Le scuole italiane hanno, a seguito dei noti interventi legislativi,
introdotto delle forme di autonomia organizzativa e didattica. Quali
ipotesi potrebbero essere praticabili pensando ad un nuovo disegno
organizzativo della scuola dellautonomia; di quali
strutture potrebbe dotarsi per migliorare la propria capacità
di gestione?
Il termine autonomia rimanda facilmente a quello di
indipendenza. Se le scuole interpretassero lautonomia
in questo modo sarebbe una iattura. Una scuola del XXI secolo poggia
il suo sviluppo su una interpretazione dellautonomia nel senso
di indipendenza dal centro (rete verticale) ma di inter-dipendenza
col contesto (rete orizzontale). La nuova scuola dunque dovrebbe
soprattutto dotarsi di strutture di interconnessione, interdipendenza,
partnership, cooperazione e negoziazione reticolare.
Tali strutture devono basarsi su specifiche competenze umane e professionali
e su una ampia diffusione delle tecnologie informatiche.
In termini di competenze umane e professionali, la scuola dellautonomia
deve qualificare la propria gestione attraverso strumenti come il
marketing sociale, la negoziazione, la documentazione e la comunicazione.
La strumentazione informatica deve pervadere non solo lorganizzazione
ma anche la didattica, in modo che sia gli studenti sia la scuola
diventino tanti nodi puntuali di una rete intranet e internet.
La parola chiave della scuola dellautonomia è contatto.
Può sembrare paradossale, ma una scuola strettamente integrata
nel sistema gerarchico soffre di un forte isolamento, causato dalla
logica della parcellizzazione e compartimentazione che ispira tutte
le mega-burocrazie. Dare autonomia alla scuola significa darle lopportunità
di creare allacciamenti, sinapsi, connessioni a 360 gradi.
Una scuola autonoma è in contatto permanente
con altre scuole dello stesso territorio o dello stesso grado ma
altri territori (anche extra-nazionali); con le istituzioni civiche;
con altre agenzie educative, culturali o comunque operanti per il
benessere e la crescita dei minori e dei giovani; con i mass media;
col mondo del lavoro attuale e locale, ma anche potenziale e globale.
Il contatto può essere finalizzato allo scambio informativo,
ma anche alla creazione di partnership temporanee o permanenti.
Malgrado la legislazione scolastica abbia tentato con vari strumenti
(per es.: gli Organi Collegiali) di avvicinare la scuola alla comunità,
il processo non si è mai davvero realizzato. Ogni plesso
scolastico è stato finora più il terminale della maga-macchina
ministeriale che un centro di ascolto e promozione della comunità
locale. Questo ha di fatto schiacciato la scuola, e dunque la formazione,
in un ruolo di integrazione piuttosto che di promozione. La integrazione
è qualcosa che viene dopo lo sviluppo e cerca di trasferire
la cultura dal centro alla periferia. La promozione al contrario
è una funzione formativa anticipatoria, che fa crescere le
risorse locali ponendosi come motore di sviluppo. La scuola, la
formazione in generale, devono interpretare entrambi i ruoli: integrativo
e promozionale. Per fare ciò è indispensabile unautonomia
che si esprime in una capacità di contatto a
tutto campo.
Lautonomia interpretata come interdipendenza ha oggi la possibilità
di realizzarsi grazie alle tecnologie informatiche, ma ciò
non avverrà se la gestione di queste non sarà basata
su solide competenze umane e professionali.
La gestione delle risorse umane e un elemento essenziale
per il governo di sistemi organizzati. Quale direzione potrebbe
prendere una moderna gestione delle risorse umane in un sistema
scolastico che, come sappiamo, ancora non ha la completa e decentrata
capacità di gestire in autonomia le proprie risorse umane?
Il mondo della scuola, totalmente estraneo a quello dellimpresa,
ha sempre fantasticato sulla libertà da parte
delle organizzazioni produttive, ed ha sempre lamentato la propria
limitazione nella gestione delle risorse umane. Si tratta però
di una fantasia. La completa e decentrata capacità
di gestire in autonomia le proprie risorse umane non esiste
in nessun Paese moderno e democratico. La capacità di un
management si misura in base ai risultati ottenuti, mediante una
forza lavoro e un insieme di vincoli dati. Lidea di mettere
luomo giusto per il posto giusto è stata
un mito degli albori dellindustrialesimo, presto smentito
dai fatti oltre che dalle teorie. Nessuna impresa trova sul mercato
la forza lavoro che cerca, come nessun dirigente scolastico trova
nel Collegio i docenti che sogna.
