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GAY COUNSELING: LO PSICOTERAPEUTA DELLE OMOSESSUALITA'
Attualità e contributi della letteratura psicologica gay negli Stati Uniti
"La differenza fra "sono costretto" e "scelgo" è fondamentale per l'autodeterminazione della propria vita, come la capacità di scegliere è fondamentale per la salute psicologica e l'autosviluppo."

E. Giusti in "Ri-Trovarsi", Armando Ed.

È ampiamente codificato nella nostra cultura che le persone non compiono atti eterosessuali o omosessuali, essi sono omosessuali o eterosessuali. In questa logica, l'orientamento gay o normale è indistinguibile dall'identità e si rivela in ogni aspetto della vita, del comportamento e, a seconda dei punti di vista, circa l'origine ed il significato dell'omosessualità. Per alcuni la dicotomia avvalora la credenza che l'omosessualità è uno stato biologico naturale di circa il 10% della popolazione, così come il colore degli occhi. Per altri la prevalenza della eterosessualità avvalora l'ipotesi che l'omosessualità è ampiamente imputabile a disfunzioni fisiche e psichiche riguardanti gli aspetti del comportamento e della personalità. D'altro canto, se l'omosessualità è una "scelta", secondo l'opinione generale di una certa sinistra, come dice Franco Grillini (Presidente dell'ARCIGAY) in una intervista su Panorama del 15/9/91, i gay e le lesbiche avrebbero scelto di essere "completamente" omosessuali, convalidando tutti gli stereotipi su cosa sia l'omosessualità e, per questo costretti ad accettare le conseguente sociali e non: la discriminazione legale, l'esclusione dalla società "normale", l'impossibilità di farsi una famiglia ed avere figli, il generale biasimo, incluso il rischio dell'AIDS. Di converso moltissimi gay e lesbiche credono di non avere fatto nessuna scelta circa la loro inclinazione sessuale, spesso scelgono stile di vita completamente omosessuale per avere il sostegno, l'accettazione e la sicurezza altrove negati. Giovanni Dall'Orto in Babilonia n. 92 settembre 91 dice: "Nessuno di noi ha scelto di essere tale. Tutti noi abbiamo scoperto di fare parte, contro la nostra volontà ed i nostri desideri, di una minoranza odiata e disprezzata". Secondo l'Istituto Kinsey circa 1/3 della popolazione maschile ha avuto o immaginato di avere un rapporto omosessuale sin dalla pubertà. Per esempio l'uomo sposato che occasionalmente fa sesso con un altro uomo o ha fantasie di farlo, probabilmente si considera realmente eterosessuale, così come i carcerati che fanno sesso tra di loro per anni con il preteso di essere privi di donne. Lo stesso istituto riporta che metà delle donne educate in college e il 20% di quelle non educate in college hanno avuto almeno un'esperienza omosessuale sin dall'adolescenza. Una donna può "adottare" una identità lesbica o senza avere una consapevolezza omosessuale, oppure può sposarsi, avere figli e poi improvvisamente innamorarsi di un'altra donna e lasciare il proprio marito. D'altra parte molti gay e lesbiche hanno avuto esperienze eterosessuali: tra il 62 e il 72% degli uomini e il 43% delle donne, includendovi anche lesbiche non da sempre coscienti della propria identità arriviamo facilmente al 74% e all'81%. Comunque essi possono aver avuto esperienze eterosessuali per conformarsi alla regola e per provare a se stessi se erano realmente omosessuali o per tentare in questo modo di diventare "nomali".
La divisione dogmatica tra omosessualità ed eterosessualità non è così semplice e fissa. Nel 1984 il rapporto Kinsey determinò una scala in percentuale che partiva dallo 0 fino al 6 del comportamento omosessuale, stabilendo così che la maggior parte della popolazione oscillava tra i due comportamenti nel corso della propria vita, naturalmente per diversi gradi. Nel 1986 lo stesso istituto tenne un simposio per 50 studiosi, biologi, medici e sociologi per rivedere il problema e stabilire una scala definitiva relativa all'orientamento sessuale. Il simposio pubblicò il libro: "Omosessualità ed eterosessualità: due concetti sull'orientamento sessuale". Esso è rilevante per le conclusioni raggiunte. I ricercatori posero unanimamente in discussione la scala dei valori originari, basata sul fatto che gli atti sessuali di per se stessi avrebbero misurato, tout court, il comportamento sessuale. Invece si accordarono che la scala comportamentale che valutava gli atti sessuali di una persona andava comparata con altre scale riguardanti, per esempio, l'amore, l'attrazione sessuale, l'immaginario erotico, l'intimità, l'autoidentificazione, i fattori che potevano cambiare il corso della vita.
Non esiste probabilmente uno stato essenzialmente eterosessuale o omosessuale, ma molte omosessualità ed eterosessualità; si può sicuramente asserire che l'orientamento sessuale va considerato come multidimensionale, situazionale, mutevole, contestuale. Molti vecchi cliches psicoanalitici sono caduti, come l'omosessualità maschile causata da madri autoritarie e iper-protettive e/o padri deboli o, ancora, il lesbismo causato da ragazze aventi modelli di riferimento esclusivamente maschili. Inoltre i figli di coppie gay (negli USA sono circa 7 milioni i bambini che hanno un genitore gay: La Repubblica del 9/1/91), non sono in percentuale più portati all'omosessualità di figli di coppie eterosessuali, né si  diventa omosessuali perché sedotti da ragazzi più adulti o perché si frequentava una scuola esclusivamente maschile o femminile. "Noi veniamo a questo mondo con molte cose non determinate, ma con alcuni parametri tracciati e l'orientamento sessuale è probabilmente così" dice la psicologa Stephanie Sanders. "Siamo stati generati con un raggio di potenziali possibilità e ogni interazione con l'ambiente che ci circonda determina in qualche parte di quel raggio cadiamo".

