Akkademia di Psicopolis
SOGGETTIVITA’, GRUPPO, COMUNITA’
Gli strumenti di bordo per navigare nel terzo millennio

1.     DETRITI SUL DELTA: fra crepuscolo e aurora

Fra il crepuscolo e l’aurora c’è la notte. E la notte è il tempo con cui si apre il XXI secolo. La notte è il regno dell’oscurità, degli incubi e delle ombre minacciose. Ma è anche il momento della luna, del sogno e delle riflessioni. Il crepuscolo appena lasciato è quello della civilizzazione moderna, del materialesimo, della società industriale e degli stati nazionali. L’aurora che ci attende è quella dell’Evo Immateriale, della globalizzazione, dell’info-telematica: ineluttabile ma dai contorni ancora molto incerti. Intanto è notte. E noi siamo al buio, immersi in quello che Bauman ha chiamato sistema “liquido”, al centro di un oceano in tempesta o sul delta di un fiume esondante, colmi di pericolosi detriti, relitti, secche e scogli affioranti.  Sappiamo quello che abbiamo lasciato il giorno prima e possiamo solo immaginare quello che ci attende.

1.     L'Occidente neo-imperiale contro l'Arcipelago

La fase di transizione o di progressiva frantumazione ha occupato la seconda metà del XX secolo. In un certo senso la bomba su Hiroshima ha segnato il più punto alto dell’inizio di una crisi, per una civilizzazione nata sulle promesse del progresso illuminato per tutti e giunta alla distruzione di massa. Quasi mezzo secolo è servito al processo di decomposizione, disarticolazione e polverizzazione della civilità industriale moderna e della sua cultura. La piramide moderna ha gradualmente lasciato il posto all’arcipelago post-moderno: le famiglie, i processi produttivi, gli Stati nazionali si sono destrutturati. Il complesso sistema moderno si è trasmutato in una galassia molecolare, ed ha iniziato introno agli anni Novanta, con l’avvìo della rete telematica planetaria, a cercare nuove modalità di funzionamento. Federazioni, networks, decentramenti produttivi, autonomie locali, famiglie allargate: ogni settore ha cercato strade per la ricostruzione di un qualche sistema plurale. L’ipotesi dell’arcipelago ha mosso qualche passo  a cavallo del millennio e non è ancora spenta. Ma subito le si è affiancata l’ipotesi neo-imperiale. Che consiste nel tentativo di ricostituire, sotto la leadership statunitense, l’unità dell’Occidente e  poi riaffermare il dominio di questo sul pianeta, con mezzi economici, culturali e militari.

Naturalmente, se la prospettiva dell’arcipelago ha il limite della turbolenza e dell’inefficienza, l’ipotesi neo-imperiale non è priva di difficoltà. Per avverarsi, questa ha bisogno di un aumento del totalitarismo interno, della colonizzazione esterna e della produzione di nemici interni ed  esterni.

2.     Risposte distruttive all'entropìa della Modernità

Le prime azioni del progetto neo-imperiale sono leggibili come risposte distruttive e suicidarie all’entropìa della Modernità. Ogni civilizzazione soffre di  un destino entropico, che si esprime come un  aumento di disordine. La reazione all’entropìa può essere rigenerante, se si fonda sull’eros, la creatività, la capacità di rischio.  Se, come diceva N. Brown, il principio di vita prevale su quello di morte. Questo però richiede un’energìa che l’Occidente, sfinito, ha perso a Hiroshima, poi in Corea, nella guerra fredda, in Vietnam, nel Golfo, in Afghanistan, ma anche a Beirut, in Algeria, a Belfast. La mancanza di energìa, di eros, di istinto di vita  sta portando la civilizzazione occidentale nel vicolo cieco di una serie di risposte distruttive all’entropìa, che finiranno per accelerarla.

La prima di queste è un incremento del totalitarismo interno. Le risposte che hanno segnato la soglia dei due millenni sono state: più leggi, più carcere, più censura e più repressione. Invece di gestire l’insicurezza derivante dalla transizione, l’Occidente ha scelto la via di combatterla con mezzi inevitabilmente destinati ad aumentarla. Più leggi significa più corruzione, più carcere equivale a più violenza, più censura e repressione portano a  maggiori sintomi “isterici”.

