LE DIMENSIONI EMOTIVE NEI PROCESSI
DI PROBLEM SOLVING*
( Barbara Hill, Lawrence Lippitt, Kenneth Serkownek)
I processi e le procedure del problem-solving costituiscono una importante preoccupazione per chi lavora con gruppi e organizzazioni. E' stata rivolta una certa attenzione alle fasi e ai passi che esso comporta. Gli autori riferiscono che durante un processo generico di problem-solving si manifestano prevedibili risposte affettive: nella fase di valutazione dei bisogni si evidenziano sentimenti di fiducia e l'atmosfera appare piena di energia; nella fase di determinazione dell'obiettivo sono manifestati sentimenti di confusione e insoddisfazione; nella fase di pianificazione dell'azione sentimenti di coinvolgimento e realizzazione; nella fase di attuazione paura e gioia; nella fase di valutazione sentimenti di orgoglio e tristezza. Ci sono anche interventi particolari che un consulente o leader può fare e che sono utili in relazione al compito e al clima affettivo; questi contributi variano da fase a fase, in relazione al clima affettivo. A chiunque agisca come consulente, terapista, o educatore, o istruttore, o formatore, o altro in questi ruoli, viene richiesto l'uso di un modello teorico e pratico per il problem solving. Havelock (1970) definì il problem solving come un "termine usato ampiamente e in maniera inesatta per descrivere varie attività che rappresentano un approccio graduale, sistematico o razionale per rispondere ai bisogni umani". L'universalitàdel processo, sia esso chiamato problem solving, decision making o pianificazione di un'azione (action planning), risulta evidente dalla ricerca. Sono stati delineati diversi modelli del problem solving. Havelock evidenzia le seguenti fasi:
Delbecq e Van DeVen (1971) presentavano un modello di problem planning che essi descrivevano come un "modello che suggeriva una sequenza di programmazione per un processo metodico di strutturazione della decisionalità nelle diverse fasi della progettazione". Essi individuavano queste fasi:
In "The Universal Traveler", Kolnberg e Bagnall (1974) elencano questi passi del problem solving:
Il modello di Wallen, come citato in Schein (1969), consiste di sei fasi:
E' chiaro che esiste un considerevole accordo circa le
fasi del processo di probelm solving. Tuttavia dalla nostra esperienza
sia come facilitatori siacome membri di gruppi di problem solving, ci
rendiamo conto che c'e di più, nel problem solving, di quanto
sia evidenziato da queste descrizioni. Il problem solving non è
solamente un'attività cognitiva, ma include anche una componente
emotiva importante. Ciascuna fase porta con sè una gamma
specifica di sentimenti. Crediamo che nella maggior parte dei casi
le difficoltà che riguardano i processi di problem solving siano
dovute alla mancanza di attenzione verso la componente emotiva.
Abbiamo trovato poco di scritto su questa dimensione del problem solving
e abbiamo deciso di esaminarla. Mentre preparavamo studenti laureati
abbiamo utilizzato in molte classi il modello di problem solving.
Abbiamo controllato le nostre risposte come facilitatori e le risposte
dei nostri studenti, come partecipanti a ciascuna fase del modello:
valutazione dei bisogni, determinazione dell'obiettivo, pianificazione
dell'azione, realizzazione evalutazione. Questo articolo presenta
un riassunto e una concettulizzazione di questa dimensione emotiva
inerente a un generico processo di problem solving ed una lista
di interventi appropriati. Il modello di problem solving che abbiamo
usato è presentato in Lippit ed altri (1975).
1.0 VALUTAZIONE DEI BISOGNI
La fase iniziale del processo di problem solving è la valutazione dei bisogni. Un gruppo permanente o temporaneo è riunito su un focus di problem solving. Un certo contesto riunisce le persone. I singoli, tuttavia, hanno vari interessi, livelli di impegno e idee su quanto dovrebbe essere fatto. Il primo lavoro del gruppo e del facilitatore è rendere questi elementi espliciti così che possa essere chiarificato un obiettivo del gruppo. Durante la valutazione dei bisogni ogni persona è incoraggiata ad esprimere i suoi obiettivi personali e i suoi desideri in un'atmosfera di interesse e di energia. Gli obiettivi individuali sono arricchiti, modificati e fusi. Un sogno di gruppo comincia a formarsi.
