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Che cosa significa "fare cultura"? E che significato
date al "fare cultura" in un contesto come quello italiano?
Minchia. Nel contesto italiano, niente ha significato. Le poche cose
sensate che si riescono a partorire, nascono a prescindere dall'Italia,
come se il Mediterraneo arrivasse fino alla Svizzera. Per vivere in
questo paese bisogna sottoporsi a una ginnastica mentale estenuante,
la cosiddetta "fuga di cervello". Ripetere come un mantra:
"Qui fuori c'è Godthab, Groenlandia". Appena ho finito
con queste domande mi metto la tuta termica e vado allo spaccio del
mio amico eschimese a comprare merluzzo e renna affumicata. Non voglio
dire che bisogna abbandonare il paese a sé stesso, ma il giardino
che ci è stato affidato è più ampio. L'Italia
è solo una vecchia aiuola, piccola e nascosta, giusto dietro
i cessi. Cureremo l'aiuola prendendoci cura dell'intero giardino,
non certo standocene lì a contare le spine sulle rose e a pestare
merda di cane. La fuga di cervello è l'unica soluzione non-violenta
per il paese (l'altra sarebbe un pogrom da venti milioni di persone).
Ogni giorno coltivo la speranza di poter fuggire anche con il corpo,
per non condannare i miei figli ad un'adolescenza italiana. Ma forse
avverrà il contrario. I bambini sono nomadi per natura, si
addormentano al ritmo dei passi. Saranno loro a salvarci, a portarci
via. Via da quest'Italia di leccaculo, yesmen e sissignori. L'Italia
monarchica che parla di leader, ma vuole solo un capetto, un duce
in sedicesimo, un re pastore. L'Italia che va da Che Guevara a Madre
Teresa, passando per San Patrignano. Quest'Italia di cocainomani contro
la droga, papa boys contro il fondamentalismo, emigranti contro immigrati.
L'Italia uniti contro il terrorismo, prendiamo le distanze, sono d'accordo
a metà col mister. L'Italia del campionato più bello
del mondo e dei calciatori che non cantano l'Inno. L'Italia con l'elmo
di Scipio, te lo faccio vedere io come muore un italiano. L'Italia
che va tutto bene, siamo brava gente, non è colpa di nessuno
e se c'ero dormivo. L'Italia che si beve il sangue dei vinti, ventimila
infoibati, le Fosse Ardeatine per colpa dei partigiani. L'Italia strapaese,
quartierino, tuttinfamiglia. L'Italia che se ne frega, l'Italia impaurita,
l'Italia no grazie. L'Italia dei tormentoni, allegra come un DJ, depressa
per noia. L'Italia dei nonni al potere, il cinquantenne giovane scrittore,
mai fidarsi di uno sotto i sessanta. L'Italia che va da Firenze a
Bologna in trenta minuti, venti cimici, tre scorpioni, un'ora di ritardo
indipendente dall'azienda e grazie per la preferenza accordataci.
Via dall'Italia del Maresciallo Rocca, Distretto di Polizia, Ros,
Carabinieri 5, Bolzaneto 50, Genova -1, Lampedusa 20. L'Italia
del volemose bbene, gli amici degli amici, tutte puttane tranne la
mamma. L'Italia che crepa di parto, di anestesia e di lavoro ma la
pillola del giorno dopo è un omicidio e l'influenza aviaria
una pandemia. L'Italia Sua Emergenza, la pista anarchica, i satanisti,
gli Anni Settanta e il reato d'opinione. L'Italia di Beccaria contro
la pena di morte che annega i clandestini nel canale d'Otranto. Via
dall'Italia dei sondaggi, 30% di analfabeti, 60% di ana-alfabeti,
90% di anal-fabeti che parlano col culo. L'Italia senza elezioni,
solo share. L'Italia a sovranità limitata, col Vaticano, Porto
Marghera e il Cermis. L'Italia di don Mazzi, don Benzi, don Gelmini,
don Giussani, don Calogero e Padre Pio. L'Italia della maggioranza
e dell'arroganza. L'Italia Cenerentola, Terra dei Cachi travestita
da G8 . L'Italia che non c'è la censura, sei tu terrorista,
antisemita, frocio e assassino. L'Italia che ce l'ha sempre duro,
ma casto e puro. Quest'Italia che le gallerie sono Grandi Opere ma
dormire per strada è degrado. L'Italia con la busta paga in
lire e la verdura in euro. L'Italia che per staccarle il culo dalle
automobili ci vorrà il greggio a cento dollari il barile. Via
da quest'Italia porca e infame. Quest'Italia dimmerda.