La seconda delle strategie distruttive è l’aumento della colonizzazione esterna. Ormai è chiaro il disegno di omologare il mondo al modello wasc (white-anglo-saxon-christian, bianco anglosassone e cristiano) con mezzi economici, culturali ed anche militari. Un sistema morente, invece di negoziare la propria sopravvivenza attraverso aperture, ibridazioni, contaminazioni, fusioni, cerca di esportare la sua cultura in declino con la forza.  Mediante il ricatto economico, l’influenza pesante dei media, e il sostegno delle campagne belliche, l’Occidente cerca di trascinare il pianeta nel suo vortice entropico.

3.     Immaterialesimo

L’epoca che segue la Modernità e la transizione post-moderna, di cui vediamo le prime aurorali sfumature, può essere definita col termine di  “Immaterialesimo”. Il suo carattere principale sta nella progressiva smaterializzazione delle relazioni, dei processi produttivi, delle strutture sociali. La prevalenza della proprietà viene sostituita dall’uso, il dominio delle cose viene minacciato da quello delle idee, delle immagini, delle emozioni. Il materialismo, che ha accompagnato l’industrialesimo come un’ombra, anche in coloro che vi si opponevano, sta perdendo la sua centralità culturale. Il danaro, le comunicazioni, il lavoro, i corpi perdono la loro stabilità materiale per entrare nell’empireo immateriale. I valori stanno lentamente uscendo dall’universo della materialità. La vera rivoluzione degli ultimi anni del XX secolo è stata l’informatica, e più ancora il web. Senza tecnofilìe né tecnofobìe, possiamo paragonare il personal computer alla ruota, alla scrittura o alla macchina a vapore. Il che non ci assicura sull’ingenua concezione computer=felicità, ma ci dice che il mondo sarà sempre più irrimediabilmente diverso da come lo abbiamo visto fino al 1990. I contatti di espandono dal Quartiere al pianeta, le informazioni si irradiano in modo fulmineo, le transazioni commerciali azzerano i livelli di intermediazione, il lavoro si decentra fino all’abitazione, il tempo libero muta i suoi modelli diventando la prima forma di produzione e lavoro. Il potere aumenta enormemente la sua invadenza, arrivando, con Echelon e Carnivore a leggere ogni mail che scriviamo, ma le forze antagoniste possono accedere alle informazioni “segrete” quasi in tempo reale. Senza il web operazioni come Echelon sarebbero rimaste coperte per decenni. La smaterializzazione allarga i confini, aumenta la complessità, e con essa l’efficienza e la fragilità. Grazie a Internet è possibile quasi ogni magìa, ma basta un tredicenne con strumenti come giocattoli per penetrare  nei centri del potere e paralizzarli. L’immaterialesimo non è solo il web. E’ anche un’onda culturale che vede il potere primeggiare sul possesso; l’estetica sull’etica (cioè il movimento sulla stabilità); il “non ancora” sul “già”. L’Immaterialesimo è la stagione della riapertura di nuove Frontiere, dopo che quelle geografiche sono finite. E’ una rivoluzione del lavoro e delle professioni: dall’economia, dal diritto e dall’ingegneria si profila un passaggio della leadership alla filosofia, alla sociologia, all’arte. La fisica e la psichica sembrano destinate a incrociarsi, da parallele che sono rimaste per secoli.

4.     Planetarizzazione dell'intelligenza e dell'inconscio

Internet è un nuovo sistema, ancora legato ai primi vagiti, ma che mostra chiaramente un’identità razionale ed emotiva come ogni altro organismo sociale   (cioè creato da “soci” umani).

Considerando il web un organismo autorganizzato – nessuno l’ha pianificato o lo governa- non possiamo non vedere i segnali di un’intelligenza collettiva e di un inconscio planetario. La Rete pensa, crea, sente, ricorda, mostra nevrosi e psicosi, esattamente come ogni altro organismo collettivo. L’immagine  di Gaia come corpo terrestre è ora intregrata dalla Rete come mente e come anima.
Sul cervello collettivo basta citare il lavoro di Lévy, che ha bene descritto il cyberspazio e il web come una rete neuronale. D’altronde, basta navigare un po’ per scoprire come  le informazioni, le connessioni, le accumulazioni, gli avanzamenti ed i dibattiti delle idee avvengono nella rete, esattamente come nel nostro cervello.

Se il web è il cervello del pianeta, significa che il pianeta per la prima volta nella storia sta costruendo una unità cognitiva, al di sopra delle lingue, degli stati, delle razze e delle culture.

