DOMF - DOMANDE FREQUENTI
ESEMPI DI PREVENZIONE PRIMARIA E SECONDARIA
Valentina Battilana
Sono interventi di PP tutti quelli tesi a rimuovere le cause di un disagio, e sono interventi di PS tutti quelli tesi a rimuovere le ricadute. Per esempio il programma Alcolisti Anonimi è di Prevenzione Secondaria. I programmi di Prevenzione Primaria sono tutti quelli tesi a inibire l'iniziazione all'alcol, rafforzando la capacità di dire no dei singoli o diminuendo le stimolazioni sociali al consumo.
Cosa è il community work? Oggi va di moda parlare nella lingua imperiale, ma il "lavoro di comunità" è il lavoro sociale fatto verso la comunità, o con metodi della psicologia di comunità. A volte viene definito come "lavoro di rete". Psicologi, assistenti sociali, educaori, animatori che operano considerando la comunità come cliente fanno "community work".
Salve, sono Manuel Sedda sono uno studente in psicologia e vi scrivo perche vorrei avere delle informazioni sull'identita di uno psicologo di comunita e ciò che può fare a livello operativo senza avere nessuna specializzazione in psicoterapia. Vorrei anche sapere quale nazione europea è la piu efficente nel lavoro comunitario. Insomma avere chiare le prospettive di lavoro. in attesa di vostre notizie vi porgo i miei cordiali saluti.

Manuel Sedda
La psicologia di comunità non prevede una professione autonoma: è un modo di fare lo psicologo (non psicoterapeuta). Tutti i lavori in cui esiste uno psicologo, possono essere fatti secondo l'approccio di comunità. La psicologia di comunità ha due nazioni elettive: gli Usa e l'Italia. Solo che negli Stati Uniti è una cosa abbastanza seria, in Italia è fatta all'italiana. Per come stanno le cose oggi in Italia, è solo la psicoterapia ad avere un qualche beneficio corporativo (posti di lavoro garantiti, anche se sempre meno). Tutte le altre specializzazioni, compresa quella di comunità, sono meramente decorative.
Lavoro da 10 anni in una Comunità Riabilitativa Assistenziale
Psichiatrica, ad ottobre (...a 43 anni) discuterò la tesi sull'evoluzione
"dal manicomio al dopo di noi", sto preparando l'esame di Psicologia di
Comunità......il tutto mi dà continue conferme come la relazione PERSONA
(non condivido il termine individuo) contesto e comunità sia fondamentale per un benessere psicosociale.
Che ne pensate ?

Caro collega, la relazione tra soggetto individuale e soggetto comunitario non solo è fondamentale ma è "consustanziale". Il singolo è un frattale della comunità. nel senso che contiene (è costituito da) una comunità. La comunità è un insieme di gruppi, che sono un insieme di singoli. In termini psicosociali è solo un problema di
livello di definizione: l'individuo è una micro-comunità, la comunità è un macro-individuo. Per approfondire vedi qui:

http://www.psicopolis.com/Kurt/index.htm

http://www.edarcipelago.com/

A breve conseguirò una laurea in psicologia nell'ambito della ricerca mi piacerebbe specializzarmi in psicologia di comunità. Esistono a tal proposito scuole o corsi post lauream?
Devi chiedere all'Università. I corsi privati non servono professionalmente (perlatro nemmeno quelli universitari, ma almeno questi hanno un vago riconosciment)
Esistono scuole di specializzazione o corsi di perfezionamento post lauream a livello universitario o dottorati di ricerca in Psicologia di comunità non realizzati da scuole private?
Non ci risulta. Siccome sta iniziando un nuovo anno dovresti cercare presso le Cattedre di psicologia di Comunità di Padova o Roma.
Quali sono i riferimenti teorici del lavoro di strada? Domanda di Manuela Naccari

E' improprio parlare di riferimenti teorici su questa pratica. E' persino dubbio che il lavoro di strada sia un vero lavoro sociale: mancano infatti contratto e setting. Sembra semmai una pratica meramente assistenziale. Nel caso invece del lavoro sanitario " di strada", si tratta di un normale lavoro svolto in sede insolita.