Per cominciare, esiste un mercato delle competenze che è
in larga parte (non totalmente) costruito dal sistema formativo
e che fornisce operatori con caratteristiche molto criticate dalle
stesse imprese. La scuola è nelle stesse condizioni dellimpresa:
le servirebbero ottimi docenti, che però non esistono sul
mercato. E chi dovrebbe immettere gli ottimi insegnanti sul mercato,
se non il sistema formativo?
In secondo luogo esiste una logica del lavoro, per la quale le competenze,
le prestazioni, la retribuzione, il prestigio e lagio lavorativo
dovrebbero andare di pari passo. Se una organizzazione, impresa
o scuola che sia, non è in grado di rendere coerenti i fattori
sopra indicati, non può aspirare di attrarre le risorse umane
più qualificate. Un soggetto molto competente nella gestione
dei processi formativi trova sul mercato posizioni di lavoro più
soddisfacenti per qualità, compenso, prestigio e agio. La
stessa logica vale per le organizzazioni formative private, le imprese
culturali, il mondo del lavoro in genere.
In terzo luogo, ogni paese moderno e democratico dispone di una
legislazione che tutela lautonomia, la dignità, i diritti
della forza lavoro, talché il management non può neanche
lontanamente pensare ai lavoratori come a pezzi di ricambio
da sostituire se non funzionano bene. La metafora della macchina
organizzativa poteva forse essere valida nel XIX secolo. Oggi
ogni organizzazione è un organismo vitale, le
cui parti componenti possono essere riparate, sostituite, protesizzate
o trapiantate con molte difficoltà e grandi rischi.
Ogni dirigente competente sa che deve ottenere risultati con le
risorse che ha, e non con quelle che vorrebbe avere. Il che rimanda
alla capacità di un dirigente di estrarre il meglio dalle
persone e di gestire l organizzazione come insieme e non come
assemblaggio di porzioni. Una scuola che funziona male, testimonia
la presenza di un dirigente poco competente. Motivazione, coordinamento,
controllo e strategia sono i mattoni basilari del sapere dirigere
ogni organismo vivente come la scuola, limpresa
o la comunità.
Quale posto potrebbe occupare, in un rinnovato disegno organizzativo
scolastico, una figura professionale identificabile nel middle management
(funzioni obiettivo, gruppi di progetto, ecc.)?
La tendenza di tutte le organizzazioni dellEvo Immateriale
è la riduzione dei livelli gerarchici. Lorganizzazione
piatta, fatta di piccoli gruppi connessi orizzontalmente
e centrati sui risultati, fortemente interdipendente col contesto
locale e globale, con tutte le funzioni più esterne al nucleo
istituzionale attribuite in outsourcing, è quella più
adatta a navigare nelloceano dellImmaterialesimo. Quindi
niente middle management inteso come ruolo stabile e
differenziato.
Questa logica è tanto più necessaria quanto più
loggetto produttivo, la mission organizzativa, le competenze
in gioco sono immateriali. Nel campo dellimmateriale la distanza
fra oggetto prodotto, soggetto produttore e soggetto fruitore si
riduce vistosamente. La scuola produce qualcosa (apprendimento,
crescita, integrazione) che non viene fatto da un soggetto perché
ne fruisca un altro soggetto. La scuola crea e vende
un prodotto, che comprende anche il suo modo di essere, che si perfeziona
solo grazie al decisivo contributo dellallievo fruitore, e
mediante una alleanza col contesto. Tutto ciò non avviene
per parcellizzazione, delega e gerarchia, che sono i principi dellorganizzazione
piramidale.
Il concetto di libertà di insegnamento non è solo
un valore politico. E soprattutto una profetica valutazione
della impossibilità di comandare il lavoro immateriale.
Questo tipo di lavoro raggiunge la qualità solo se chi lo
fa ne è anche, in larga misura, sovrano, cioè libero
di agire e responsabile degli effetti delle sue azioni. Cè
qualche dirigente che è riuscito a imporre a un docente qualcosa
di più che il rispetto dellorario e delle incombenze
burocratiche? Chiunque abbia tentato questa strada sa bene che non
produce frutti. I comandi vengono disapplicati, o applicati in modo
maldestro, perché chi lavora nel settore immateriale deve
sentire coerenza fra ciò che fa, ciò che sa e ciò
che è.