Meno studiati sono la consistenza emozionale del web, il suo mondo inconscio, la sua psico-logica. S.Freud ha descritto l’inconscio come un luogo svincolato dall’asse spazio-temporale,  senza tempo e senza spazio, meglio, come un multiverso in cui spazio e tempo sono plurali. Nel sogni, ciascuno fa l’esperienza di questo multiverso, con sequenze nelle quali il soggetto prima bambino e subito dopo adulto si muove in stanze che immediatamente sfumano in mare aperto o in cielo. Una condensazione di tempo e spazio, qui ed ora, davanti ai nostri occhi dell’anima. Il web è esattamente questo. Un contenitore virtuale nel quale si trovano residui di passato accanto ad anticipazioni del futuro, sequenze razionali e fantastiche, stanze commerciali seguite da ambienti mitologici. Il web è, come l’inconscio, multi-tempo e multi-spazio: una condensazione dei due assi davanti ai nostri occhi e a portata di click.

Watzlawick ha per primo teorizzato l’importanza della metacomunicazione. Una comunicazione non verbale o verbale, ma implicita, annidata nella comunicazione esplicita per darle uno specifico senso. Un gesto, una pausa fra le parole, un tono di voce, una omissione colorano la frase di un senso particolare, in modo che l’interlocutore percepisce in via razionale un primo messaggio e per via emotiva un secondo messaggio (che specifica o contraddice il primo). La metacomunicazione è una comunicazione che assegna un senso particolare ad una piatta sequenza di parole. Cosa è l’HTML, il meta-linguaggio del web, se non un modo per dare specifici significati alle parole?  Per ora si tratta di un codice limitato, in grado di dare poche e  non decisive colorazioni ai testi delle pagine web. Ma anche un bambino di un anno ha un meta-linguaggio limitato. Già si parla di sviluppi dell’Html, più precisi, articolati, espressivi. Asp, Php o java sono meta-linguaggi il cui compito è quello di assemblare messaggi binari in pagine visibili, e sono già in grado di creare pagine (come frasi di un discorso) diverse “a certe condizioni”. Meta-linguaggi cibernetici in grado di dare significati tenendo conto della sequenza condizionale “se…….allora” sono vicinissimi a quello umano. La prossima frontiera dell’informatica sono i quanti o le cellule organiche. Le nanotecnologie in grado di gestire unità informative quantiche o organiche potranno far uscire i computers dalla schiavitù della rigida binarietà, per accedere alle sfumature “quantiche” (cioè dagli infiniti possibili) tipiche della comunicazione umana. Già esistono software in grado di apprendere dalla interazione con l’uomo. I quali per ora, come neonati, cadono spesso in equivoci, fraintendimenti e conflitti per l’incapacità di riconoscere le meta-comunicazioni e l’ambiguità delle figure retoriche del linguaggio umano. Ma non per questo sono incapaci di darci un’idea di un “mondo interno” in via di sviluppo.

Come gli esseri umani, anche il web mostra i primi sintomi di disturbi nevrotici. Il più vistoso è  l’ atteggiamento persecutorio che si aggira sempre più nella rete. Benpensanti che vedono la rete come minaccia (invasione della privacy, virus, pedofilia, terrorismo, truffe, disinformazione, ecc.), e antagonisti ossessionati dalle profezie orwelliane  o del panopticon foucoultiano. Come nelle psiconevrosi umane, non è che non esistano pericoli e minacce fondate, sul web come nel Quartiere. La nevrosi viene dall’enfasi messa su elementi reali, con conseguenze disfunzionali del comportamento reale. Ovunque è una caccia agli spammers e agli hackers. Pullulano i nick names e le password, i programmi per la difesa dei minori, i firewalls e gli antivirus.

Ad un livello più blando si collocano i sintomi di una nevrosi che si esprime con un bisogno di ordine quasi carcerario. Prima ancora di diffondere le e-mail è stata divulgata una “etichetta” da monsignor Della Casa. Entrare in un newsgroup o in una mailing list significa sottomettersi ad un regolamento simil-militare ed ad un “moderatore” che è spesso una edizione moderna dell’Inquisizione.

Infine, a indicare la natura del web come “mondo interno” del pianeta c’è la straordinaria diffusione della pornografia. Come nell’essere umano si agitano costantemente istinti, pulsioni, desideri di ordine erotico, per lo più sublimati o repressi, sul web si allineano milioni di pagine di carattere sessuale. Anche sul web, come nella vita fisica, l’eros occupa la maggior parte dello spazio psichico.

