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BADANTI, CLOWNS, WEB MASTERS - Appunti sul lavoro immateriale
(
Lars Engel, settembre 2003)

Il lavoro oggi è sempre più sganciato dalla prestazione fisica e tendenzialmente si configura come manipolazione di oggetti relazionali, affettivi, intellettuali, tecnici, scientifici. Si modula in un processo che si fonda sempre più sulla cooperazione sociale e mostra la sua valenza in quanto realizzato in complesse filiere di reti sociali, somma di figure produttive fra loro concatenate. In questo senso l'aggettivo immateriale attribuito al termine lavoro può essere una prima sintetica ridefinizione del modo di lavorare contemporaneo.

C'è anche da dire che il lavoro immateriale è sempre esistito: intellettuali, artisti, clowns, assistenti sociali, badanti non nascono oggi. Ma solo nell'ultimo ventennio non sono più un fenomeno elitario, hanno raggiunto quantità ragguardevoli tali da costituire una fetta importante della forza lavoro contemporanea.

Due sono i fenomeni rilevanti che hanno favorito tale trasformazione: l'informatizzazione diffusa e l'espansione del Welfare State. L'ingresso delle macchine nei cicli produttivi e la professionalizzazione dei lavori sociali hanno contribuito in maniera rilevante a smaterializzare il lavoro in ogni parte del mondo da Delhi a San Francisco.

La spiccata "soggettivazione" della forza-lavoro, che ha progressivamente preso sempre più parte al processo di produzione è stata costretta a mettere in gioco - a un livello più alto - la propria personalità, trasformandosi progressivamente da soggetto "passivo" a soggetto "attivo", o meglio da soggetto "che subisce" a soggetto "che agisce".  Questa soggettivazione è resa più evidente dal nuovo "ciclo sociale" del lavoro: fabbrica diffusa, lavoro decentrato, terziarizzazione molto articolata. Il ciclo del "lavoro immateriale" è così caratterizzato da estrema frammentarietà, grande precarietà, diffusa mobilità, sempre maggior difficoltà nel distinguere tempo di lavoro da tempo di non-lavoro.

Il lavoro immateriale è così stato espressione e allo stesso tempo motore del passaggio da una produzione di tipo fordista ad una di tipo postfordista.

Se la produzione materiale (tipica del fordismo) produceva beni materiali, la cooperazione tra intelligenze (caratterizzante il post-fordismo) produce beni immateriali. E' la natura del prodotto che fa la differenza. I primi sono appropriabili, scambiabili, consumabili; i secondi (idee, affetti, opinioni) sono beni non consumabili, non appropriabili, non scambiabili. Un bene materiale non può essere mio e vostro contemporaneamente; dobbiamo dividerlo in due per poterlo condividere. La conoscenza,  invece, o gli affetti possono essere condivisi perché sono indivisibili, collettivi, comuni e a differenza dei beni materiali, non sono consumabili, perché istigano all'attivazione di processi di generazione creativa.

La produzione fordista era caratterizzata dalla produzione di merci conseguente alla trasformazione di materie prime, merci standardizzate destinate all'obsolescenza, prodotte e commercializzate secondo una strategia di economia di scala a carattere nazionale. Questa forma di produzione si fondava su una cultura della crescita illimitata, da una parte, e sul dualismo tra fabbrica e atto produttivo, dall'altra. Un dualismo che fondava le forme del conflitto e dell'identità sociale affermando allo stesso tempo il primato della razionalità tecnica su ogni sfera del sociale.

Al contrario il postfordismo si caratterizza per un tipo di produzione basata grandemente sulla produzione di servizi e la trasformazione della conoscenza e dei saperi, per realizzare prodotti  personalizzati ad alto tasso di specializzazione e decadimento temporale, distribuiti in tempo reale. Un tipo di produzione a carattere transnazionale che si fonda sulla cultura del limite in uno scenario dove è il primato delle reti di relazione ad affermarsi come fattore produttivo, al contrario del gigantismo della fabbrica e del precedente rapporto lineare fra sviluppo e crescita.

Nel fordismo il lavoro e i suoi prodotti erano organizzati in tre fasi distinte e separate: la Progettazione (forma intellettuale del lavoro), l'Esecuzione (il lavoro dell'operaio massa), la Commercializzazione (il lavoro degli impiegati come soggetti disciplinati).

Queste forme di organizzazione della produzione erano caratterizzate da:

-          forte separazione fra gli aspetti ideativi ed esecutivi del lavoro

-          stretta dipendenza dalla macchina

-          precisa dipendenza del lavoro dall'organizzazione disciplinare.

