’orrore dell’attacco terroristico, cambia profondamente nel giro di una notte. Dopo pochi mesi l’esercito americano si trova in Afghanistan ad attaccare i campi terroristi e a rovesciare il regime dei Talebani. Poi le truppe entrano in Irak. Fra il 2001 e il 2004 il bilancio annuale del Pentagono e per la sicurezza interna aumenta di 87 miliardi di dollari, un aumento del 27,5 per cento in quattro anni. In questa situazione, un bilancio in surplus di 128 miliardi di dollari nel 2001 si è trasformato in un deficit di 412 miliardi di dollari nel 2004. Il più grande cambiamento mai avvenuto nella storia degli USA.

Ma questo è solo un sintomo di un problema fiscale molto più grosso. Fra tre anni gli USA si troveranno di fronte a un massiccio cambiamento demografico causato dal pensionamento della generazione dei “baby boomers”. Man mano che inizieranno i pensionamenti i costi dei programmi sociali e dell’assistenza medica cominceranno a crescere. “Il problema grave non è tanto il deficit di oggi”- ci dice Josh Bivens, un economista dell’istituto non-partisan Economic Policy Institute di Washington—“Quanto il fatto che se la riduzione delle tasse di Bush diventa definitiva, ci troveremo ad avere deficit a perdita d’occhio.”

Un triliardo è un numero difficile da concepire. Quasi tutti sanno che si tratta di uno con 12 zeri, però è difficile considerarlo in termini di valore. Proviamo a pensare così: un triliardo corrisponde, all’incirca, alle dimensioni dell’intera economia canadese. Le sei maggiori compagnie petrolifere mondiali hanno ricavato, tutte insieme nel 2004, quasi un triliardo di dollari. Se mettiamo dei biglietti da mille dollari uno sopra l’altro si formerà una pila alta 109 km! A febbraio 2005 il debito nazionale USA ammontava a 7,7 triliardi. Quest’anno si prevede che si aggiungerà un ulteriore deficit di 427 triliardi, il ritmo di crescita è di 1,2 miliardi di dollari al giorno. Il pagamento degli interessi, grazie al basso costo dei tassi, è relativamente sopportabile e corrisponde all 8,6 per cento del bilancio federale del 2005.

Ma se i tassi crescono allora crescono anche le spese degli interessi, e le attuali previsioni della Casa Bianca per l’anno 2010 parlano di una spesa di 314 miliardi. Però queste previsioni non danno un’idea adeguata della profondità del buco finanziario americano. Intanto le previsioni di bilancio di quest’anno non comprendono le spese correnti per la guerra in Irak e Afghanistan, che si calcolano sull’ordine degli 80 miliardi per l’anno prossimo. Inoltre non è considerato il piano del presidente di privatizzare la Assistenza Sociale, che consentirà alla gente di stornare i propri fondi dalle tasse alle assicurazioni private della propria pensione. Un tale piano dovrebbe comportare un prestito per il governo fra 1 e 2 triliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Bush ha promesso di dimezzare il deficit entro il 2010, però non calcola l’approvazione definitiva del taglio delle tasse effettuate finora o l’introduzione di altri tagli, promessi ma non ancora attuati.

Comunque nessuna di queste misure prendono in considerazione la sfida più grande di tutte: quella dei costi medici e assistenziali di circa 77 milioni di americani che stanno per andare in pensione. Walker paragona questo evento all’arrivo di “un’onda demografica di alta marea” prossima ad inondare le finanze del paese. Tenendo conto gli impegni dell’Assistenza Sociale, dell’Assistenza Medica – i cui programmi sono il cuore della rete sociale americana, pensioni, cure mediche per gli anziani, gli indigenti, - il fabbisogno a lungo termine sarà di circa 43 triliardi di dollari, circa quattro volte le dimensioni dell’economia nazionale, e 20 volte il totale annuale delle entrate fiscali. Secondo alcuni esperti si tratta di cifre sottostimate. A molti osservatori risulta sempre più ovvio che, nei prossimi 10 anni, il governo non sarà in grado di tenere il passo delle sempre maggiori spese ricorrendo all’indebitamento. Le conseguenze saranno gravi su tutti i settori, dal finanziamento dell’apparato militare alla protezione dell’ambiente. Secondo l’Economic Policy Institute, con l’attuale regime fiscale nel 2014 tutte le entrate dello stato saranno impegnate nelle seguenti quattro aree di spesa: assistenza sanitaria per gli anziani e gli indigenti, Sicurezza Sociale per i pensionati, la difesa nazionale e il pagamento degli interessi. Ciò significa che non rimarrà niente per iniziative vitali come l’istruzione, il trasporto o la giustizia, obbligando il governo a ricorrere ancora all’indebitamento per finanziare i programmi di base. Secondo le proiezioni dell’ufficio di Walker, con il sistema fiscale attuale, il costo degli interessi per il debito nazionale già alle stelle, impegnerà la metà di tutte le entrate fiscali del 2031. Dopo dieci anni sarà superiore alle entrate.