2.     Il PORTOLANO: guardare il mare come fosse la prima volta

Il problema dei navigatori nel mare aperto del XXI secolo è che guardano l’orizzonte e le stelle nello stesso modo con cui lo facevano nel mare chiuso della Modernità. E’ banale ma necessario dire che la navigazione nell’oceano è assai diversa che nel Mediterraneo e che nei mari del Sud il firmamento è differente, per cui i punti di riferimento devono cambiare. Dobbiamo trovare le risorse per guardare l’oceano immateriale con occhi nuovi, come se fosse la prima acqua che vediamo.

  1. Ridefinire il nemico e l'amico

Uno dei primi problemi da affrontare è la ridefinizione dell’ amico e del  nemico. La Modernità è stata forte perché operava su base binaria, con appartenenze e distinzioni chiare. Il secolo XX è stato definito come quello della crisi perché da Freud a Einstein, da Musil a Picasso, dalla musica dodecafonica alla “fusion”, dalla cucina regionale alla nouvelle e poi a quella etnica, tutte le avanguardie hanno esplorato la dimensione del chiaroscuro, del plurivalente, dell’ibrido. Un pensiero che ha anticipato ed a volte accelerato la frantumazione epocale dell’Evo industriale, il cui esito è stato l’offuscamento dei contorni, dei confini, e dei significati. La sparizione del nemico è stata insieme l’effetto e la con-causa dell’annebbiamento, con l’aggravante che un nemico difficile da individuare “al di fuori” è stato spesso  installato all’interno, nelle profondità della psiche, o in una dimensione ubiquitaria e paranoica, dove i nemici sono tutti. D’altronde i tentativi di reperire sempre nuovi interpreti del nemico, in maniera mistificatoria o utilitaristica, affiorano continuamente, anche se lasciano insoddisfatto il bisogno di verità. Al paradigma del nemico fra cristiani e non, nobili e plebe,  monarchici e repubblicani, proletariato e capitale, comunismo e democrazia, si è sostituito –sulla Soglia del millennio- quello fra Occidente e Islam (prima con Hussein ed ora con  Bin Laden e ancora Hussein). Ad un livello più locale si sono identificati a fine secolo i tossicodipendenti,  gli evasori fiscali, gli spacciatori, gli extracomunitari, gli scafisti. I più recenti sono i fumatori, i produttori di ogm ed i pedofili.   Decine sono le  categorie prima demonizzate e poi gradualmente integrate in schemi diversi da quello nemico-amico. I poteri medico,  assistenziale, sociale, giuridico, massmediatico sono costantemente impegnati nella traduzione di nemici fittizi in malati, vittime, casi umani o star di successo.

Quello che sembra necessario, in quanto più assente, è il ripristino di soggetti antagonisti e di soggetti alleati, che però nascano da un’analisi fondata invece che da manipolazioni culturali. Un’analisi fondata non è possibile in questa sede, per cui ci limiteremo a proporre un principio logico modesto quanto basilare. Per il nemico, le questioni da porre sono: chi danneggia maggiormente la mia vita quotidiana oggi ? come posso combattere il danneggiatore?. Per l’amico è in contrario: cosa mi aiuta di più nella vita quotidiana? Come posso allearmi con chi mi aiuta e con chi subisce i miei stessi disagi?

  1. Esplorare nuove correnti e nuovi approdi

Navigare in un mare aperto ed ignoto implica la capacità di assumere i rischi: per arrivare in posti nuovi non possiamo che percorrere nuove strade. Mentre in un mare conosciuto l’imperativo è comportarsi come gli altri fanno ed hanno sempre fatto, nell’oceano dell’Immaterialesimo lo sforzo deve essere quello di comportarsi in un qualsiasi modo diverso da quelli abituali. Esplorare nuove correnti e cercare nuovi approdi può essere un lusso quando la terra da cui partiamo è rigogliosa, ma è una necessità quando la terra che lasciamo è un insieme di ruderi e detriti. Oggi siamo tutti migranti dalla cultura senescente della Modernità alla civiltà fetale dell’Evo Immateriale. Il rischio non è più una scelta, è un destino. Dobbiamo abbandonare le correnti delle tradizionale discipline scientifiche e rinunciare agli approdi delle vecchie professioni. Dobbiamo esplorare le potenzialità delle tecnologie infotelematiche, le ipotesi di manipolazione genetica, i nuovi orizzonti della riunificazione fra lavoro e tempo libero, le prospettive derivanti dall’indebolimento dei confini nazionali: per citare solo alcune delle rotte che intravvediamo.