Invece di creare figure specializzate (esperienza peraltro sempre
fallita nella scuola), occorre pensare ad allargare le mansioni
e le competenze di tutti i docenti. La maggior parte dei docenti
interpreta il proprio lavoro come una serie di lezioni, prove e
valutazioni. Ma la formazione è ben altro. Ricercare, progettare,
pianificare, raggiungere obiettivi, valutare risultati, documentare,
socializzare il proprio lavoro, non sono compiti straordinari, ma
funzioni del lavoro formativo. La congerie di compiti percepiti
come lontani dalla mission scolastica ( interventi verso disabilità,
dispersione, prevenzione, educazioni specializzate, ecc.) in qualche
caso lo sono davvero: ed allora si deve e può affidarne la
responsabilità ad organizzazioni esterne (oursourcing). Ma
più spesso si tratta solo di questioni e prospettive necessarie
ad una formazione che si fa in questo secolo e non nellOttocento.
Non occorre inventare progetti speciali da assegnare
a ruoli particolari, o a commissioni o gruppi di lavoro la cui inutilità
è arcinota. Occorre invece assumere compiti e competenze
trasversali che devono permeare lintera organizzazione, e
dunque devono essere condivisi e fatti propri da tutti gli operatori.
Questo non impedisce che si creino task forces (gruppi di lavoro
temporanei e legati ad un risultato) o funzioni individuali di coordinamento,
stimolo, supporto. Ma occorre garantire che questi incarichi siano
temporanei, molto distribuiti fra tutti gli operatori, ed assolutamente
legati ad un risultato verificabile. Ogni docente dovrebbe considerare
come parte integrante del proprio lavoro non solo la lezione, le
prove e le valutazioni, ma anche tutte quelle funzioni che lorganizzazione
scolastica fa proprie per qualificare la mission formativa, in un
dato contesto ed in questo tempo.
La leadership ha conosciuto molteplici declinazioni nel corso degli
ultimi 50 anni. Quali possono essere le forme di leadership più
efficaci per un dirigente scolastico che voglia, ai nostri giorni,
gestire una scuola?
Dire che occorre una leadership democratica o partecipativa è
vero quanto insufficiente. I termini democratico e partecipativo
sono stati in anni recenti interpretati soprattutto come alibi per
la elusione di responsabilità. I dirigenti scolastici lamentano
la loro impossibilità a punire o addirittura licenziare i
docenti meno competenti e volonterosi, ma dimenticano che se tale
libertà esistesse per loro, dovremmo darla a qualche autorità
anche nei loro confronti. Quanti dirigenti possiedono le competenze
per il posto che occupano? In questi anni, il male peggiore della
scuola non sembra sia stato leccessivo grado di autoritarismo
dei dirigenti, ma al contrario la loro scarsa propensione ad assumere
responsabilità, a perseguire la qualità, a dare unità
e direzione allorganismo scolastico.
Certamente, la questione del consenso è cruciale. Non si
dirige alcunché senza avere il consenso dei sottoposti, dei
partners, del contesto, dei clienti e degli utenti.
In questo senso possiamo parlare della necessità di una leadership
democratica e partecipativa. Tuttavia abbiamo registrato in questi
anni le peggiori ingiustizie ed inefficienze, in nome del consenso.
Dirigenti che si garantiscono il consenso di docenti, facendo finta
di non vedere che il loro primo lavoro è fuori dalla scuola,
mentre trattano come una sinecura quello scolastico. Dirigenti che
mantengono la pace sociale con la comunità, stando genuflessi
davanti al Sindaco. Dirigenti che si guadagnano il consenso delle
ASL, facendo fare agli psicologi il lavoro degli insegnanti. Dirigenti
che ottengono il consenso della comunità, gestendo la scuola
come un luogo privato e segreto. Dirigenti che in nome
della democrazia scolastica fingono di non cogliere
i livelli di violenza e insensibilità civica diffusi fra
molti allievi.
La competenza di un dirigente (scolastico o no) si misura dalla
sua capacità di coniugare il consenso con le regole e con
i risultati. Il consenso senza regole si chiama complicità,
omertà e collusione. Il consenso senza risultati produce
inefficienza e inefficacia. Daltro canto è vero che
legalità e risultati non sono mai ottenibili senza un certo
grado di consenso.
In sintesi possiamo definire lo stile di leadership di un dirigente
come democratico e partecipativo, col vincolo del rispetto delle
regole e della qualità dei risultati. Il vecchio termine
per definire questa leadership era: autorevole.