1.1 Clima emotivo del gruppo
L'atmosfera del gruppo durante questa fase tende ad essere piena di speranza e di energia; questo è di solito il clima nella fase di reciproca conoscenza. L'energia è generata dal sogno collettivo, dall'affermazione degli obiettivi personali e dalla conoscenza di quelli degli altri. Se il gruppo è nuovo, i singoli cominciano a valutare la loro posizione all'interno del gruppo in termini di potere e di controllo. Si formano le attese relative al gruppo e ai suoi membri. Ci può essere un clima di costruzione di squadra e, presto, gli interessi individuali possono affievolirsi facendo emergere un senso di potere collettivo. I membri descrivono la fase della valutazione dei bisogni usando espressioni come "...pieno di speranza", "eccitante", "tutto bene" o "forse i miei bisogni saranno soddisfatti.
1.2 Risposta emotiva del facilitatore
Poichè in questa fase il ruolo del facilitatore è spesso molto attivo, è facile che egli esperimenti sentimenti di anticipazione e speranza, uniti ad una certa ansietà, su come il gruppo effettivamente funzionerà. Come altri membri del gruppo, il conduttore puo essere preoccupato da domande quali: "Come mi vedranno? Piacerò? Sarò visto come un competente? Riusciròad aiutare questo gruppo?
1.3 Strategie di intervento
Per facilitare la fase della valutazione dei bisogni si devono tenere a mente diversi principi. Inizialmente il conduttore può permettere di sognare, modellando l'entusiasmo e creando un'atmosfera da "niente èimpossibile", ammesso che questa sia appropriata. Il facilitatore dovrebbe incoraggiare modi di pensare diversi, stimolanti e allo stesso tempo istruttivi. Le risposte del trainer dovrebbero incoraggiare la creativitàed una pluralità di idee, piùttosto che reprimere le nuove scelte mostrandosi critico e valutativo. E' importante durante questa fase stabilire una norma di gruppo non giudicante.Tenendo a mente queste indicazioni, un intervento che si suggerisce è"l'immagine di ciò che potrebbe essere" (Fox ed altri, 1976).
Invece di fare una lista dei problemi, si chiede ai membri del gruppo di sviluppare un'immagine dell'organizzazione o della situazione come se essa si stesse svolgendo proprio nel modo in cui si dovrebbe, dopo che il gruppo ha completato con successo il suo processo di problem solving ed ha raggiunto il suo scopo. Questo esercizio viene di solito eseguito attraverso una fantasia guidata nella quale si chiede ai partecipanti di comportarsi come se ascoltassero di nascosto le conversazioni, di annotare le relazioni che "vedono" tra le persone, di "osservare" risorse fisiche e, fondamentalmente di vedere l'iniziativa come se stesse funzionando in modo ideale. Questo intervento si concentra su ciò che la gente vuole che avvenga piùttosto che su ciò che essi non vogliono (i problemi). L'attività genera energia e speranza, fornemdo anche informazioni che possono essere usate per formulare mete ed obiettivi di gruppo.2.0 DETERMINAZIONE DELL'OBIETTIVO
Durante la fase di determinazione dell'obiettivo il compito si sposta verso la specificazione del sogno. Il gruppo restringe le sue scelte e si focalizza sui problemi di quale possibilità scegliere. E'necessario un modo di pensare convergente per arrivare alla maniera migliore per soddisfare gli scopi e le necessità dei membri del gruppo. Il gruppo deve chiarire e vagliare i dati emersi durante la fase di valutazione dei bisogni per formulare l'obiettivo da raggiungere nel modo migliore.2.1 Clima emotivo del gruppo
La risposta emotiva dei membri del gruppo a questa fase è immediata. Essi si descrivono come "confusi", "insoddisfatti" e "sopraffatti". L'entusiasmo del periodo della formulazione del sogno può svanire improvvisamente. Ciòche prima era considerato come possibile può apparire ora irraggiungibile.Un certo numero di fattori può intervenire in questo provvisorio cambiamento del clima emotivo. I singoli devono cominciare ad equilibrare i loro investimenti sulle mete personali con la necessità di venire ad un compromesso con gli altri membri del gruppo. Fattori esterni possono limitare la portata di ciò che è possibile realisticamente. L'ammontare dei dati emersi e enorme. Può inoltre esserci una storia di delusione personale o di gruppo nei confronti di precedenti