In sintesi potremmo dire che il fordismo era caratterizzato da una enorme rigidità di compiti e funzioni che si rifletteva nei prodotti e nella loro distribuzione. Come pure nell'organizzazione della forza lavoro e nelle identità sociali che esso generava.

Il postfordismo invece riunisce quelle dimensioni separate e le trasforma, presentandosi come paradigma della flessibilità in netta opposizione alla rigidità fordista. Questa flessibilità è il presupposto per la valorizzazione dei flussi di sapere incorporati nei servizi relazionali, personalizzati e real-time tipici della produzione postfordista. Si affermano così nuove professioni che si qualificano come lavoro cognitivo o intellettuale: esse implicano il coinvolgimento totale nell'opera intellettuale che ingloba le capacità più intime degli individui.

Queste professioni possono essere qualificate come lavoro intellettuale/cognitivo che usa un peculiare strumento di produzione, il linguaggio, che si mette in comunicazione attraverso reti sociali e tecnologiche diventando lavoro immateriale. 

Il lavoro cognitivo o intellettuale o immateriale possiede caratteristiche quali:

- il mezzo attraverso cui si produce, cioè il linguaggio, è il risultato di un apprendimento storico sociale, una proprietà collettiva posseduta individualmente;

- è un tipo di lavoro che ricrea continuamente i bisogni che soddisfa poichè necessita di continua innovazione;
- è flessibile al pari del linguaggio naturale umano e del linguaggio della macchina

- si esplica attraverso la reificazione di capacità umane, quali il produrre, il variare, l'adattarsi

- si esplica e si riproduce attraverso una rete di relazioni sociali, è cioè frutto di una cooperazione sociale complessa

- si esplica e si riproduce attraverso reti tecnologiche di comunicazione ad alta velocità.

La forza lavoro immateriale è realmente dislocata: i suoi spazi di produzione sono assolutamente deterritorializzati e i suoi tempi di produzione abitano ogni sfera delle attività del soggetto.

Il lavoro immateriale dunque:

-          esprime la contraddizione fra vita retribuita e vita non retribuita

-          rompe i meccanismi tradizionali di costruzione della vita relazionale e sociale cosicché i principi di stabilità e i processi di identità che su di esso facevano perno per le attività produttive e biologiche saltano

-          è precario in quanto la sua erogazione può essere solo il frutto di una prestazione discontinua poichè conserva il carattere temporaneo delle relazioni su cui si fonda.

In questo senso, due sono gli effetti che il lavoro immateriale esercita: la frammentazione delle identità di lavoro e la cooperazione spinta nella messa in produzione del sapere sociale. Il secondo sembra essere un antidoto al primo: i lavoratori della conoscenza vendono le proprie competenze solo se sono capaci di stare in una rete sociale dove scambiare saperi e conoscenze. Ma oggi, quello che accade è che questi due effetti tendono a sfumare in una zona grigia, dove cooperazione sociale e competizione spinta, autovalorizzazione e sfruttamento, libertà e controllo tendono a confondersi.

 Infatti seppure il sapere posseduto dal singolo lavoratore è presupposto al profitto nella sua forma-merce esso diventa tale (nel senso di profitto) essenzialmente all'interno dei meccanismi di circolazione delle merci le cui dinamiche sono sempre rispettose della legge del valore e dei suoi "capitani".

La sola proprietà degli odierni "mezzi di produzione" immateriali (intelletto, creatività, affettività) non è sufficiente a fare profitto, perché necessita e viene inglobata nella catena capitalistica secondo lo schema di "comando" vetero fordista (progetta, esegui, commercializza). Ciò costituisce la debolezza del General Intellect che, per quanto rappresenti il cuore pulsante della produzione immateriale, si trova ad essere subordinato, nel processo di socializzazione del prodotto, alle logiche turbocapitalistiche. A tal punto da ritrovarsi ad essere esso stesso manipolato per finalità inizialmente estranee alle proprie intenzioni di partenza.

Allora sono inevitabili alcune domande: è possibile (come chiedono taluni) applicare ai lavoratori dell'immateriale tutele, garanzie, servizi? è forse questo di cui hanno bisogno? la commistione fra tempo di vita e tempo di lavoro rappresenta un autosfruttamento patologico oppure una autovalorizzazione fisiologica? Il sistema di lavoro non salariato, ampiamente applicato ai lavoratori dell'immateriale, è una deriva del moderno oppure una liberazione da esso?

