Quando la tv disinforma di Cristine Collins


Su RealTime c'è una trasmissione dal titolo "Vite al limite". Presenta la cura di soggetti in sovrappeso (dai 250 chili in su) ad opera di un tal dott.Nowzaradan. La cura medica sembra piuttosto precisa: analisi approfondite, visite d'emergenza, ospedalizzazioni per dieta controllata, fisioterapia, operazione di riduzione dello stomaco. Il processo, che inizia con un foglio-dieta di 1000 calorie al giorno, è alternato con grandi cazziatoni del dottore che ricorda continuamente ai pazienti che si stanno suicidando col cibo. Tutto qui.
L'idea che viene lanciata è che per uscire dall'obesità severa basta cambiare abitudini alimentari, fare del moto e sottoporsi ad un'operazione di bypass gastrico. E che, per convincere i pazienti a seguire l'iter previsto, basta la paura indotta dalle reprimende dell'esperto.
Se bastassero la medicina e le prediche a far superare le dipendenze, non avremmo tanti alcolisti e tanti tossicodipendenti fisicamente danneggiati o morti.

La prima cosa discutibile di questa trasmissione è che i pazienti devono fare ogni mese un viaggio biblico per pesarsi nella clinica del dottore, quando sembrerebbe ovvio suggerire una pesatura quotidiana a casa o nel quartiere del paziente. Ma forse questo è un trucco da regìa televisiva.

Una seconda stranezza riguarda le sedute cosiddette di "psicoterapia". Ogni ora di trasmissione sintetizza circa un anno di cura, nel corso del quale viene presentato un solo colloquio psicoterapeutico. Quello che si sente e si vede nel colloquio con lo psicologo, sembra una mistura del lavoro del prete e di un educatore comportamentale. Anche qui, può darsi che sia una decisione registica.

Il problema principale della trasmissione è più generale. L'obesità grave è una dipendenza, come quella verso l'alcol o le droghe. Ci sarà un motivo se da oltre un secolo queste due dipendenze vengono trattate in comunità o in gruppi. E ci sarà un motivo se all'inizio di ogni puntata viene dichiarato che le "guarigioni" dei soggetti iper-obesi, nel lungo periodo, non superano il 5% dei casi. Il fatto è che dal trattamento presentato in questa trasmissione è assente quasi del tutto la relazione.

La dipendenza patologica da alcol, droghe o alimenti può essere superata solo con la fisiologica dipendenza dalle relazioni con persone. Le relazioni sane e la capacità del soggetto di crearle e mantenerle sono la base della salute psicologica di ogni essere umano.
Nel caso degli obesi, immobilizzati o poco mobili, ci sono sempre familiari, amanti, amici che si fanno complici della patologia. Per accontentare il soggetto obeso e per evitare conflitti, i complici si prestano ad alimentare la dipendenza con la somministrazione di cibi e bevande, malsani e in quantità industriali. Ci sono anche casi di sadismo, quando il complice lavora per tenere il paziente sottomesso al suo "aiuto". O di perversione, quando il compagno della donna che pesa 300 chili, la lascia appena dimagrisce di 20 chili, perchè troppo magra!
La risposta terapeutica a queste situazioni deve essere una terapia familiare o di coppia; magari un corso di formazione per coloro che si prendono cura del soggetto obeso. Oppure il distacco temporaneo, ma totale, dalle relazioni patologiche.

Tuttavia questo distacco non può essere attenuato da mezzi di comunicazione, che mantengano i legami distruttivi; nè aggravato da una completa solitudine. Il distacco da relazioni disturbanti deve essere compensato con la fruizione di rapporti perturbanti e conturbanti. La trasmissione presenta pazienti che mantengono le precedenti relazioni distruttive, oppure passano giornate in totale solitudine, con la possibilità di ordinare pasti pantagruelici a pizzerie e fast food. E' come collocare un tossicodipendente in un quartiere di spaccio, o un alcolista in un monolocale sopra un bar.

Non vengono nemmeno menzionati incontri di gruppo fra obesi ed ex-obesi, cioè fra persone con esperienze simili, che permettano rispecchiamento, identificazione, sostegno fra pari. Incontri che sono alla base di tutti i trattamenti terapeutici della dipendenza da droghe o alcol.

Infine, in questa trasmissione è assente quasi del tutto l'attività. La trasmissione presenta pazienti che passano ore sul letto, con la sola visita saltuaria di un fisioterapista, e tutto il tempo dedicato a ingozzarsi, lamentarsi e trovare giustificazioni alle proprie trasgressioni alimentari. Soli, in attesa della pesatura mensile, come una spada di Damocle incombente.
Non viene offerta alcuna attività ludica proposta da un animatore, o un'occupazione gestita da un ergoterapista, entrambe presenti in ogni comunità per tossicodipendenti. Attività che non solo distraggono dalla fissazione verso la dipendenza, ma che mettono il paziente a contatto con figure diverse e relazioni sane.

Forse, se il dottor Nowzaradan uscisse dalla sua monocultura medico-chirurgica, scoprirebbe che il 5% di guarigioni sul lungo perioso potrebbe aumentare, e i telespettatori sarebbero meglio informati sulle strategìe di cura delle dipendenze.