sforzi per ottenere un cambiamento.Questa disillusione nei confronti del sogno e del gruppo ha un effetto immediato sulla sua coesione. Esso non appare più adatto a soddisfare i bisogni personali. Si possono sviluppare delle fazioni. I partecipanti possono manifestare comportamenti di fuga o evasione che includono l'effettiva fuga dal gruppo. Molte volte questo processo di disinganno finisce per far emergere un leader forte che fornisce direzione e organizzazione. Allora il gruppo comincia a riprendersi e a funzionare come un tutto. La seconda fase emotiva all'interno della determinazione dell'obiettivo comincia ad emergere: si tratta della revisione. Il raggiungimento dell'obiettivo non appare più impossibile. Vengono presi in considerazione gli scopi realizzabili e la decisione e presa.2.2 Risposta emotiva del facilitatore
Il facilitatore può rispondere alla confusione con ansietà, dubbio e paura del fallimento. Egli, spinto dalle sue necessità, oppure per proteggere gli altri o magari per apparire competente, potrebbe fare dei tentativi per salvare il gruppo. Il conduttore potrebbe anche sentire, da parte del gruppo, una richiesta di esercitare una leadership autoritaria. Se egli rifiuta, possono verificarsi attacchi nei confronti della sua competenza. C'è anche la tentazione di attribuire colpe specifiche ad uno o più membri del gruppo; per il facilitatore e per il gruppo nel suo insieme questa è la fase più stressante.2.3 Strategie di intervento
Durante questo periodo la principale strategia per il facilitatore consiste nel confidare nel processo di gruppo. Terminerà la fase di disillusione e seguirà la revisione del sogno. Un errore cruciale è di assumere la leadership del gruppo impedendo cosi la sua crescita ed il suo sviluppo. Durante questa fase sono particolarmente decisivi gli interventi di mantenimento e di sostegno: E' importante fare in modo che i partecipanti, pur in mezzo alla confusione, restino in contatto con i loro sentimenti e i loro obiettivi individuali. Deve essere usato più tempo per prendersi cura del clima emotivo in modo tale che esso non diventi opprimente. La tecnica della stop-action è piùttosto utile perche fornisce un veloce processo di valutazione dell'incontro. I partecipanti prendono alcuni minuti per rispondere a domande quali "Come sento il lavoro in comune?", "Cosa potremmo fare per migliorare il nostro modo di lavorare?", "Come mi sento relativamente alla mia partecipazione?", "Cosa penso di fare in modo diverso durante la prossima parte dell'incontro?". Le risposte sono comunicate agli altri ma non discusse in modo esaustivo. La tecnica della "stop-action" concede al gruppo del tempo per esaminare l'impatto emotivo della determianzione dell'obiettivo senza causare inutili frustrazioni togliendo troppo tempo al compito.3.0 PIANIFICAZIONE DELL'AZIONE
Il compito della fase dell'"action planning" è di sviluppare un progetto per tradurre in azione gli obiettivi del gruppo. Mentre la prima fase era dominata dalla domanda "Cosa vogliamo fare?", la fase in corso cerca di rispondere alla domanda "Come la faremo?" Deve essere considerata l'abilitàdi eseguire progetti cosi come la quantità di rischio che ne consegue. La nostra esperienza per quello che riguarda la fase di "action-planning" è che sebbene essa sia più semplice della fase di determinazione dell'obiettivo, almeno in generale, implica abilità diverse.3.1 Clima emotivo del gruppo
L'incertezza circa le possibilità è superata e si è presa la decisione di spostarsi dagli obiettivi ai processi. Come dice un membro, "Forse possiamo realizzare il nostro sogno". C'è un senso di rinnovata energia e i membri del gruppo sembrano pronti a godere il lavoro che li attende. Sono interessati e desiderosi di utilizzare le abilità che hanno acquisito. E' il momento di assaporare la fiducia e la cooperazione che hanno sviluppato come risultato del lavorare assieme sul difficile compito della valutazione dei bisogni e della determinazione degli obiettivi.Questa fase porta alla luce alcune preoccupazioni. I partecipanti manifestano il timore di non portare a termine il compito e possono, di conseguenza, essere cauti nell'impegnarsi con decisione nell'attuazione dell'impresa. Puo esserci il timore di chiedere aiuto e di essere rifiutato.3.2 Risposta emotiva del facilitatore