ORIENTAMENTO SESSUALE

Sebbene le cause dell'orientamento sessuale siano sconosciute e le definizioni fluide e incerte, le probabilità di convertire un omosessuale in eterosessuale o viceversa sono minime. Alcuni omosessuali femmine e maschi vanno in terapia per ribaltare le proprie preferenze sessuali, ma i limitati successi sembrano non essere chiari e quindi se imputabili ad un reale cambiamento di modelli e sentimenti, o piuttosto alla capacità acquisita di restringere consistentemente i rapporti sessuali a partners nel senso opposto. Esistono vari stadi del processo di formazione dell'identità omosessuale e possono avvenire in qualsiasi momento dell'arco della vita ed interrompersi in qualsiasi stadio. Nella società attuale l'orientamento sessuale è diventato una prigione; uomini e donne apprendono che la loro identità è strettamente legata ai propri desideri sessuali, ai loro sentimenti e modi di vita che vengono inculcati in canoni prefissati. Questo clima influisce negativamente sugli adolescenti che vogliono palesarsi alle proprie famiglie, determinando reciproci sensi di colpa e spesso totale rifiuto e paura nei confronti del mondo esterno. Le famiglie di gay passano attraverso vari stadi nell'accettare questa realtà, (M. Palomba 91) devono dimenticare i sogni ed i progetti fatti per i propri figli, e fare i conti con un mondo omofobo; passeranno anni (ahimè) prima che accettino il partner del proprio figli e spesso ciò non accade mai. Molti terapeuti e ricercatori vorrebbero che la gente sviluppasse un concetto più fluido della propria personalità che integrasse la sessualità all'interno della personalità globale dell'individuo, piuttosto che avere una definizione ristretta di se stessi basata sul proprio ruolo sessuale. Ignoranza, insensibilità, stereotipi, modi di pensare, pregiudizi, discriminazioni ed altri attributi negativi possono essere raggruppati sotto il concetto di omofobia.

