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AIDS - SOFFERENTI E INTERVENTI DI SOSTEGNO
1981
- 1991. In questi dieci anni di AIDS sono da annoverare molte scoperte e
rivelazioni scientifiche relative al funzionamento del sistema immunitario,
progressi da non sottovalutare sul piano farmacologico anche se, nonostante
le ottimistiche previsioni dei primi anni, non è stato trovato nessun medicamento
di sicura efficacia. E la psicologia che contributo ha dato? Certamente
ha avuto un ruolo non insignificante laddove occorreva una risposta multidisciplinare
alle numerose e complesse problematiche che la Sindrome di Immmunodeficienza
Acquisita ha sollevato. A parte l'asserzione che stress e stati depressivi
hanno effetti che possono ripercuotersi sul sistema immunitario, quali risorse
possiede la psicologia per venire incontro a chi è sieropositivo o ammalato
di AIDS?
Difficile rispondere a questa domanda allo stato attuale delle cose.
Se prendiamo in considerazione un certo numero di esperienze quali quelle
della comunità gay di S. Francisco, i gruppi di auto-aiuto italiani (sorti
sempre nell'ambito delle associazioni per omosessuali),, la capillare organizzazione
della Deutsche AIDS Hilfe nella Repubblica Federale Tedesca, i gruppi di
sostegno psicologico nelle comunità per tossicodipendenti e molte altre
iniziative, possiamo affermare che, sebbene in modo assai empirico, molto
si è attinto dalla psicologia: la tendenza è aiutare chi è colpito dall'infezione
suggerendogli una adeguata organizzazione della propria vita, stimolandolo
ad attivarsi in prima persona per lottare contro la malattia anziché affidarsi
passivamente, a socializzare, a comunicare la propria esperienza e a condividerla
all'interno di gruppi format da altri sieropositivi, con l'obiettivo di
far scendere l'ansia e scambiarsi le risorse collettive per far fronte
alla situazione. Nei Servizi per le Tossicodipendenze l'AIDS costituisce
una nuova vicenda che, da qualche tempo, sta modificando ulteriormente la
realtà ambulatoriale e i tipi di intervento. È una minaccia che va ad aggiungersi
a quelle già esistenti, che modifica in modo sostanziale l'approccio al
paziente tossicomane e ridefinisce la relazione d'aiuto tra quest'ultimo
e i terapeuti. Con l'avvento di questa malattia l'"io ti salverò"
dell'operatore cessa di avere un senso. Salvarsi, guarire, a questo punto
equivalgono soltanto alla mera remissione del comportamento tossicomanico
ma non hanno più il significato del "salvarsi la vita". Durante
l'accoglimento il momento più denso di tensioni e aspettative non è più
il primo incontro o il primo colloquio, bensì il test HIV. Se il responso
del test è positivo il lavoro degli operatori, il programma, sarà sempre
condizionato a qualcos'altro, pervaso per sempre da una nota di sconfitta
e amarezza. L'essere sieropositivo riporta l'attenzione del soggetto al
fatto che il tempo a disposizione è limitato. La comunicazione dell'esito
(positivo) del test mostra alcune analogie con l'esperienza del venire al
mondo, momento in cui si viene scaraventati davvero dentro l'esistenza,
con un solo obiettivo: adattarsi a cercare di sopravvivere. La nascita costituisce
inoltre, per gli esseri umani, quell'evento particolare a partire dal quale
si comincia a contare il tempo. La persona sieropositiva calcola la durata
della sua sopravvivenza dal momento in cui gli è stata diagnosticata l'infezione.
Talvolta ciò non avviene né in occasione della comunicazione di sieropositività
né nel periodo successivo, poiché il soggetto in questione è asintomatico;
tuttavia il processo è destinato a scatenarsi non appena l'infezione diviene
sintomatica. Il sintomo riporta bruscamente alla realtà del tempo che passa.
Il tempo che passa è scandito dal riprodursi delle cellule, fenomeno particolarmente
eclatante e visibile in alcune fasi della vita: durante l'accrescimento
(infanzia e giovinezza) e durante il deterioramento (vecchiaia). Anche il
virus dell'immunodeficienza acquisita si riproduce, e per farlo utilizza
le cellule del sistema immunitario. Ogni controllo finisce così per costituire
un iter del conto alla rovescia. Mentre negli anni passati si pensava che
il decorso della malattia fosse inesorabile, oggi si comincia ad osservare
che la durata della vita di un sieropositivo è passibile di dilatazione
e di contrazione: dipende dalle precauzioni igieniche, dalla protezione
delle reinfezioni, dalla stabilità e dal tono dell'umore. Il sistema immunitario,
più viene sollecitato e meno sarà in grado di far fronte in futuro ad altre
infezioni. La malattia, sul piano dell'immaginazione e del simbolico, si
presta ad essere una curiosa e tragica metafora dell'esistenza umana: vivere
logora e il logoramento accorcia la vita. Così può accadere che chi avendo
sempre vissuto con la convinzione di avere tutto il tempo, trovandosi di
fronte ai risultati dei tests HIV si riapproppri repentinamente della gestione
del proprio tempo e diventi protagonista della propria esistenza, cominciando
ad assumersi scelte e responsabilità. Lo stesso Freud, nel 1915, concludeva
il suo breve saggio "Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte"
con queste parole: "Se vuoi sopportare la vita, disponiti ad accettare
la morte".
Dr. Francesca de Mola
Nucleo Operativo Tossicodip.-Varese