In questa fase i facilitatori mostrano diverse risposte amotive. Essi manifestano un senso di orgoglio e di sollievo per essere riusciti a superare la dura prova della determinazione dell'obiettivo; i membri del gruppo sono nuovamente apprezzati; c'è la sensazione che "questo, dopo tutto, èun buon gruppo". A questo punto il facilitatore può preoccuparsi di fallire nel compito della formulazione del progetto e della sua realizzazione. L'insidia più comune è quella di cercare di assicurare il successo fornendo suggerimenti e consigli, cosa che incide sull'abilità del conduttore di vedere chiaramente i bisogni del gruppo e di intervenire in modo appropriato.3.3. Strategie di intervento
Gli elementi più importanti sono: per il singolo quello di ricevere l'aiuto per decidere ciò di cui ha bisogno per il progetto, mentre per il gruppo l'elemento preponderante è quello di assumere la responsabilità e la padronanza del progetto finale.Un intervento utile è di fornire un metodo per strutturare il processo di progettazione, un modello che il gruppo possa utilizzare se lo ritiene idoneo. Come nostro intervento noi introduciamo la differenza fra macro e micro progettazione e forniamo materiale che segue quel metodo. Un "macro design" è un profilo generale dell'intervento, che include il tempo e la focalizzazione del contenuto. Il "micro design" fornisce il progetto specifico che include i tempi esatti, le attività, i materiali e le responsabilità; è, in parole povere, un progetto "minuto per minuto". Il conduttore e disponibile a fornire al gruppo sostegno e consulenza.4.0 LA REALIZZAZIONE
L'effettiva esecuzione del progetto è un'esperienza totalmente diversa. Ora il gruppo va "on stage". Le abilità che i membri hanno conquistato, unite ai livelli di fiducia e cooperazione che il gruppo ha raggiunto forniscono il necessario lavoro di squadra. La fase di esecuzione è un ciclo di azione, valutazione, riprogettazione e, se necessario, modificazione. Questo processo può aver luogo tanto in un incontro a due quanto in un periodo di sei mesi di lavoro.4.1 Clima emotivo del gruppo
Le risposte emotive a questa fase sono svariate. L'insieme dell'esperienza precedente che i membri del gruppo hanno nell'essere "on stage" contribuisce alle loro reazioni. Per alcuni ci sono attimi di "paura del pubblico" e apprensione circa la capacità di saper fronteggiare variabili non controllate e sconosciute. Durante i periodi dell'esecuzione attiva, le persone possono sentirsi una certa "fluidità" e anche molto coinvolte e concentrate. C'è spesso la sensazione di essere esterni al sogno stesso e di far realizzare le speranze e di desideri del gruppo. Il sogno realizzato.4.2 Risposta emotiva del facilitatore
Se la valutazione dei bisogni, la determinazione dell'obiettivo e la pianificazione dell'azione sono stati efficaci, il facilitatore può provare diverse emozioni, principalmente se condivide l'eccitazione sperimentata dai partecipanti. Il conduttore può anche essere preoccupato del successo del gruppo e della conclusione positiva, se è possibile. Può esserci l'impulso di proteggere il gruppo e di togliere "le castagne dal fuoco" se le cose vanno male. Il concedere al gruppo la possibilità di errore ècomunque, in questa fase, essenziale alla creatività e allo stesso tempo alla preparazione.4.3 Strategie di intervento
La principale strategia di intervento èdi fornire qualunque aiuto di cui il gruppo abbia bisogno senza creare un senso di dipendenza. La fase di esecuzione appartiene al gruppo ed il ruolo più utile del facilitatore èquello di osservatore attivo. Egli dovrebbe fornire sostegno e partecipare occasionalmente, se è il caso, in maniera tale da non interferire con l'effettiva esecuzione da parte del gruppo.5.0 LA VALUTAZIONE