OMOFOBIA

Per omofobia si intende quella paura irrazionale che può generare confusione ed intolleranza verso le donne e gli uomini omosessuali. Di conseguenza pregiudizi ed errate convinzioni possono far emergere atteggiamenti discriminatori, e nei casi più gravi addirittura linguaggio offensivo ed atti di violenza. Gli adolescenti che scelgono di svelare il segreto della loro omosessualità si accorgono che molte cose che prima avevano un senso ora si trasformano; il ragazzo o la ragazza vengono d'ora in poi visti dagli altri, come un ripugnante individuo alieno. Gli adolescenti omosessuali vengono identificati da genitori e coetanei solo in base alla loro  perversione, così queste giovani persone non di rado sperimentano un vuoto, un disagio esistenziale e non riescono ad integrare sentimenti e sessualità in una identità coerente, non avendo coscienza di cosa sia l'omosessualità. Sviluppano un'identità dissestata, interiorizzando un'omofobia, un anti-repulsione nei confronti delle stigmatizzazioni della società. I gay maschi tendono facilmente alla promiscuità, al contrario delle lesbiche che hanno rapporti più esclusivi e duraturi e formano tra loro unioni più complete, con meccanismi di difesa e solidarietà nei confronti del mondo esterno; in queste relazioni più profonde i bisogni della coppia sono soddisfatti solo all'interno della relazione stessa, e le giovani coppie lesbiche tendono a subsocializzarsi. La loro esclusività emotivo-razionale le porta ad una maggiore e precoce auto-coscienza rispetto ai gay maschi.