A complessificare possibili risposte a tali quesiti, è necessario riconoscere come la crisi del sistema del lavoro salariato porta con sé la disoccupazione di massa strutturale, la fine dello fabbrica-centrismo, l'aumento della professioni "servili", il divario fra garantiti e non garantiti. E a questi effetti fa da contraltare la crisi del Welfare State e la fine di quegli interventi pubblici che, dall'antico patto fra stato e cittadini (meglio forse tra  capitale e lavoro), garantivano una rete di protezione da un insieme indefinito di rischi sociali: disoccupazione, infortuni, vecchiaia, invalidità, malattia, carichi famigliari.

Non è possibile dunque rispondere alle domande poste, guardando ai modelli del passato. Solo esplorare strade nuove alla ricerca di risposte creative.

  1. Nel lavoro immateriale in gioco c'è ciò che di più prezioso abbia l'umanità: la Libertà che non può essere semplicemente subordinata al mercato. Il valore simbolico che risiede negli scambi personali che si realizzano nell'operare sociale non si esaurisce nel denaro. La sfera della relazione stabilisce o richiede legame e il legame sociale sfugge è altrove rispetto alla sfera del controllo esercitato dallo Stato, dal Capitale, dall'Impero. Si può vendere sé stessi, la propria libertà, ma non è possibile acquistare l'anima dell'altro, l'amore dell'altro, a meno che non si pensi in termini di equivalenza con un terzo (denaro, moneta, affare)!
  2. Se ciò si pone al cuore del lavoro immateriale, la questione è che la visibilità di questa dinamica è oggi sottoposta essenzialmente al suo valore di mercato. La sfida è di renderla visibile rimanendo fuori dal mercato, facendone emergere il valore simbolico piuttosto che il plus valore economico. Il denaro non basta a significare (quantificare, definire, compensare) il legame tra le persone, nello scambio degli affetti e della cura, oppure nella produzione cooperativa di idee, servizi, software.
  3. Il regime capitalista è in crisi, così come il lavoro salariato (suo perno). Hanno portato con sé il declino sociale delle risorse personali, la svalutazione delle competenze professionali, la negazione delle capacità di intrapresa personale. Lo stato assistenziale ha sancito il diritto ad essere assistiti ma si è nei fatti risolto nella negazione della soggettività e delle risorse proprie di chi è oggetto dell'aiuto. Chi è soggetto di diritti diviene oggetto di intervento. E' passivo perché ciò è prescritto dalle condizioni stesse dell'erogazione del sussidio. E il lavoratore immateriale spesso collude o con l'uno (utente) o con l'altro (stato). Nel primo caso diviene sindacalista, nell'altro controllore; anello anch'esso della catena di conservazione dello status quo, individuale e collettivo.
  4. Il valore simbolico del Tempo si pone al centro della società dell'immateriale. Un tempo che (un tempo) era insieme la merce e ciò che ne definiva il valore: il tempo monetizzabile del lavoro retribuito. Paradigma ne era il paradosso faustiano per il quale a definire la legittimità del lavoro era proprio il diritto ad esercitarlo. Mentre il lavoratore immateriale ben sa che è costretto/ha scelto a/di vivere un tempo interstiziale, "residuale", resto, sottratto alla misurazione (quantificazione) e alla merce, di qualità non lineare e non economica. E' il tempo tra un lavoro e l'altro, delle pause durante il lavoro stesso, oppure il tempo dedicato alla ricerca, la preparazione, lo studio, la riflessione su ciò sta facendo o che dovrà fare. Un tempo sottratto al Re, Dio, Stato. Tempo assoluto (nel senso di ab-solutus) da qualsiasi rapporto di legame subordinato, plus valore soggettivo, minus valore collettivo.
  5. Anche lo Spazio è significativo nella comprensione delle dinamiche sociali dell'età immateriale. A livello macro/collettivo il passaggio dalla centralità della fabbrica alla centralità del mercato, con la conseguente de-localizzazione delle reti produttive,  ne è una delle tante testimonianze. A livello individuale, ne rappresentano esempi, la chiamata ad influenzare il processo produttivo, a gestire il contesto di lavoro, a dislocare la postazione di lavoro. In gioco vi è l'opportunità di ampliare la propria sfera di influenza, ma ciò è tanto affascinante quanto spaventoso: la frontiera apre a spazi aperti, inesplorati, pericolosi, incerti.  La metafora del lavoratore immateriale è quella del migrante, in continuo movimento, clandestino, mai incluso, appartenente Ad una intrapresa piuttosto che ad un'azienda) ma a tempo determinato.