La crisi di oggi è stata descritta quattro anni fa da Laurenc Kotlikoff con una pubblicazione dal titolo “La prossima tempesta generazionale”. L’anno scorso ha delineato un fosco quadro della situazione in un articolo di Fortune. “Il governo degli USA è effettivamente alla bancarotta.”. Quali rimedi sono possibili per salvare la situazione? Un aumento delle tasse del 78 per cento, e il dimezzamento dei benefici della Social Security e della Medicare, oppure eliminare tutte le altre spese discrezionarie. “Questo è il doloroso menu dell’America.”

QUESTA SITUAZIONE QUANTO PUO’ DURARE?
Gli Stati Uniti sono il cliente più grande del mondo. Essi comprano dall’estero molto di più di quanto riescano a vendere, col risultato di un notevole deficit nella bilancia commerciale. Spendono in programmi pubblici più di quanto ricavino dalle entrate fiscali. Per coprire tutti questi debiti gli Stati Uniti devono attirare dall’estero ogni anno montagne di capitale, il che corrisponde essenzialmente a chieder dei prestiti ai governi e agli investitori esteri. La bilancia dei pagamenti dell’anno scorso è ammontata a un deficit di 665 miliardi di dollari. I paesi stranieri però non ci prestano il denaro per bontà d’animo, nella maggior parte lo fanno per consentirci di acquistare le loro merci. Secondo David Rosenberg, un canadese capo economista della North American che lavora per la Merrill & Lynch di New York, la prosperità del mondo sviluppato, Canada, Europa e parti dell’Asia è dovuta, in vari modi, alle spese rampanti degli Stati Uniti. Per esempio il Canada quest’anno (2004) ha venduto agli USA 8,8 miliardi di dollari in merci in più di quanto il Canada abbia comprato dagli USA, malgrado la rivalutazione della moneta canadese abbia reso le sue merci più care per gli americani. Però gli investitori stranieri non possono sostenere le spese americane all’infinito. La banca con cui avete il mutuo della casa o l’affitto della macchina comincia a diventare un po’ nervosa quando la vostra carta di credito si trova sempre al limite del fido.

I mercati internazionali si comportano allo stesso modo. La domanda che si pone è: per quanto tempo ancora gli investitori saranno disposti a concedere i prestiti agli USA, specialmente con i minimi tassi attuali, dal momento che sembra che il paese non abbia nessun piano per affrontare le sue scadenze future? La soluzione è ancora più pressante dal momento che il dollaro USA è in caduta libera da più di un anno, falcidiando i guadagni di tutti coloro che hanno investito nei bond americani. Stephen Roach, economista capo alla Morgan Stanley, è un critico aperto della politica fiscale USA da molto tempo ha lanciato l’allarme che affidandosi ai prestiti esteri si mette l’economia americana a un grave rischio. Una improvvisa caduta del dollaro può innescare, fra l’altro, uno dei seguenti fattori: un crollo in borsa, un ribasso del mercato immobiliare, e una grande depressione, oppure tutti quanti assieme. “Non ci può essere stabilità in America, se tutto dipende dal buon cuore degli stranieri” ha scritto “ Ricostituire una sana finanza per l’America è una cosa che deve ancora avvenire.” In un recente incontro avvenuto a Boston fra raccoglitori di fondi, Roach ha detto di credere al 90 per cento di probabilità che il continuo indebitarsi dell’America la condurrà al disastro economico. Altri intervenuti, come l’ex segretario del Tesoro Lawrence Summers e l’ex presidente Bill Clinton, hanno utilizzato un linguaggio meno esplosivo ma hanno comunque messo in guardia che le dimensioni dei deficit USA possono compromettere la politica estera e gli obiettivi di sicurezza e del commercio. Per esempio per quanto tempo ancora gli USA potranno onorare gli impegni con Taiwan contro un’aggressione cinese dal momento che la sua economia dipende in modo così importante dai suoi prestiti? David Rosenberg non prende sul serio gli allarmisti come Roach, però riconosce che l’attuale condizione fiscale non è sostenibile. In proposito cita una vecchia massima dell’economista Herbert Stein: “Tutto quello che non può durare a lungo, si fermerà.”