Attualmente l’Impero e le sue province stanno rifiutando ogni esplorazione ed ogni ipotesi di approdo. Il sistema di dominio dell’ Occidente mostra tutta la sua vecchiaia rifiutando ogni rischio ed ogni sperimentazione. Più la cultura penetra l’entropìa e più il sistema risponde ancorandosi ai precedenti paradigmi. Naturalmente le nuove prospettive  non sono prive di pericoli, ma una cosa è inoltrarvisi con cautela, un’altra e rifiutarle in toto. Invece telelavoro,  teleistruzione, telemedicina sono tenute nell’angolo dell’utopìa.  La manipolazione genetica è demonizzata con argomentazioni non diverse da quelle usate dai sostenitori del sistema tolemaico. La rivoluzione del lavoro e della produzione incontro ogni pregiudiziale ostilità. La globalizzazione e le migrazioni sono viste solo come minacce anziché come potenzialità. Il problema è che il passaggio dal Moderno all’Immateriale implica una ridefinizione dei valori e dei fini sociali, e di conseguenza del patto di associazione fra gli uomini. Probabilmente l’uomo è sempre alla “ricerca della felicità”, ma se questa era identificata nei secoli precedenti nello sviluppo materiale, oggi e in futuro essa si identifica in molti modi diversi e quindi richiede una “nuova negozialità” sociale.

  1. Costruire nuove rotte

La rotta è un percorso ed ogni percorso necessita di una meta. Oggi è spaventosa la carenza di mete. Non solo, come è ovvio, nessuno sa dove potremo arrivare, ma nessuno sembra capace di voler arrivare ad una meta qualsiasi. La sparizione delle mete è collegata all’annebbiamento di valori forti, in grado  di produrre sogni e mete precise. D’altronde, navigare senza meta, come Ulisse, è una opzione transitoria. Il navigatore necessita prima o poi di una meta.  Nè le rotte si trovano: vanno costruite.

La sfida è la ricostruzione del senso. Secondo E. Kant, la cultura  è il senso dato alle cose in dato momento e in un dato luogo. L’Occidente ha perso la cultura perché ha smarrito il senso unitario delle cose, per esplorarne decine.  La parola “senso” è poli-semantica. Vale per significato, valore, direzione, intuizione, razionalità e criticità, ma anche per sensi e sensualità. E’ in questo circuito semantico che dobbiamo partire per  costruire nuove rotte. La difficoltà sta nel fatto che il cerchio del senso è una rotta complessa in cui ogni punto rimanda a ciascun altro. Non c’è un punto di partenza.

Potremo costruire nuove rotte valorizzando i  sensi e la sensualità che oggi sembrano anestetizzati, come pietrificati dalla vista di un’orribile medusa. Questa epoca è visibilmente caratterizzata dal processo di “desublimazione repressiva” descritto da Marcuse. C’è un parlare di sentimenti, sensi e sensualità che è inversamente proporzionale alla loro concreta presenza nella vita quotidiana. Potremo costruire nuove rotte ripescando la forza della razionalità e del senso critico - inventati ad Atene e smarriti prima a Berlino, poi a Roma, a Mosca ed infine a Washington - che paiono sepolti sotto le montagne della retorica massmediatica. Potremo costruire nuove rotte dando fiducia al “sesto senso”, cioè all’intuizione profetica, e limitando l’importanza del pernicioso “senso comune” che ci ha trascinato fin qui. Potremo costruire nuove rotte, invertendo il senso di marcia, in direzioni che non conosciamo, ma che devono essere diverse da quelle finora esplorate.

Potremo costruire nuove rotte  ridistribuendo valore alle cose, alle persone e alle idee su una scala diversa da quella attuale. Partendo magari dal mettere il calcio dopo la politica; il diventare ballerina dietro la laurea; il parlare in tv alla spalle del parlare in famiglia.

Potremo infine costruire nuove rotte ricercando nuovi significati da dare ai nostri comportamenti. Magari facendoci venire il dubbio che il “rispetto” sia troppo vicino all’indifferenza; l’evitamento sia un’azione molto aggressiva; la beneficenza sia la veste irenica della violenza.    

