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LE PSICOTERAPIE
GESTALT TERAPIA

La Psicoterapia della Gestalt (PdG) è nata negli anni ’50 per opera degli psicoanalisti Fritz e Laura Perls e di alcuni collaboratori (Goodman Hefferline – From ed altri). All’interno del panorama delle psicoterapie contemporanee la PdG si colloca come modello integrato di terapia, in quanto focalizza la lettura del disagio psichico e le possibilità di cambiamento nella globalità e totalità della persona. Il terapeuta gestaltista infatti, nella pratica clinica rivolge le sue attenzioni oltre che alle emozioni (il “cosa pensi?” famoso stereotipo della PdG) anche al corpo, (comportamento non verbale, modalità di respiro, ecc.) ai significati cognitivi (“cosa significa questo per te?) e alla relazione (transfert e controtransfert).
Tutto ciò non per focalizzare ora un aspetto ora l’altro,  in maniera frammentaria e settoriale, ma per privilegiare la Gestalt (parola tedesca, che significa “unità strutturata”) che emerge come totalità e come figura/sfondo in continuo processo. I concetti base della PdG li possiamo trovare nelle conoscenza dei processi terapeutici della consapevolezza, del contatto, dell’esperimento.
Consapevolezza: “conoscere se stesso” da sempre è stato itinerario e meta della saggezza umana. Esistono diversi livelli e qualità di conoscenza di sé che interessano le diverse scuole di psicoterapia.
Ciò su cui si conviene è che la conoscenza dei propri bisogni e degli strumenti adeguati per rispondervi sono condizioni indispensabili per la sanità: perdere il contatto con se stesso “fa” la malattia psichica.
Nel quadro teorico della PdG, la consapevolezza è esperienza di sé, del flusso interiore dei vissuti nel qui e adesso dell’interazione O/A (Organismo/Ambiente). Tre sono i concetti che la caratterizzano:
-  Consapevolezza di ciò che voglio e  meglio di cui ho bisogno e degli strumenti per soddisfare il bisogno in modo adeguato e creativo.
-   Consapevolezza di tutte le aree ella propria realtà: emozioni, comportamenti, schemi cognitivi, intenzionalità (concezione olistica).
Solo se si risponde a questa esigenza di essere tutte le parti dell’organismo e di essere in contatto con il bisogno, la consapevolezza è funzionale alla crescita della persona ed evita sia di diventare patologica (es. consapevolezza dell’ossessivo), sia di risultare poco funzionale (es. la consapevolezza viscerale di alcuni stereotipi gestaltici).
-   Consapevolezza dell’intenzionalità, della direzionalità che emerge dal bisogno che muove l’organismo il completamento e la realizzazione (concezione dinamica).
Contatto: altro obiettivo terapeutico della PdG è ripristinare e migliorare la capacità di entrare in contatto in modo funzionale e costruttivo con l’A. Considerando entrare in contatto, in quanto nessun O è autosufficiente per sopravvivere, per crescere, deve assimilare dall’A. ciò di cui ha bisogno. La PdG studia ed interviene non soltanto sul contenuto, il che cosa, ma sul processo, cioè il come, il quando, la persona instaura o evita il contatto. Le modalità di contatto sono l’introiezione, la retroflessione, la proiezione, la confluenza e aggiungiamo la deflessione come quinta modalità coniata da Polster. Quando funzioni di contatto sono in origine sane e diventano disfunzioni di contatto quando vengono messe in atto in maniera coatta impoverendo e bloccando la crescita della persona. La patologia viene letta come disturbo del contatto e viene focalizzata la necessità di un sano contatto per la crescita e la realizzazione della persona.
Esperimento: oltre alla consapevolezza e al contatto, parte integrante del processo terapeutico è l’esperimento (uso della metafora, dialoghi, posture etc.). L’esperimento permette all’individuo di “allargare i confini dell’Io” e cioè di ristrutturare a livello profondo la percezione del sé sperimentando aree e comportamenti nuovi, percepiti prima come desideri lontani dalle proprie possibilità.
Mi piace, infine, accennare brevemente alla PdG come terapia della positività in quanto promuove piena fiducia nell’energia e nell’intenzionalità dell’organismo di tendere all’autorealizzazione e allo sviluppo delle potenzialità. Il sintomo spesso viene decodificato come risposta creativa dell’organismo in situazione di emergenza ed esprime la tendenza verso una più funzionale e ricca integrazione. Nel lavoro terapeutico, è importante fare emergere dallo star male, l’intenzionalità dell’organismo, che cerca in vari modi nuove opportunità di espressione e integrazione: solo ritrovando questa spinta in avanti presente nel nucleo più profondo il malessere psichico diventa possibile il cambiamento terapeutico.

Valeria Conte