PERCHE’ CI DOBBIAMO PREOCCUPARE?
La storia ci fornisce esempi strazianti di che cosa accade quando un’economia crolla sotto il peso di un debito insostenibile. Uno dei più vivi è quello dell’Argentina nel 2001. Quando il Fondo Monetario Internazionale ritirò il suo sostegno a causa del crescente debito del paese, l’effetto fu catastrofico: il valore della valuta nazionale andò a fondo, azzerando i risparmi di milioni di persone. L’inflazione che ne derivò e l’improvvisa frenata ai consumi provocarono il fallimento di migliaia di ditte entro poche settimane. Milioni di lavoratori rimasero senza occupazione e una delle più grandi economie del Sud America fu sprofondata in una recessione. Per quanto inimmaginabile, molti economisti pensano che la stessa cosa possa accadere negli Stati Uniti. “Se gli investitori stranieri valutano il bilancio federale sul lungo periodo e si convincono che vi sarà un fallimento, si ottiene il panico finanziario.” Secondo Bivens, “Gli interessi salgono, e provocano una grande recessione. Il dollaro si deprezza velocemente, e contemporaneamente si può scatenare l’inflazione.” Se gli interessi salgono milioni di consumatori USA saranno spremuti come limoni per i prestiti che hanno messo sulle loro case quando le valutazioni erano alte. Un colpo al mercato immobiliare chiuderà ancora di più le tasche dei consumatori, facendo iniziare il ciclo vizioso di pochi consumi, e ancora più recessione. Conclude Bivens. Kotlikoff delinea uno scenario simile nel suo libro “La prossima tempesta generazionale”. Nel 2030 l’America si troverà a subire una situazione fiscale “senza precedenti”, una drastica riduzione dei programmi sociali, ricorso al credito non più sostenibile, un inflazione galoppante, e l’esplosione dell’evasione fiscale. Secondo lui fra 25 anni l’America sarà come la Russia al cambio del millennio. Se passiamo alle cifre si vede che Bivens non è in disaccordo con le previsioni di Kotlikoff. “Ci sono tutti gli ingredienti per un crash spettacolare che a un paese come gli USA non è mai venuto in mente di immaginare. Ancora sei o sette anni lungo questa strada e credo che veramente ce lo dovremo immaginare. E’ veramente da pazzi.” Ma questo comportamento da pazzi è un problema che riguarda tutti a causa dell’importanza dell’economia USA nel mondo. Letteralmente milioni di posti di lavoro, in Canada, Gran Bretagna, Germania, Giappone e altri sono direttamente o indirettamente collegati alla salute dell’economia USA. Secondo Bivens “Se all’improvviso gli americani non potessero più comprare le merci degli altri paesi, questi ultimi dovrebbero trovare al più presto un modo di tenere occupati tutti quei lavoratori.”

La maggior parte degli economisti sono d’accordo nel considerare che una grave recessione in America porterebbe il resto del mondo con sé. Secondo Bivens: “Se un grande paese come l’America si ammala, anche tutti gli altri si ammalano.” Questa realtà non sembra essere interamente compresa dai canadesi. Un recente sondaggio da parte di Mclean’s/Rogers Media ha mostrato che solo il 41 percento degli intervistati crede che le due economie siano strettamente collegate, l’11 per cento preferisce pensare che non vi siano legami. In realtà quasi ogni regione del paese e tutte le principali attività, foreste, energia, miniere, automobili, agricoltura, tecnologia, dipendono dalla domanda USA per la loro prosperità. Se il consumatore americano dovrà subire: disoccupazione, interessi che salgono, crollo dei prezzi delle case, aumento dell’inflazione, quegli stessi effetti si diffonderanno inevitabilmente anche in Canada. Secondo Rosenberg gli USA riusciranno a riformare il sistema fiscale ed evitare un fallimento, ma la necessaria riforma si ripercuoterà negativamente anche sui partners commerciali come il Canada. Per colmare il buco fiscale e ridurre la necessità di indebitarsi con l’estero gli USA devono trovare il modo di aumentare le esportazioni e di diminuire le importazioni. In altre parole devono rendere più difficile l’accesso degli altri paesi al proprio mercato. Questo è quello che viene definito dagli economisti la politica del “rendi povero il tuo vicino.” Secondo Rosenberg “Per l’economia mondiale è finito il giro gratis. Il tempo di andare sulle giostre assieme agli USA è finito. Stop.”