3.     ALTRI STRUMENTI: il Soggetto che non si "oggetta" non si assoggetta

Non si entra nell’Immaterialesimo in modo sovrano, senza una effettiva rivoluzione delle nostre qualità umane. L’idea di poter guidare un’astronave negli spazi siderali, o portare una nave fra i flutti dell’oceano, con le stesse capacità umane che servivano ad accudire le pecore, è delirante. L’uomo moderno è stato modellato per la fabbrica, l’ufficio e il negozio, come l’uomo medievale era modellato per la terra, la chiesa, e la guerra. L’uomo immateriale deve modellarsi per le immagini, le idee, i simboli e le relazioni. La soggettività per secoli è stata oggettivata e poi assoggettata dal potere. L’ipotesi neo-imperiale, conservativa, si basa sull’ipotesi di creare nuove oggettivazioni e nuovi assoggettamenti. Un’ ipotesi evolutiva non può che andare verso la valorizzazione della soggettività, in psicologia come in fisica, e verso la sua scelta come pilastro di una nuova civilizzazione. Un Soggetto non oggettivato né assoggettato può entrare sovranamente nella nuova epoca. Ma quali strumenti, quale consistenza, quali competenze deve avere questo nuovo Soggetto sovrano?

  1. Dal canocchiale ai rilevatori elettronici: vedere preciso

La prima competenza è ottica. Il cannocchiale è stato utile per secoli nell’esporazione terreste e celeste, ma poi è stato sostituito dai cannocchiali e dai micro o telescopi. Oggi siamo arrivati agli strumenti di interferometria ottica e di risonanza magnetica. La storia dell’umanità si è sempre evoluta in parallelo alla sofisticazione dei suoi mezzi ottici. “Vedere preciso” è una competenza basica. L’obiettivo (inteso come punto d’arrivo ma anche come lente) è quello di vedere le cose come sono, anche le più lontane (tele), le più piccole (micro) e le più nascoste (radio e audio). Riducendo a zero gli ostacoli, le interferenze, le distorsioni.  Telescopìa,  microscopia, radioscopia ed audioscopìa, riguardano le sostanze materiali, ma ancora di più le entità immateriali. L’Immaterialesimo richiede di “veder preciso” anche le idee, le immagini, i simboli e le persone. I dettagli, le sfumature, le differenze puntuali che cerchiamo nelle stelle, nei virus, nei corpi e negli abissi, devono iniziare a essere cercati anche nelle idee e negli esseri umani. La distrazione, che è considerata un grave difetto nelle cose materiali, deve diventare un peccato capitale nelle questioni riguardanti l’immateriale. Dobbiamo usare il telescopio per vedere bene cosa davvero accade in India. Il microscopio per osservare i fenomeni  nei nostri luoghi di convivenza quotidiana. Il radioscopio e l’audioscopio per poter leggere ogni segnale o sintomo che la cultura occidentale manifesta implicitamente.

La tarda Modernità è stata caratterizzata dal trionfo dell’ottica: dai Lumiére alla Tv, dai satelliti a mega telescopi, dai sonar ai microscopi subatomici, dalla fotografia alle webcam. Il fatto è che questi mezzi non sono stati dati a tutti:  sono stati riservati ai tecnici che intermediano la realtà, fornendone un’immagine parziale. Ogni osservazione modifica l’oggetto osservato, come bene hanno spiegato Heisenberg in fisica e tutta la psicologia della percezione,  ma la Modernità ha moltiplicato le distorsioni prima con l’occhio dei tecnici e poi con quello dei divulgatori. La realtà che gli uomini moderni hanno visto e vedono è quella filtrata dall’osservazione, dagli osservatori e dai divulgatori. Essi hanno solo prestato occhi ed orecchi alle immagini ed alle narrazioni fatte dagli intermediari, perdendo la propria autonoma sovranità ottica.

