Riportiamo i risultati del questionario sul burnout
degli psicoterapeuti. Data la relativa esiguità delle risposte,
a fronte di una ampia pubblicizzazione, riteniamo tali dati sicuramente
significativi anche se non tali da poterli utilizzare in senso statistico.
Vorremmo sottolineare che le risposte sono risultate sempre anonime
(come avevamo richiesto) e quindi è da considerarsi un campione,
per quanto ristretto, di una situazione media nazionale.
Vorremo sviluppare ulteriormente la ricerca con un questionario
modificato, anche sulla base di osservazioni che alcune domande,
troppo aperte, potevano lasciare un margine di non chiarezza.
Alleghiamo i contributi liberi forniti dai colleghi nella sezione
peer review. Per il futuro, ci auguriamo che i contributi
liberi siano più numerosi e soprattutto che, solo per questo
aspetto, non ci fosse lanonimato. Questo potrebbe costituire
una prima piattaforma di discussione iniziale.
Sono state considerate accettabili per completezza (numero minimo
di item disattesi) e adeguatezza 88 risposte (52 online e 36 da
questionari cartacei).
Lanalisi di queste risposte ha evidenziato una situazione
di difficoltà ampiamente diffusa, con notevoli aspetti di
gravità. In tabella I sono mostrate le domande, con le relative
risposte, che meglio descrivono questo quadro. 76 terapeuti (86,36
%) hanno riferito di essere entrati direttamente in contatto con
colleghi in difficoltà, e 40 (45,45%) hanno ammesso di conoscere
colleghi che presentano o hanno presentato situazioni psicopatologiche
gravi, come tentativi di suicidio, alcolismo, abuso di stupefacenti
o disturbi del comportamento tali da compromettere la deontologia.
![](../images/ScreenHunter_002.jpg)
Alla richiesta di descrivere le difficoltà maggiormente
riscontrate tra i colleghi, le risposte hanno mostrato come questo
campo sia ampio e variegato, e contenga problematiche comuni, come
difficoltà nei rapporti interpersonali, ansia,
insonnia, demotivazione, ma anche quadri
psicopatologici veri e propri, come Depressione, Disturbi psicosomatici,
Disturbi di Personalità, Abuso di Sostanze, Sindromi Dissociative.
Alla specifica domanda riguardante il numero dei colleghi conosciuti
con situazioni psicopatologiche gravi (riportate in precedenza e
citate esplicitamente nel questionario), la maggior parte dei terapeuti
(57%) ha risposto che si tratta comunque di un fenomeno contenuto,
compreso tra 1 e 3, anche se non privo di significato.
A fronte della consapevolezza di questa vasta, seppur piuttosto
disomogenea, presenza di difficoltà tra gli psicoterapeuti,
è singolare il fatto che ad un numero notevole di terapeuti
(ca. 65%), non sia stato chiesto alcun tipo di aiuto, mentre i restanti
(ca. 35%) hanno potuto offrire la propria competenza professionale
nelle forme classiche del sostegno, della terapia psicofarmacologica,
della presa in carico o dellinvio presso altri professionisti.
![](../images/ScreenHunter_003.jpg)
Abbiamo investigato quali fossero le motivazioni sottostanti la
reticenza con cui gli psicoterapeuti sembrano affrontare questo
tema e abbiamo ricondotto le risposte a 4 dinamiche sottese a questa
condotta. La dinamica maggiormente rappresentata (48% ca. delle
risposte) sembra essere il senso di onnipotenza, frequentemente
accompagnato da un vissuto di vergogna (30% ca. delle risposte).
È evidente che lo psicoterapeuta ha unimmagine di sé
fortemente idealizzata (legata sia a fattori culturali sia a una
carenza formativa) e pertanto non può ammettere di poter
avere situazioni di malessere. Un fattore importante, che appare
nel 27% ca. delle risposte, è rappresentato dal timore di
perdita di identità professionale, mentre solo pochi terapeuti
(19,32%) sembrano dar peso alle carenze formative come origine della
scelta di non esprimere ai colleghi le proprie difficoltà
personali. Questo dato è molto significativo perché
indica la scarsa consapevolezza dellimportanza di una valida
formazione personale (training personale di psicoterapia) per poter
esercitare una tale professione.