Che rapporto c'è tra lavoro di comunità e cambiamento? (e soprattutto quale è il "cambiamento" atteso?)
Il lavoro di comunità è come tutti i lavori di intervento sociale, finalizzato al cambiamento. Anzi il cambiamento è l'unico obiettivo che legittima una pratica sociale. Il cambiamento atteso è la costruzione di comunità consapevoli e competenti, o meglio, la nascita di sistemi che abbiano una dimensione comunitaria. Specie oggi, non si tratta di sviluppare o promuovere le comunità, ma di farle nascere, sui detriti lasciati sul delta della Modernità. Nascita che non può ispirarsi a odelli esistenti ma che deve essere progettata creativamente.
Che rapporto c'è tra lavoro di comunità ed intervento politico?
Il lavoro di comunità riguarda la consapevolezza e le competenze, il lavoro politico dovrebbe attenere alla rappresentanza e al consenso. Purtroppo, oggi, consapevolezza e competenze sono considerati fattori eversivi rispetto alla politica delle oligarchìe dominanti e disturbanti per il quieto vivere della maggioranza.
Esiste ancora uno spazio (culturale, politico, relazionale, psicologico) per il lavoro di comunità?
Teoricamente enorme, praticamente nessuno. Per l'Impero "liquido" le comunità devono restare morte e se si creano devono essere inconsapevoli e incompetenti.
Quali sono le strategie per sviluppare comunità? Quali i partners? Quali gli ostacoli?
Le fasi dello sviluppo sono quelle di sempre, e riguardano ogni organismo dall'individuo alla società: autoriflessione, consapevolezza, competenza, progettazione, cambiamento. I partners siamo noi consulenti: l'attore dovrebbe essere la comunità nel suo insieme e nei suoi elementi (individui, gruppi, organizzazion, istituzioni). Gli ostacoli sono enormi: dai soprasistemi che vogliono dominare le comunità, alle comunità che non vogliono nascere, ai sottosistemi che si difendono in modo strenuamente corporativo.
A quando risale la nascita della psicologia di comunità italiana? E’ riconducibile ad un libro, ad un convegno o altro?

Mi piace pensare che la psicologia di comunità italiana sia nata una sera del 1979, dopo cena, sul terrazzo dell’ARIPS, durante un colloquio fra il sottoscritto, Donata Francescano e Margherita Sberna. L’anno precedente era uscito il primo titolo in italiano sul tema: il libro in cui la Francescato descriveva molto bene la storia e la geografia della psicologia di comunità americana, nata una ventina di anni prima. La serata concludeva il 1°Convegno Italiano “Psicologia di comunità-Psicologia del territorio”, tenuto a Mazzano (BS). I relatori erano: Dino Origlia (Univ.Parma), Donata Francescano (Univ.Roma), Giuseppe Bulgarini e Chiara Cominacini (CSZ –allora cosi’ si chiamavano le ASL- di Brescia), Paolo Tranchino (OO.PP. di Firenze), Raffello Martini (Arips e CSS di Lucca), Guido Contessa (Arips). Coordinava il Convegno Margherita Sberna, Presidente Arips. Nell’aprile 1979 era stato promosso da Arips il Comitato promotore della Divisione di Psicologia di Comunità nella SIPS – Società Italiana di Psicologia. Nel settembre 1979 ad Acireale, durante il Congresso della SIPS, dopo una battaglia molto aspra, fu approvata nella SIPS la Divisione di Psicologia di Comunità. Questo insediamento sociale della disciplina si dovette alla alleanza fra alcuni professionisti e la Francescato, in rappresentanza del mondo accademico. L’Ottobre del 1980 è stato il mese del 2° Convegno “Psicologia di Comunità - Psicologia del Territorio”. Ad esso hanno partecipato come relatori: Mike P.Bender (London Borough of Newham), Teresita Bachiorri e Maria (Comune di Roma), Rodolfo Brun (Comune di San Maurizio Canadese), P.Branca (Arips e C.M.S.R. di Milano), A.Palmonari e B.Zani (Univ. Bologna), l’équipe di P.Tranchina dei Servizi Psichiatrici Provinciali di Firenze; A.Rossati segretario della SIPS piemontese; oltre a G.Contessa, M.V.Sardella e M.Sberna dell’Arips stessa. Nel 1981 è uscito il secondo libro italiano sul tema: “Per una psicologia di comunità” a cura di G.Contessa e M.Sberna, con le maggiori relazioni dei due Convegni promossi da ARIPS. A cavallo fra il 1979 e il 1981 Arips sperimentava uno dei primi grandi progetti di psicologia di comunità, alla ricerca di un modello di intervento contro le tossicodipendenze (progetto M.I.TO.), nel Quartiere di Sampierdarena a Genova, su commissione del Servizio Salute Mentale locale. Ad esso in venticinque anni sono seguiti circa 50 progetti di comunità, gestiti da Arips. (Tutte queste notizie sono in Contessa G., Sberna M. “Psicomunita’”, Ed Arcipelago, 2000)

Qual era il clima culturale che si respirava in Italia negli anni in cui nacque la psicologia di comunità?