L’AMERICA COME PUO’ RISOLVERE IL PROBLEMA?
Quando, il 1 novembre 2000, G.Bush era in campagna elettorale per la Casa Bianca, aveva avvertito il pubblico di Minneapolis che con i democratici ci sarebbe stato un aumento delle tasse e un rallentamento dell’economica che “potevano causare la fine della prosperità di questa nazione.” Bush vinse le elezioni anche perché si era dipinto come l’opposto dei liberali che tassano e spendono. Però, malgrado questa audace retorica di austerità, le spese discrezionarie sono salite del 23 per cento durante il primo mandato. Quattro anni dopo, il Presidente è sulla strada di rendere reali i pericoli attribuiti ai democratici.

Praticamente ogni osservatore indipendente che abbia studiato il deficit di bilancio americano concorda sulla inevitabilità delle misure da prendere e cioè un significativo aumento delle tasse e grossi tagli alle spese. Però cercare di attuare le riforme per colmare il buco fiscale richiederà l’attenzione e la cautela necessarie per disinnescare una bomba. Il deprezzamento del dollaro dovrà essere graduale, in modo da aumentare le esportazioni USA, senza però cadute brusche che potrebbero accendere una inflazione devastante. I tassi di interesse dovrebbero salire graduatamente in modo da tenere a bada l’inflazione e incoraggiare i consumatori a mettere da parte i loro risparmi. La spesa dovrà essere sotto controllo ma non in modo così drastico da compromettere la sicurezza e altre priorità pubbliche. Le tasse dovranno essere aumentate ma non in modo così drastico da bloccare l’economia. Sotto molti aspetti gli USA devono ripetere quello che il Canada ha già attuato negli anni ’90 per portare sotto controllo la spesa e il debito che ne derivava. Il risultato è stato ottenuto con l’aumento delle tasse, la diminuzione della spesa e una rapida svalutazione della moneta, il tutto accompagnato da una sana crescita economica. Ma negli USA le dimensioni dell’impegno sono molto più grandi, la posta molto maggiore, e ormai risulta chiaro che lo standard di vita a cui si sono abituati milioni di americani dovrà cambiare.

Walker insiste sulla necessità che vengano prese “decisioni dure” e nessuna appare più dura di quella di intraprendere la strada dei costi necessari per fornire l’assistenza medica per gli anziani e gli indigenti. Si ritiene che la spesa medica aumenterà del 63 per cento entro il 2010, e che continuerà ancor di più dopo. Gli analisti sono d’accordo nel prevedere che, ad un certo punto, il governo dovrà trovare il modo di frenare questi costi, anche se ogni taglio sicuramente provocherà le proteste dei sempre più numerosi pensionati, un blocco di votanti molto influente. Gli esperti hanno proposto che le riforme siano finanziate da varie tasse, sugli acquisti al dettaglio, sui beni di lusso e con la reintroduzione di tutte le tasse eliminate dal 2001. Secondo altre opinioni bisogna potenziare la lotta all’evasione fiscale. Altre strade possono essere l’aumento dei contributi per l’assistenza medica, assieme al taglio massiccio di molti programmi sociali. Però chiedere agli elettori di pagare di più per avere di meno non è una cosa facile, e sicuramente nessun politico lo vorrà fare. In febbraio Bush ha proposto un bilancio che dovrebbe eliminare o comunque ridurre 150 programmi del governo, ma anche così, gli USA avranno un deficit di oltre 200 miliardi di dollari nei prossimi anni. Secondo Bivens: “ Sul piano dell’austerità non sono seri, si parla di grandi tagli però su programmi molto piccoli. Per chi è coinvolto si tratta di gravi sacrifici ma rispetto al problema fiscale generale si tratta di una goccia nel mare.”

James Horney è un analista del Center on Budget and Policy Office Priorities, centro studi non-partisan di Washington, ed ha lavorato per più di sette anni al Congressional Budget Office. Secondo lui la soluzione del problema del debito può essere trovata solo se i due partiti del Congresso e il Presidente si siedono a un tavolo per cercare di trovare “una grande intesa” sulle tasse e sulle spese, ed elaborare una strategia che rassicuri i creditori internazionali. “C’è bisogno di un’intesa alla presenza di tutti i componenti e di tutti i problemi. Sperando che avvenga prima di qualche catastrofe.” Walker condivide la stessa speranza, e si affida al suo senso dell’ottimismo. Avrebbe avvertito un cambiamento notevole di atteggiamento proprio negli ultimi mesi, man mano che i legislatori prendono coscienza dell’inevitabile problema finanziario. Però riconosce che, finora, poco è stato fatto malgrado i suoi sforzi. “La cosa frustrante è che anche se parli con la gente e gli fai vedere le cose come stanno, è come se mostri loro la medicina, ma poi devi anche convincerli a prenderla. Però è meglio che si decidano, e presto.”

Steve Maich

Fonte: http://www.macleans.ca/
Traduzione per http://www.comedonchisciotte.org/ a cura di Vichi