La maggior parte dei terapeuti (69÷85%) ha valutato che le
situazioni di allarme proposte sono effettivamente indicative di
una caduta dellefficienza lavorativa in psicoterapia.
![](../images/ScreenHunter_004.jpg)
La tabella III riporta i dieci segnali di allarme proposti nel questionario,
con le percentuali degli psicoterapeuti che le hanno considerate rappresentative
di disagio. Si possono notare alcune differenze nelle opinioni espresse
dai terapeuti in favore delle diverse situazioni, ed è possibile
separare un gruppo, costituito da 7 elementi (senso di impotenza/inutilità,
diminuzione della motivazione, difficoltà di memorizzazione,
distraibilità, riduzione dei pazienti, influenza negativa di
fattori personali, malattie psicosomatiche) che raccoglie consensi
intorno all80%, da un secondo gruppo costituito dai restanti
3 elementi, che raccoglie consensi in quantità inferiore (dal
68 al 77%), con una differenza statisticamente significativa. Va segnalato
che i fattori maggiormente considerati sono il senso di impotenza/inutilità
e la diminuzione della motivazione, strettamente connessi con la definizione
clinica ed operativa della burnout syndrome. Se si considerano i pesi
attribuiti a questi diversi fattori di allarme, possiamo grossolanamente
riscontrare un andamento delle mediane che riproduce quello delle
preferenze dicotomiche, pur dovendo necessariamente rilevare due importanti
eccezioni: agli elementi assunzione di stupefacenti e aumento del
consumo abituale di alcolici viene infatti attribuito un peso molto
alto, espresso da una di mediana di 9 per il primo e di 7 per il secondo,
che assume il medesimo valore dei fattori chiave senso di impotenza/inutilità
e diminuzione della motivazione. Se da una parte, dunque, cè
una tendenza a riconoscere questi due elementi come indicativi di
un disagio professionale in misura minore rispetto agli altri elementi,
dallaltra chi li ritiene tali attribuisce loro un peso molto
alto. Il segnale dallarme che colpisce maggiormente è
dunque lassunzione di stupefacenti, che da una parte trova quasi
1/3 delle risposte che non ne rileva limportanza, e dallaltra
1/4 delle risposte che gli attribuisce importanza massima (10).
Il secondo aspetto che emerge dalla Tabella III consiste nel fatto
che, comunque, una percentuale non esigua (15-31%) di psicoterapeuti
ha considerato tali segnali privi dimportanza nellambito
del disagio professionale. Abbiamo cercato di analizzare questo dato,
e sembra che la percezione dellimportanza delle diverse situazioni
dallarme sia indipendente dalle variabili personali (età,
età di inizio dellattività, durata della professione),
professionali (tipologia di formazione, settore di lavoro, ore lavorative
mensili) e dal fatto di aver conosciuto colleghi in difficoltà,
colleghi con gravi situazioni psicopatologiche, o dallessere
intervenuti in queste situazioni.
![](../images/ScreenHunter_005.jpg)
Un elemento che emerge fortemente dalle risposte è
la notevole fiducia espressa dai terapeuti nei confronti della possibilità
di affrontare e prevenire questo fenomeno. Il 98% ritiene che sia
possibile affrontare il disagio dei colleghi, una quota minore (88,64%)
ritiene che sia possibile prevenirlo.
È interessante considerare che gli strumenti preventivi segnalati
nelle domande aperte abbracciano campi molto diversi, che vanno
dalla maggior selettività nellambito del corso di laurea
e di specializzazione, alla possibilità di estendere i momenti
formativi a tutto il periodo dellattività professionale,
alla necessità di infrangere il tabù dellonnipotenza
dello psicoterapeuta (Tabella V).