  1. Riconoscere le Sirene: niente illusionismi

Nessuno, come una persona disperata, è disposto a credere a qualsiasi cosa riduca la sua angoscia. Nessuna civilizzazione al crepuscolo riesce a fare a meno di una produzione ipertrofica di mitologia. L’Occidente al lumicino è in balìa di ogni sirena, ogni illusionismo, ogni gioco di prestigio. Non è un caso che la droga, l’allucinogeno, l’estasi siano la merce che caratterizza la tarda Modernità. Una civiltà in declino produce un’angoscia cui i singoli cercano di  evadere con illusioni, allucinazioni, “viaggi” fuori da sé (questo significa la parola “estasi”), fornite con tutti i mezzi chimici, ottici, fonici possibili. L’irrisione che la cultura tardo-moderna riserva alle culture arcaiche e “teologiche”, le impedisce di vedere se stessa come totalmente subalterna alla “teologia scientista”, nelle forme somministrate dalla chiesa mass mediatica. Leggi, opinioni, comportamento, intere vite sono impostate sulla fede cieca in quello che “dice la tv che ha detto la scienza”. Di fronte ad un bisogno tanto spasmodico di fuga e illusione, non è difficile organizzare un attentato ed usarlo per la costruzione di un nemico. Non è difficile far crollare intere economie, mediante trucchi finanziari, e attribuirne la causa ad un qualche colpevole designato. E’ facile autoassolversi di ogni impotenza quotidiana, semplicemente scendendo in piazza per solidarietà col sub-comandante Marcos. E’ facilissimo, per le élites dominanti,  nascondere la propria prepotenza e segnalare come vera causa del disagio qualcosa di astratto, lontano e oscuro. Infine, è fin troppo facile convincere gli individui che il senso della loro vita sta nel numero di telefonini posseduti. Affrontare l’angoscia e attraversare la crisi della trasizione, entrando nel mare aperto ed incognito dell’Immaterialesimo, è il nostro compito ineludibile, ma possiamo affrontarlo solo se, come Ulisse, sapremo bendarci di fronte alle Sirene.

  1. Saper convivere: tolleranza e sintalità

La principale competenza che abbiamo smarrito ci indica la competenza più importante da ricostruire: saper convivere. Cioè vivere insieme agli altri. Sartre ha urlato il manifesto della tarda Modernità col suo “l’inferno sono gli altri”. Il Novecento ha visto sgretolarsi le famiglie, i clan, le associazioni, i partiti, le organizzazioni, su su fino alle nazioni. Comune, comunità, comunione, comunismo sono diventate parole sospette, dopo essere state snaturate da prassi mistificatorie, manipolative, autoritarie e totalitarie. E’ rimasta all’orizzonte solo la parola “comunicazione” ma nel solo significato di informazione, annuncio, o monologo.  Tuttavia l’essere umano è un animale sociale e non può che convivere. La metafora fantastica dei Borg, un popolo di individui metà umani e metà macchine, che non hanno soggettività individuale ma si considerano parti singole di un insieme, è la estremizzazione paradossale della condizione umana. Che è fatta di individui, singoli, soggetti che tuttavia sono tali in quanto parte dell’umanità intera. Noi non siamo singoli che devono stare insieme agli altri, ma siamo singoli in quanto stiamo con gli altri. La nostra individualità si costruisce con la convivenza. La nostra identità è l’emersione singolare del plurale corpo planetario. Freud afferma “La psicologia individuale è la  psicologia sociale”. Gli esperimenti o gli incidenti che hanno registrato l’allevamento di un neonato in modo isolato dal genere umano, hanno dimostrato che la socialità è consustanziale all’umanità. Senza sociale non si dà l’umano, così come senza umano non si ha il  sociale.   L’isolamento dall’esterno porta ad una riduzione monodimensionale del mondo interno, per cui l’impossibilità di convivere con gli altri diventa anche l’impossibilità a vivere con se stessi, se non al prezzo di ridurre la propria umanità fino al livello animale o inorganico. E’ così che certi malati di mente o carcerati, a lungo tenuti in isolamento, diventano.

L’Immaterialesimo entra nella storia partendo da un grado molto basso di socialità. L’altro è relegato spesso nella condizione di estraneo, quando non di ostile e potenziale aggressore. L’estraneo è da evitare o sottomettere; l’aggressore è da combattere, a volte anche prima di una effettiva aggressione. L’angoscia epocale viene alleviata con l’attribuzione agli altri della sua causa, e l’ossessione paranoica dell’accerchiamento alimenta l’angoscia.

Per navigare nelle tempeste dell’oceano immateriale occorre ripristinare il “con”. Recuperare il plurale dentro di sé ed esterno, ricorrendo alla tolleranza empatica verso se stessi e gli altri, riavviando una nuova negoziazione comunitaria, e rivitalizzando il senso dell’insieme, dell’unità, della sintalità.

