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STIMOLO Estate 2007
Il web come la democrazia........sapere non è potere!

Questo interessante contributo, merita la citazione:

"Esiste l’intelligenza collettiva del web 2.0 o solo una intelligenza dei pochi? La regola dell’1:10:89" (Fonte)

...Fin dagli esordi il web 2.0 ha rilanciato in salsa user-generated content l’utopia democratica della prima Internet: diventare un’arena tecnologicamente collaborativa e orientata alle relazioni tra pari, aprendo alle masse quei processi prima gestiti solo da chi era in possesso della patente di “esperto”. Per fare un esempio noto, il successo di Wikipedia è stato subito salutato come l’inizio di un nuovo approccio al sapere in cui l’intelligenza di tanti semplici individui che si autocorreggono a vicenda può risultare superiore a quella di un singolo specialista.
Chi si nasconde dietro le folle del read-write web, delle televisioni condivise, dei wiki, del bookmarking collaborativo? Pare, infatti incrociando i dati di alcuni tra i più popolari servizi user-powered (digg, YouTube, Wikipedia) sembrerebbe proprio di no. Anzi, più i social media crescono e più si consolidano micro-hub di utenti “più uguali degli altri” capaci di influenzare buona parte dei processi collaborativi.
Tanto che Michael Arrington già parla di “wisdom of the few” (intelligenza dei pochi), ribaltando il concetto sacro dell’”intelligenza collettiva”, che, come uno spettro, si ripresenta a ogni upgrade del web. Da qui nasce la regola dell’1% o “1:10:89?, secondo la quale su 100 utenti di una piattaforma ad architettura partecipativa

  • solo 1 contribuisce attivamente con propri contenuti;
  • 10 partecipano di tanto in tanto alle attività minime della vita di community (commento, ranking, tagging);
  • i restanti 89 fruiscono passivamente.

A rincuorare i sostenitori di questa teoria vi è la teoria economica e la psicologia sociale, le quali hanno dato risalto al fenomeno della participation inequality all’interno delle dinamiche di gruppo. E cioè: non tutti gli individui contribuiscono in prima persona ai processi collettivi; spesso solo un’esigua minoranza determina i comportamenti di una grande maggioranza silente e inattiva. È quanto Pareto aveva sintetizzato nella legge 80/20 secondo cui l’80% degli effetti è spesso determinato dal 20% delle cause.

Già ai tempi di Usenet il 3% degli utenti era responsabile del 25% del totale dei messaggi. A sorprendere, invece, è la crescita di questa assimmetria su molti servizi del web 2.0, dove le percentuali vanno molto al di là di quanto previsto dal principio di Pareto.

  • YouTube: a ogni upload corrispondono 1.538 download: gli utenti attivi sono quindi solo lo 0,07%
  • Wikipedia: a partire da questi dati, è stato calcolato che il 50% degli articoli è prodotto dallo 0,7% dei wikipedians; il 72% dall’1,7%.
  • digg: Jason Calcanis afferma che il 30% dei contenuti presenti in home page sono postati dai primi 10 top-user (che a loro volta costituiscono solo il 3% dei top-user di digg);

In tutte queste realtà ci troviamo di fronte a un classico problema di cascata informativa: una situazione di network in cui le decisioni e le attività di pochi influentials producono un effetto sproporzionato sui comportamenti dell’intero gruppo........"

Questi dati corrispondono alla situazione delle democrazie odierne: l'1% ha il potere, il 10% fa il vassallo, e il restante 89% è nella condizione di suddito (più o meno come in tutte le epoche e i regimi precedenti la democrazia). Tutto ciò però non ha niente a che fare con l'intelligenza, nè individuale nè collettiva. La quale non è collegata al fare o al potere, ma al sapere e al pensare. In epoche senza democrazia i geni non erano meno che nell'epoca attuale. L'intelligenza collettiva indica un processo di creazione e distribuzione del sapere, generalizzato invece che individualizzato. Tuttavia ormai è chiaro che gli Illuministi sbagliavano: sapere NON è potere. (a cura di M.Meti)