Stante le riflessioni svolte in materia di nuova organizzazione
degli istituti scolastici e nuova leadership da attribuire ai dirigenti
scolastici, quali sono le competenze che possiamo indicare come
irrinunciabili per chi voglia accingersi a gestire con efficacia
ed efficienza un istituto scolastico?
Le competenze, intese come capacità umane e professionali,
variano in base al contesto spaziale e temporale in cui devono essere
espresse. In senso astratto e generale il dirigente deve saper stimolare,
coordinare e valutare le risorse di cui dispone in relazione ad
una strategìa. Il lato debole della definizione è
il versante strategico. Il dibattito sulla scuola è da decenni
fermo a questioni formali come i cicli, gli esami, le discipline,
le valutazioni. Pochi sembrano interessati a discutere quale deve
essere il ruolo della scuola nel XXI secolo. Si tratta di un deficit
politico, etico e strategico. Lautonomia porrà dinnanzi
ai dirigenti un compito difficile quanto necessario: costruire il
senso della scuola insieme allorganizzazione ed
al contesto. La prima competenza (meta-competenza) è quella
di saper promuovere un esteso e approfondito dibattito, tra tutti
gli attori interessati, su quale ruolo la scuola debba avere oggi
in un certo contesto. Purtroppo, il modo con cui sono stati costruiti
i POF, i PEI, le Carte dei Servizi testimoniano di una buona occasione
sprecata, e di una competenza assente. La seconda meta-competenza
oggi necessaria è quella relativa ad una immissione
di energia nella scuola e verso la scuola. E evidente
il fenomeno odierno della perdita di interesse verso la scuola.
Alla vistosa depressione e al diffuso disinvestimento interno alla
scuola, si assomma un evidente dirottamento dellattenzione
da parte della società dalla scuola ad altre forme di acculturazione
e istruzione. I mass media, le tecnologie informatiche, le organizzazioni
formative ed educative extrascolastiche hanno in parte vicariato
le cadute di energia della scuola, ed in parte le hanno aggravate.
Oggi servirebbero dirigenti capaci di riaccumulare capitale energetico
dentro la scuola e intorno ad essa. Tale operazione purtroppo richiede
coraggio, rischio, spiazzamento, confronto e forse conflitto. In
una società che fa dellevitamento e dellelusione
la sua base, il conflitto è il diavolo e molti dirigenti
preferiscono fare i notai della dolce morte della scuola sotto anestesia
e narcosi.
Se voliamo più bassi e pensiamo alle competenze minime del
dirigente scolastico oggi, possiamo indicarne due. La prima è
la competenza relativa allo sviluppo ed alla valorizzazione del
capitale umano e intellettuale. Non esiste alcuna possibile mutazione
di un organismo immateriale come la scuola , senza una crescita
effettiva della forza lavoro. I docenti sono lunico capitale
della scuola: va arricchito, motivato, indirizzato, supportato e
monitorato. Il dirigente ottiene i suoi risultati mediante i docenti:
il suo primo compito è ottenere il meglio da questa risorsa.
La seconda è la competenza dellambasciatore: la gestione,
o meglio lapertura, dei confini dellorganismo scolastico.
I confini sono insieme barriere che ostacolano e frontiere da superare;
sono porte che escludono, ma anche finestre che guardano. Il dirigente
oggi deve essere competente nei processi di connessione, dallinterno
allesterno e viceversa. Portare fuori dalla scuola il capitale
intellettuale accumulato da docenti e allievi, e portare dentro
la scuola gli stimoli e le risorse che possono sviluppare il capitale
interno.
Nel nuovo sistema di formazione integrato quale ruolo culturale
e formativo ritiene debba avere la scuola di base?
Voglio insistere sul fatto che i problemi della scuola non sono
economici, strutturali o normativi. Non sono nemmeno legati alle
discipline: inserire una seconda lingua o due ore di informatica,
far leggere o no gli autori moderni, sono questioni del tutto irrilevanti.
Confrontarsi su questi problemi equivale a discutere, durante un
incendio o un terremoto, se sia opportuno cambiare la disposizione
delle poltrone in salotto o comperare una nuova fioriera per il
balcone.