  1. Riappropriazione dell’eros

L’eros è energia vitale. E’ sesso, sensualità, senso, sensazioni e sentimenti. E’ la sola forma di estasi genitale, cioè generativa: il modo radicale per uscire dal sé e andare verso l’altro. L’eros è estatico ed estetico, nel senso che muove e commuove. E’ la riserva primaria di energia neg-entropica, di cui l’uomo dispone quando la scorta culturale langue. L’eros è entusiasmo: la via fisica alla scoperta del Dio che risiede dentro ognuno di noi. E’ passione e compassione: una dolce sofferenza condivisa.

Nell’Occidente in declino, l’eros non è scomparso ma semplicemente sottratto o distratto. Commozione, emozione, compassione, estasi ed estetica sono sempre meno produzione ed espressione endogena dei singoli. I vari aspetti dell’eros subiscono l’attrazione di strumenti  artificiali.

Il primo dei quali è la farmacia: pillole per il relax, per la veglia, per il sesso, contro il dolore, per lo sport, per il sonno, per l’espansione psichica. In tal modo gran parte della dimensione erotica viene controllata chimicamente, e il soggetto è mantenuto in una sorta di perenne anestesia, interrotta da farmaci.

Il secondo strumento è il sistema massmediatico, che ha una funzione insieme pedagogica e vicariante. Con la funzione pedagogica vengono indicati gli “oggetti” da erotizzare (merci, ideologie, mode), e con la funzione vicariante la dimensione erotica viene riservata ai divi dello star system o alle produzioni dello show business. L’uomo medio occidentale è scoraggiato dall’esprimere la propria riserva erotica verso i suoi simili: o la dirige verso oggetti definiti dai ceti dominanti, o la reprime limitandola alla fruizione  dell’eros “on stage”. L’eros non va vissuto, ma guardato.

Il terzo strumento è la repressione tout court. Una civiltà che mette al suo centro il controllo, non può ammettere escursioni private nel mondo dell’eros che potrebbero generare effetti incontrollabili. Mentre sulla scena dei mass media, la tarda Modernità sembra la civiltà più sessualmente liberata della Storia, nei comportamenti quotidiani la repressione è dominante. Attraverso mezzi giuridici anzitutto. Nessuna altra epoca registra una legislazione tanto pervasiva nel campo dei comportamenti sessuali. In secondo luogo mediante mezzi culturali. La sessualità è il primo terreno del “politicamente corretto”.

La navigazione nell’Immaterialesimo passerà dalla riappropriazione della produzione individuale dell’eros nelle sue diverse sfumature di sessualità, commozione, emozione, compassione, estasi, entusiasmo ed estetica. I soggetti dovranno produrre ed esprimere il loro eros, anziché reprimerlo o fruirne passivamente.

  1. Il piccolo gruppo come la sola struttura sociale a sovranità distribuita.

L’ultimo strumento che ci sembra cruciale per una navigazione nello spazio liquido del XXI secolo è il piccolo gruppo. Questa è la sola aggregazione umana a sovranità distribuita e partecipata. Solo la coppia può avere questo carattere, ma col limite di un  plurale a solo due soggetti.  La famiglia è un’aggregazione nella quale difficilmente i ruoli possono essere modificati. La condizione di figlio è ineludibile, e genera obbligatoriamente una diseguale distribuzione della sovranità. L’organizzazione è condannata alla disuguaglianza, perchè il suo fine è sempre più forte di ogni altra variabile. La comunità, come grande gruppo di piccoli gruppi, è caratterizzata dall’incontrollabilità dalle sue  dimensioni.

Il piccolo gruppo è lo spazio sociale più plurale ed insieme più controllabile da ogni membro, ed in esso il fine ed i mezzi possono essere tenuti sullo stesso piano. A condizione che funzioni, il piccolo gruppo è dunque lo spazio sociale da cui ripartire. Saper essere membro di un piccolo gruppo, saperlo far nascere e sviluppare, saperlo aiutare a  fronteggiare gli ostacoli e le crisi, sono competenze umane oggi più decisive che mai. Oggi che il singolo e la società sono in difficoltà, occorre ripartire da piccole aggregazioni intermedie e informali, isole o piattaforme galleggianti. Nelle quali ogni soggetto possa essere compartecipe responsabilmente, come sovrano e insieme come suddito. Il piccolo gruppo, va detto, non è una dimensione solo sociale, è anche una modalità di funzionamento intrapsichico. Solo chi ha un gruppo dentro può stare in un gruppo esterno, e viceversa. Ancora una volta, dobbiamo ricordare la specularità fra interno ed esterno, anzi la loro consustanzialità. Il piccolo gruppo è insieme fine e mezzo della pluralità.