Hai dato un'immagine tremenda dell'Italia, un'immagine che nasce
senza dubbio dall'osservazione, dall'esperienza e da un confronto
con quello che accade fuori da qui. Ma allora, esiste un luogo fuori
dall'Italia, in cui abbia senso "fare cultura"?
Questa domanda investe il senso stesso del termine "utopia"
e il nostro rapporto con l'idea di avvenire. Roba grossa, insomma.
Cosa succede se il contesto dove vivo è talmente lontano dal
mio ideale di territorio e di comunità da rendere quell'ideale
un'utopia distante, tanto dal qui ed ora che dal futuro remoto? Ci
provo lo stesso? Cerco la via d'uscita? Mi sforzo di coltivare piccoli
germogli di un'esistenza diversa? Da sempre mi trovo a mio agio con
la terza ipotesi e la chiamo "fare cultura"
convinto che la "via d'uscita" non esista mai (o conduca,
a lungo andare, a progettare la fuga su un altro pianeta) e che il
"ci provo lo stesso" (a ribaltare il contesto come un calzino),
porti a perdere di vista la dimensione individuale e immediata del
desiderio, in nome delle magnifiche sorti dell'umanità.Il problema
è che questa terza via ha senso se il contesto che intendo
criticare è spacciato ma decente, inumano ma ancora sostenibile.
L'Italia non è più nemmeno questo. Ecco allora che prende
vita una quarta opzione, figlia della precedente: coltivare piccoli
germogli di espatrio, quella che ho chiamato "fuga di cervello".
Scrivere romanzi pensando al pubblico inglese, spagnolo, delle Isole
Figi. L'Italia viene dopo il Botswana nella graduatoria della libertà
di stampa, quindi smettiamo di tirarcela da "potenza culturale".
Contiamo quanto il Burundi e Capo Verde. Uno scrittore del Burundi,
di solito, anche se parla del suo paese, cerca sempre un pubblico
più vasto, quantomeno anglofono. Noi dobbiamo entrare in questa
logica post-coloniale e trasformarci da consumatori globali in produttori
globali. La rete ce lo permette, e non solo lei. Però attenzione:
logica post-coloniale non significa sudditanza nei confronti dell'Impero
di turno (americano, cinese o marziano che sia). Significa ottica
globale. Ti faccio un esempio: oggi molte band della scena indie italiana
riescono a proporsi all'estero, a fare tournée. Parlo di Settlefish,
Afterhours, Yo Yo Mundi, Forty Winks, Death of Anna Karina, Yuppie
Flu, Franklin Delano...Molti di loro hanno scelto di cantare in inglese,
influenzati da milioni di ascolti in quella lingua e per rivolgersi
a un pubblico internazionale. È una scelta che non mi convince.
Voglio dire: o sei bilingue (come molti autori delle ex-colonie) oppure
dovresti cogliere l'occasione di sperimentare, con l'italiano, una
sonorità rock diversa, aliena. Se il pubblico inglese può
innamorarsi di una band come i Sigur Ros, che canta in finto islandese,
allora puoi provarci anche tu con l'italiano, o con l'ostrogoto. La
scelta dell'inglese mi pare un appiattimento, un servilismo provinciale
contrario all'emancipazione post-coloniale che anche un protettorato
come L'Italia dovrebbe tentare.
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Ilaria Mauric
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