PSICOTERAPIA

Venti milioni di americani sono gay o lesbiche, nonostante alcuni psicoterapeuti potrebbero dire di non avere mai lavorato con clienti gay o lesbiche, ma si sbagliano (Hersch, 1991). Secondo l'ormai famoso Istituto Kinsey, il 10% della popolazione generale ha un orientamento omosessuale. In altre parole una famiglia su cinque ha un figlio gay o lesbica. Terapeuti gay/lesbiche potrebbero procacciare più facilmente e meglio questo tipo di famiglie, mentre i terapeuti non gay, nonostante le loro buone intenzioni, potrebbero facilmente fallire.
L'omofobia, la paura, la vergogna e la rabbia di queste famiglie e a volte i rischi di esporsi sono reali (è possibile perdere il lavoro, la casa, gli amici, la custodia dei figli, ecc.); per questi ed altri motivi un terapeuta non addentro personalmente a queste problematiche potrebbe, non solo avere scarso successo, ma essere addirittura fuoriviante.
Trent'anni fa il lavoro terapeutico era incentrato soprattutto a convertire l'omosessuale in eterosessuale. Attraverso l'analisi psicologica, l'esplorazione dei traumi infantili o anche con l'elettroshock, lo scopo era quello di ricercare l'eziologia (lo studio della causa) che portava a questa "perversione" (fino al 1974 l'omosessualità veniva considerata tale dal Manuale dei Disordini Mentali Americano). Michael Pollack dice rispetto al cambiamento della rappresentazione scientifica della sessualità "… più che abolire i limiti fra le diverse espressioni della sessualità, ha favorito (il cambiamento) la differenziazione dei termini di identità sessuale". Infatti non sorprende affatto che i gay e le lesbiche erano riluttanti ad intraprendere una psicoterapia. In seguito il compito di affrontare, professionalmente parlando, questa realtà andò alla terapia familiare, coinvolti che le cause dell'omosessualità risiedessero nella disfunzionalità del "sistema famiglia". Questo approccio basato ancora su un modello eterosessuale non ebbe un grande successo all'interno della comunità gay americana che già si indirizzava verso terapeuti gay o lesbiche. Spesso succedeva che pazienti gay che si recavano da terapeuti eterosessuali, non solo incontravano grosse difficoltà ad aprirsi emotivamente ma accadeva che ricevevano ulteriori frustrazioni, con aumento dello stato depressivo e della confusione.
Il risultato era che il paziente gay non ritornava più da quel terapeuta. Jonh Patten, della Ackerman Ins. of Family Therapy dice: "Quando un cliente ha una fantasia il lavoro del terapeuta è quello di esplorarla e non di trattarla come se fosse dannosa o pericolosa". Per diverso tempo nella psicoterapia sono esistiti non solo errati pregiudizi ed errate interpretazioni del problema, ma anche terapeuti impreparati ad affrontare la questione omosessualità. George Wolley, attualmente psicoterapeuta gay di New York, sposato due volte ed altrettante volte divorziato, dopo il suo lungo percorso di analisi e di psicoterapia individuale, dice che nessuno dei suoi rispettabilissimi colleghi gli ha mai chiesto: "Non pensi che potresti essere gay?" Tutti i terapeuti che consultò furono in qualche modo riluttanti circa la questione della sua identità sessuale. E ancora "Io comprendo perché molti gay e lesbiche preferiscono andare da un terapeuta gay o lesbica. Se dovessi andare ancora in terapia andrei solo da un terapeuta gay". Ogni terapeuta che intende lavorare con clienti gay o lesbiche dovrebbe affrontare innanzitutto la propria omofobia, e cioè esplorare la propria parte omosessuale onde evitare la paura e la confusione che potrebbero insorgere di fronte ad un problema o dichiarato cliente gay.
Nell'area di San Francisco, secondo alcuni studi sulla vasta popolazione di  omosessuali che notoriamente vive in questa città, due terzi delle lesbiche  bianche e più della metà delle lesbiche di colore sono state in terapia. Nel 1990 uno studio pubblicato nel Journal of Gay and Lesbian Psycotherapy riporta che circa due volte di più le coppie lesbiche ricorrono al counseling rispetto alle coppie gay (maschili). David Casta, editore del giornale, dice che la terapia con gay e lesbiche non è per tutti i clinici, ma richiede una specializzazione ed un alto livello di auto-consapevolezza. Essi devono affrontare il personale processo di coming-out (venire fuori), confrontarsi con gli stereotipi internalizzati e l'omofobia. Elkin Treadway, terapeuta eterosessuale racconta: "Quando io inizio una terapia con una coppia  lesbica, dico di essere un uomo eterosessuale, e che posso talvolta essere spiazzato nelle  mie abitudini e modi di pensare circa loro. Dico loro che necessito di sapere perché hanno scelto me e che sono consapevole di avere bisogno di informazioni per comprendere le loro esperienze interne." A volte a me personalmente, già dalle prime sedute, alcuni clienti provano grosse emozioni accompagnate da un desiderio sessuale nei miei confronti. Nella situazione iniziale un simile impulso e fantasie in questo senso sono di solito correlate a quello che è il problema del cliente e al motivo per cui intende intraprendere un lavoro psicologico. Per questo, il terapeuta con la capacità di entrare in contatto col proprio vissuto in una relazione personale attuale (Ginger 1990) e utilizzando la consapevolezza del proprio sentito emozionale e corporeo, favorisce la crescita del cliente, contribuisce a chiarire il significato che quell'evento sta rappresentando per il cliente stesso in quel momento, nel setting.
Si deduce facilmente come tutto questo possa essere estremamente delicato all'interno del processo terapeutico; laddove un terapeuta che non abbia esplorato e comunque non sia sufficientemente consapevole dei propri vissuti e capace di entrare in contatto con le proprie esperienze interne, rispetto soprattutto al proprio orientamento sessuale, possa inficiare lo svolgimento della terapia, se non addirittura dannoso. Argomenti come la vergogna, la segretezza e la paura di aprirsi sono temi che inevitabilmente incontrano i gay e le lesbiche quando vanno in terapia, sia individuale che di gruppo. Un terapeuta consapevole ed autentico, che non ha familiarità con questa costellazione emozionale e con il processo di coming-out, potrebbe far sorgere degli ostacoli nella relazione terapeutica. I terapeuti che non hanno familiarità con le coppie gay,  conoscono solo i vecchi stereotipi e rigidi pregiudizi legati per esempio ai ruoli femminili/maschili nelle relazioni sessuali (un partner gioca il ruolo passivo, l'altro dominante). Negli USA un fattore determinante della cultura generale fu l'episodio di Stonewall (1) che determinò importanti cambiamenti nella mentalità della società rispetto ai bisogni e  ai diritti della comunità gay. La rivalutazione dell'omosessualità, delle coppie gay e della comunità tutta in fatto di religione, di relazioni interpersonali e con le famiglie di origine e/o con la comunità etnica, può creare conflitti e confusione al terapeuta che non conosce queste tematiche e può essere ostacolato per la comprensione del problema e della situazione psicologica e psicosociale del cliente.

Maurizio Palomba

Psicologo gay-counselor ASPIC Roma

(1) Stonewall è il nome di un bar di New York dove il 28 giugno 1969 ebbe luogo la più famosa rivolta gay contro la polizia, all'epoca corrotta, che minacciava in continuazione la chiusura dei locali gay della zona. Da quel giorno cambiarono molte cose: i gay vennero sempre più allo scoperto, rivendicando i loro diritti, determinando un sostanziale cambiamento sia nella mentalità della società americana sia nella politica in generale.