![](../ScreenHunter_006.jpg)
Il nostro studio preliminare ci ha permesso di rilevare che il fenomeno
del burnout, e in senso lato, il problema del disagio professionale
e personale dello psicoterapeuta, rappresenta una realtà
ampia e, in alcuni casi, grave, caratterizzata da elementi peculiari
che sono profondamente connessi a fattori specifici di questa professione.
Abbiamo riscontrato che la maggior parte degli psicoterapeuti conosce
colleghi in difficoltà, che a pochi è stato chiesto
aiuto, e che le motivazioni sottostanti alla reticenza ad affrontare
il disagio personale sono considerate connesse a dinamiche patologiche
di onnipotenza e vergogna tipiche espressioni di bassa autostima.
A nostro avviso queste dinamiche potrebbero ricalcare, nella dimensione
intrapsichica del terapeuta, limmaginario diffuso che propone
il terapeuta come invulnerabile, costringendolo contemporaneamente
a un ruolo insostenibile e allimpossibilità di chiedere
aiuto. Alcuni risultati del nostro studio come il fatto che
una quota significativa di psicoterapeuti non riconosca limportanza
di elementi come la perdita di motivazione o la sensazione di impotenza/
inutilità permettono di ipotizzare che fattori analoghi
possano agire anche nella percezione dellinsoddisfazione professionale,
ma per stabilire quali siano fattori e come siano connessi alle
esperienze di disagio sono necessari ulteriori indagini, specificamente
a carattere epidemiologico.
Il nostro studio preliminare ci ha permesso di rilevare che il
fenomeno del burnout, e in senso lato, il problema del disagio professionale
e personale dello psicoterapeuta, rappresenta una realtà
ampia e, in alcuni casi, grave, caratterizzata da elementi peculiari
che sono profondamente connessi a fattori specifici di questa professione.
Abbiamo riscontrato che la maggior parte degli psicoterapeuti conosce
colleghi in difficoltà, che a pochi è stato chiesto
aiuto, e che le motivazioni sottostanti alla reticenza ad affrontare
il disagio personale sono considerate connesse a dinamiche patologiche
di onnipotenza e vergogna tipiche espressioni di bassa autostima.
A nostro avviso queste dinamiche potrebbero ricalcare, nella dimensione
intrapsichica del terapeuta, limmaginario diffuso che propone
il terapeuta come invulnerabile, costringendolo contemporaneamente
a un ruolo insostenibile e allimpossibilità di chiedere
aiuto. Alcuni risultati del nostro studio come il fatto che
una quota significativa di psicoterapeuti non riconosca limportanza
di elementi come la perdita di motivazione o la sensazione di impotenza/
inutilità permettono di ipotizzare che fattori analoghi
possano agire anche nella percezione dellinsoddisfazione professionale,
ma per stabilire quali siano fattori e come siano connessi alle
esperienze di disagio sono necessari ulteriori indagini, specificamente
a carattere epidemiologico.
Sulla base dei dati sopradescritti, possiamo anche ricavare possibili
linee per una futura ricerca e soprattutto per dare delle risposte
operative al problema. Infatti, è molto evidente la necessità
di intervenire in casi di colleghi in difficoltà: il 99%
delle riposte è affermativo a questo riguardo. Più
complessa è la scelta della modalità dintervento.
Per alcuni (50%) è preferibile rivolgersi ad un collega-amico
o ad un collega autorevole (54%), oppure ad un gruppo che offra
garanzie di serietà e privacy (60%). Data la possibilità
di poter fare una scelta multipla, le percentuali non risultano
collegabili ad una base 100.
Per quanto riguarda la domanda circa gli ordini professionali o
le istituzioni che dovrebbero costituire i gruppi che offrono
garanzie di serietà e privacy, otteniamo i seguenti
dati: in primo luogo risulta privilegiato il gruppo di formazione
originario (40%), seguito da gruppi di formazione non autoreferenziali
(21%); la stessa percentuale (21%) è ottenuta anche dagli
ordini professionali. Segue con molta distanza lUniversità
(10%).
Comunque il dato più concordante è quello relativo
alla necessità di poter organizzare un convegno su tale tema
(97% delle risposte). Noi riteniamo che questa possa essere una
prima fattiva risposta al problema.
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