La scuola di base ha il compito di dare forma a un soggetto
capace di lavorare e vivere nel XXI secolo. E va sottolineato che,
a causa dellindebolimento della famiglia e delle agenzie educative
tradizionali nonché a causa della frantumazione delle comunità
territoriali, la scuola resta lunica agenzia orientabile attrezzata
per i processi di sviluppo, istruzione e integrazione. Non che questi
processi siano delegati alla sola scuola. Anzi, è in atto
un evidente slittamento dalla scuola, come centro della formazione,
allextra-scuola (mass media, tecnologie informatiche, stages
aziendali, soggiorni allestero, masters). Il fenomeno del
web è un esempio eclatante di un apprendimento avvenuto per
via spontanea e fuori da ogni istituzione formativa formale. Solo
che la scuola (anche se privata) è la sola agenzia orientabile,
cioè influenzabile e controllabile, dallutenza e dalla
comunità.
Quale forma deve avere un soggetto capace di lavorare e vivere nel
XXI secolo? E a tutti evidente che a cavallo del Millennio
sta avvenendo in Occidente una mutazione antropologica di portata
epocale. La concomitanza delle trasformazioni geo-politiche e tecnologiche,
sta producendo macro-fenomeni come la smaterializzazione e la globalizzazione
dei modi di pensare, vivere, socializzare, produrre, lavorare, commerciare.
Non è questione di continuare a pensare come nel Novecento,
mentre si chatta con lultima novità telematica. Il
fatto è che londa del cambiamento è talmente
impetuosa e pervasiva da creare limperativo di un tipo di
essere umano del tutto differente.
LEvo Moderno (quasi 3 secoli, dal XVIII al XX) era organizzato
su valori e strutture che richiedevano competenze come: omogeneità,
appartenenza, specializzazione, precisione, razionalità,
continuità, realismo. La scuola di base ha bene interpretato
la sua funzione di fornitrice di esseri umani coerenti con la Modernità,
in alleanza con la famiglia, la terza agenzia educativa, la comunità
territoriale, la società nazionale. LEvo Immateriale
(già profilato negli ultimi decenni del millennio) si sta
organizzando intorno a valori e strutture diversi dai precedenti
(spesso opposti). La vita e il lavoro nella nuova Era richiedono
competenze basiche come: autonomia, intrapresa, negoziazione, capacità
di gestire la complessità e la pluriappartenenza, competenza
emozionale, creatività e originalità, interdipendenza
e connessionismo.
Non è una evoluzione o una digressione, ma un salto, una
mutazione, una riformulazione antropologica del modo di essere umani,
di lavorare e di vivere con gli altri. La scuola di base deve affrontare
questi temi e trarne le conseguenze. Vediamo alcuni esempi.
Da quasi mezzo secolo la scienza ha abbandonato le strette divisioni
disciplinari. Sono nate decine di scienze intermedie (come la psico-pedagogia
o psico-neuro-immunologia) e decine di scienze integrative (come
la scienza del caos o della complessità). Che senso ha la
divisione per discipline nella scuola?
Cosa significa impostare la scuola sulla dipendenza degli orari,
delle cattedre, delle classi quando la capacità più
richiesta oggi è lautonomia, la costruzione, lintrapresa?
La gran parte dellattività scolastica oggi è
ancora legata alla lezione frontale ed è perciò affidata
a docenti: nessuno sembra essersi accorto che tutti
i percorsi formativi extrascolastici (Internet docet) si basano
su animatori di apprendimento e processi peer
to peer?
Laddove la famiglia, la terza agenzia e il territorio sono sempre
meno in grado di gestire un ruolo educativo, non è giunto
il momento di fare delleducazione qualcosa di più di
un compito residuale nella scuola (che è lunica entità
a operare coi minori per 5 ore al giorno, 5 o 6 giorni alla settimana
per circa 30 settimane lanno)?
Dal momento che lImmaterialesimo vive di immagini, simboli,
estetica ed emozioni, come mai la scuola è ancora centrata
sulla scrittura e la logica?
Il rapporto fra scuola e lavoro non deve essere ripensato, dal momento
che il lavoro non è più centrale nei processi di socializzazione
e integrazione sociale?
E lo sviluppo socio-economico che aiuta la scuola a svilupparsi,
oppure possiamo pensare a un tipo di scuola di promuova lo sviluppo
socio-economico?
Le questioni da porre sarebbe decine ma tutte riconducibili a questo
ragionamento: se la scuola deve preparare le competenze di base
per vivere e lavorare in questo secolo, perché si basa sugli
stessi principi ispiratori di un secolo fa?
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