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INTERVISTA A MARIO POLLO

Mario Pollo è l'attuale direttore generale del LABOS, Fondazione Laboratorio per le politiche sociali. In campo psicologico è stato innanzi tutto formato in termini matematici e cibernetici ed ha applicato questa sua impostazione al settore della comunicazione e del linguaggio. L'approccio di Jung gli ha aperto orizzonti e prospettive diverse quando l'utilizzo della cibernetica ha evidenziato le sue lacune e l'inadeguatezza dei suoi modelli di interpretazione in particolari situazioni connesse al dolore e alla sofferenza. Il simbolismo e i nuovi modelli junghiani lo hanno "convertito" modificando la sua impostazione nella ricerca sperimentale di laboratorio e nell'attività di formazione di gruppo dove applica le teorie lewiniane. Ha insegnato per otto anni alla Scuola di Specializzazione in Psicologia di Torino, Psicologia della comunicazione e del linguaggio e Tecnica qualitativa dell'indagine sociale. Attualmente opera presso l'Università Pontificia Salesiana dove, dopo aver introdotto almeno come tirocinio il settore dell'animazione culturale, è da quattro anni docente di Animazione culturale in ambito giovanile (fra l'altro ha il merito di aver introdotto per primo, e per ora unico, questa disciplina in un'accademia italiana). Ha scritto numerosi testi sull'animazione e sul gruppo fra cui segnaliamo i più recenti pubblicati con la Elle Di Ci "Il gruppo come luogo di comunicazione educativa", "L'animazione culturale dei giovani". È inoltre autore di numerosi saggi e articoli su riviste specializzate e scientifiche.

D.: Come valuti l'importanza della psicologia nella società contemporanea? R.: Personalmente ritengo che l'importanza maggiore della psicologia sia dovuta al contributo che essa dà alle categorie interpretative della cultura e alla sua capacità di arricchire e di espandere i modelli interpretativi della realtà per tutto quanto concerne l'uomo. Dunque la migliore qualità di analisi ed anche di azione e di gestione delle realtà che coinvolgono l'essere umano in tutte le sue manifestazioni. La psicologia per me è dunque un fatto trasversale più che un'azione con un suo specifico unico: è in tutta la cultura contemporanea, in tutte le sue espressioni riguardanti l'uomo. Credo sia questo il suo ruolo più importante, certo molto più significativo di quello svolto attraverso "mansioni" specifiche.

D.: Cosa pensi della questione Albo e Ordine degli psicologi e la recente legge che li riguarda che regolamenta la professione dello psicologo? R.: E' certo una cosa necessaria, e la regolamentazione è venuta in ritardo rispetto alle necessità. Ho però una perplessità che riguarda l'applicazione della legge ai tempi di gestione normale, in regime ordinario, dunque, e non in fase di sanatoria. L'unica via di accesso in regime ordinario è il curriculum di studi universitari: mi sembra una grossa restrizione su cui non sono d'accordo per due motivi. Innanzi tutto i curriculum universitari non sono professionalizzati per lo meno in modo adeguato alle necessità, inoltre, forse riguarderà pochi casi ma può accadere, possono esserci persone con percorsi formativi particolari anche extra universitari, per loro storie di vita personali, che li mettono in grado di svolgere con competenza la professione, ma li escludono dalla possibilità di esercitarla ufficialmente e di essere iscritti all'Albo. A mio parere la legge avrebbe dovuto tener conto di questi due problemi e per esempio avrebbe dovuto affrontare le questioni prevedendo un iter attraverso esami per l'accesso al riconoscimento.

D.: Cosa pensi di come l'università prepara lo psicologo? R.: L'università dà una preparazione libresca. Però la psicologia è la disciplina classica in cui è certo importante la preparazione teoretica. Ma è altrettanto importante tutto quanto riguarda l'applicazione al concreto della disciplina. Dunque è importante la pratica fatta di sperimentazioni in laboratorio, di attività di tirocinio, di esperienze sul campo, tutte cose queste che sono assenti dall'università. Ciò porta come conseguenza una preparazione monca e carente proprio in una professione in cui sarebbe più che auspicabile che essa fosse invece solida e ben calibrata.