Iniziava il Welfare State all’italiana mentre si stava uscendo del picco degli “anni di piombo”. Il paese stava mettendo al centro la necessità di sostenere la crescita e la salute, in parallelo alla rigenerazione dei territori. La psicologia di Comunità ha avuto un avvìo relativamente breve perche’ rispondeva a questo secondo bisogno: rigenerare i tessuti territoriali come strategìa per lo sviluppo e la salute dei cittadini. Il clima culturale della SIPS era largamente dominato dalla leadership accademica che non dava alcuna importanza alle istanze professionali. La battaglia ad Acireale fu vinta grazie al fatto che l’ala professionale (Contessa, Sberna, Fasce, Berra, ecc.) accettò di lasciare il controllo per l’avvìo della divisione a Donata Francescano, come garante per l’università. La spaccatura concordata allora per motivi tattici non e’ stata ancora risanata. Ancora oggi quelli che come professionisti fanno Psicologia di Comunità sono estranei a coloro che la praticano per motivi accademici.

Quali erano i principali riferimenti teorici (autori, concetti, modelli) in quegli anni?
Allora come oggi, le correnti sono due. La prima maggioritaria è quella che ha al centro l’individuo e considera la comunità come contesto, contenitore, supporto. Questa corrente ha come leadership Donata Francescano e il mondo accademico in genere. La seconda, minoritaria, mette al centro la comunità come oggetto di studio e soggetto dell’intervento. Questa corrente ha come primo rappresentante il gruppo Arips.
In che modo le sembra che sia cambiato negli anni il settore della psicologia di comunità italiana? (per esempio, è cresciuto dal punto di vista delle applicazioni, sono mutati i principali riferimenti teorici, o altro?)
La Psicologia di Comunità è stata la psicologia con maggiore sviluppo nel panorama italiano, dell’intero secolo. Dalle prime riflessioni alle cattedre universitarie è passato meno di un decennio. Si può dire che ormai è minoritario l’intervento psicologico individuale, senza sensibilità ambientale. Tutti gli interventi commissionati da enti pubblici o locali sono ormai di comunità. Tutti i progetti finanziati dalla UE sono di comunità. Non c’è stato un grande sviluppo nella ricerca, ma ce ne è stato uno enorme nelle applicazioni: progetti giovani, progetti di prevenzione, progetti di promozione, progetti di sviluppo territoriale e di partecopazone urbana sono tutti riconducibili alla matrice della psicologia di Comunità. Ormai si può dire che tutta la psicologia applicativa, non psicoterapeutica, sia “di comunità”. Di fatto sono ancora attivi i due approcci dell’inizio. Quello che parte dal singolo e che coinvolge il territorio, cioè che considera la Psicologia di Comunità come un metodo, e quello che mette il singolo sullo sfondo per focalizzarsi sulla “figura” della comunità.
Analizzandone lo sviluppo e l’evoluzione, si possono evidenziare dei punti di debolezza del movimento della psicologia di Comunità italiana?

L’unico punto di debolezza dell’approccio, non del movimento che non è, di psicologia di Comunità, è comune a tutte le pratiche (psicologiche e non) di cambiamento. Nel primo decennio la pratica di comunità si e’ espansa vorticosamente, ma dai primi Anni Novanta ha cominciato a subire una contrazione non quantitativa, ma qualitativa. L’Italia, e l’Occidente in genere, ha iniziato un percorso di conservazione quando non di pura reazione, per cui ogni pratica di cambiamento (animazione, educazione, sensibilizzazione, formazione, prevenzione, ricerca, orientamento) ha sofferto di un progressivo svuotamento. Da quasi quindici anni, la maggioranza degli operatori del cambiamento ha assunto un ruolo meramente decorativo, quando non espressamente repressivo. Il lavoro del cambiamento è divenuto materialmente impossibile, ed è stato sostituito da quella della pura assistenza. Tutte le pratiche sociali hanno iniziato una vistosa decadenza, visibile nella generale dequalificazione delle professionalità e nella rarefazione della ricerca e degli eventi culturali. L’ordine degli psicologi è stata la pietra tombale del processo degenerativo, avendo di fatto risucchiato tutte le forme associative della professione.

Come si può definire il concetto di comunità locale e il suo sviluppo?
La comunità è soprattutto un vissuto, non uno spazio amministrativo. Per semplificazione facciamo spesso coincidere la comunità locale con dei confini amministrativi: quartiere, comune, comprensorio, ecc. ma subito osserviamo che raramente comunità di appartenenza e comunità amministrativa coincidono. Il lavoro della psicologia di comunità è appunto tentare di farle coincidere, ma si tratta di progetto e non di punto di partenza.
Per approfondire consigliamo, oltre che questo sito, la lettura di "Psicomunità"