La fase finale del modello di problem solving proposto e la più importante per situazioni future, èla valutazione. E' il momento di riflettere fino a che punto le mete iniziali sono state raggiunte. L'intero processo viene rivisto, ciò che è stato appreso viene concettualizzato e riassunto e vengono annotati i miglioramenti da tenere in considerazione per la volta successiva. La fase della valutazione porta spesso chiusura e problemi di conclusione perchè il lavoro di questo gruppo su questo progetto è terminato. La collocazione della fase di valutazione come finale del processo, non dovrebbe oscurare il fatto che questa è un processo in divenire. Il gruppo ha valutato sè stesso per tutta la durata della sua esistenza, sia esplicitamente che in maniera tacita, così come i singoli hanno valutato sèstessi. I risultati delle passate valutazioni sono in questa fase accettati con fiducia e ciò che è stato imparato viene riassunto. Idealmente i partecipanti riciclano sè stessi e quanto è stato appreso nella fase della determinazione dell'obiettivo del processo successivo.5.1 Clima emotivo del gruppo
I partecipanti sentono spesso un senso di tristezza per l'imminente fine del lavoro e per la perdita di contatto con gli altri membri del gruppo. Questo può portare ad un certo rifiuto che si manifesta nella resistenza alle attività di ricapitolazione e chiusura. Spesso c'è un senso di sollievo e di gioia. I membri del gruppo festeggiano e sentono sollievo all'idea di aver finito. Idealmente, i membri del gruppo provano un senso di realizzazione, accompagnato da una certa disinvoltura nel lasciarsi andare e a passare a nuove situazioni utilizzando la conoscenza da poco acquisita.5.2 Risposta emotiva del facilitatore
Il facilitatore prova sollievo e gioia alla fine della fase di valutazione e può provare un sendo di rilassamento che può rendere più difficoltoso fornire l'energia necessaria per le attività conclusive. Il conduttore prova anche tristezza per il termine del lavoro (che i membri sentono) e sente il bisogno di essere apprezzato; questo rende però particolarmente difficile ricevere feedback negativi. In questa fase finale il facilitatore puo sentirsi vulnerabile.5.3 Strategie di intervento
La strategia più importante nella fase di valutazione è quella di assicurarsi che sia stato programmato il tempo per la valutazione e di organizzare la valutazione stessa sebbene i partecipanti tentino di evitare questa attività perche impegnarsi in essa è affrontare la chiusura e la fine dell'esperienza. Questo è un problema meno importante se il gruppo èduraturo ma possono esserci, comunque, persone che lasciano il gruppo. L'effettiva organizzazione della valutazione varierà con le necessità del gruppo. Noi abbiamo rilevato che ci sono tre componenti nel processo di valutazione che necessitano di essere menzionate:
1) rifinitura e attivitàdi chiusura e conclusione, dirette ad occuparsi di qualunque cosa sia rimasta incompiùta, sia interpersonale che di problemi di lavoro;
2) feedback, orientati ad aiutare i membri del gruppo ad imparare gli uni dagli altri circa il loro comportamento e le modifiche del programma indicate;
3) celebrazione della conclusione dei lavori.
La fase della valutazione può fornire una grande ricchezza di apprendimenti per i membri del gruppo e per i facilitatore.
CONCLUSIONE
Dal nostro studio risulta chiaro che il processo di problem solving non èsemplicemente ed esclusivamente cognitivo. Un esame iniziale delle fasi del processo suggerisce che esso può essere visto come un processo lineare e logico, ma l'effettiva esperienza del processo, vista da una prospettiva affettiva, è lontana dall'essere lineare e include un riciclo flusso e riflusso di entusiasmo ed energia. Servendoci delle nostre esperienze e monitorizzando quelle dei nostri studenti durante tutte le fasi, abbiamo trovato risposte emotive al processo di problem solving alquanto prevedibili. La consapevolezza di queste risposte da parte del facilitatore è utile in due modi. Prima di tutto il facilitatore può sentirsi sicuro che qualcosa non ènecessariamente andato storto quando il gruppo manifesta stati di agitazione emotiva o perde all'improvviso energia. In secondo luogo il facilitatore può usare interventi che si occupino della necessità emotiva del gruppo in ciascuna fase del processo di problem solving.Siamo convinti che prestare attenzione a questa sfera emotiva dovrebbe aiutare ciascuno di noi a migliorare la nostra globale efficacia come facilitatori di gruppi di problem solving. E' necessario un ulteriore studio sulla dimensione affettiva del problem solving e la nostra lista di interventi utili dovrebbe essere aumentata e sviluppata.* Group & Organization Studies, marzo 1979