D.: Gli psicologi dovrebbero avere una formazione particolare? R.: Sì, certamente. Tenuto conto soprattutto di quanto ho già detto prima. In più la preparazione specifica come psicoterapeuta dovrebbe proprio avvenire all'esterno dell'università attraverso iniziative promosse da gruppi e associazioni che riuniscono rappresentanti di questo tipo di professione o anche attraverso scuole completamente private come le molte scuole esistenti in Italia. Io credo che l'insegnamento della psicoterapia debba essere strettamente legato a chi già la esercita come professione ed ha quindi l'opportunità e l'occasione per riflettere su quanto va facendo. Io vedo l'apprendimento della psicoterapia come un apprendimento che definirei "da bottega". Certamente non lo vedo strettamente connesso ad un curriculum scolastico universitario. Per quanto riguarda le Scuole di formazione ed il problema della loro serietà io credo che il riconoscimento debba essere dato a seconda di alcuni elementi il più possibile standardizzati per evitare differenze grossolane ed ingiustizie. Personalmente proporrei fra i requisiti da tenere sotto controllo innanzi tutto il curriculum formativo proposto, un secondo elemento dovrebbe possedere alcuni requisiti, anche in questo caso richiesti ugualmente a tutti; un altro elemento importante è secondo me il rapporto docente-allievi; infine un'altra variante importante potrebbe riguardare l'orientamento scientifico seguito dalla scuola. Io tenderei ad accettare quelli riconosciuti e maggiormente qualificati culturalmente. Questi parametri potrebbero essere utilizzati come filtro discriminante fra i diversi tipi di scuola, per consentire una scelta non ingiusta.

D.: Quali saranno a tuo parere gli orientamenti futuri della psicologia anche intesa come area di occupazione? R.: Io credo che si svilupperà sempre più lo spazio della psicologia "per i sani" nel senso che io credo che si occuperà sempre più di trovare delle risposte adeguate ai problemi dell'educazione, dell'utilizzo ottimale dei servizi sociali, del miglioramento della qualità della vita, della gestione organizzativa più efficace delle imprese, della gestione dei fenomeni sociali complessi. Io credo che la psicologia sia e debba essere sempre di più un aiuto per conoscere meglio se stessi e per migliorare le proprie capacità di autoorganizzazione. Con questo non intendo dire che abolirei l'area della psicoterapia; sostengo solamente che ci sarà sempre più necessità e spazio per la prevenzione utilizzata non tanto per fare campagne terroristiche, ma per educare le persone allo star bene. Star bene con se stessi, con gli altri, con le istituzioni, con le organizzazioni, e così via. Occorre ormai superare il carattere riparatorio della psicologia allo scopo di renderla maggiormente orientante e più ampiamente preventiva.

D.: Il LABOS, che tu dirigi, che spazio dà alla psicologia nelle sue iniziative?
R.: Il LABOS è più orientato dal punto di vista sociologico. Noi abbiamo un settore che si occupa della formazione degli operatori sociali ed in questo ambito utilizziamo anche un approccio psicologico. Personalmente prediligo un'impostazione psicosociologica di marca lewiniana, quando si interviene in situazioni di gruppo, o esistenziale per quanto riguarda l'aspetto delle relazioni interpersonali. Ma ciò non impedisce che i miei collaboratori possano utilizzare anche impostazioni diverse: personalmente tendo a rispettare le scelte compiute in tal senso dal responsabile del settore. Un'altra area nella quale entra, per lo meno in alcune occasioni, la psicologia, è quella della ricerca soprattutto quando hanno temi particolari. Per esempio recentemente ci siamo occupati della violenza giovanile e ci siamo serviti di modelli psicologici per analizzare le cause del problema. In quest'area però l'impostazione sociologica tende ad essere preminente e nel caso l'approccio psicologico ci sia utile, scegliamo in base alle esigenze dei problemi cui dobbiamo dare una risposta piuttosto che privilegiare scelte a priori.