9GENNAIO 2002
Anarco-capitalisti d'America
La vulgata comune sul liberalismo tende a sottovalutarlo, ma nondimeno è vero che il liberale assegna un ruolo molto importante allo Stato. Nella dottrina giusnaturalistica che sta alla base del liberalismo classico di John Locke, ad esempio, lo Stato ha il compito di garantire a tutti gli individui, ovvero ai cittadini, i "diritti naturali" o umani fondamentali (vita, libertà di opinione e di associazione, proprietà). Suo compito è perciò di svolgere funzioni di polizia, di difesa, di amministrazione della giustizia mediante i tribunali. Ruolo importante quello assegnato dai liberali allo Stato, ma tuttavia "minimo". L'azione deve essere forte ed efficace, ma il raggio del suo intervento va rigorosamente limitato. Se travalica, lo Stato, per il liberale classico, lede la libertà e i diritti fondamentali dei singoli.

Per una serie di pensatori radicali, tuttavia, lo Stato, in quanto entità astratta, non può avere giurisdizione nemmeno nella sfera minima assegnatagli dai liberali. Secondo alcuni di loro, esso deve addirittura estinguersi, scomparire. L'insieme delle posizioni espresse da questi filosofi radicali possono essere a buon diritto definite libertarie. E libertari possono dirsi loro stessi.

Certo, il concetto di libertarismo si sovrappone e spesso si confonde con quello, più tradizionale, di anarchia. Che però ha il torto di essere appesantito da una lunga storia in cui spesso si è intrecciato con le vicende del movimento anarchico organizzato (che, fra l'altro, ha giocato un ruolo importante in determinati frangenti storici: ad esempio negli anni della Prima Internazionale, dal 1864 fino al 1872, data in cui gli anarchici furono espulsi dopo avere ingaggiato una furiosa lotta con i marxisti; oppure durante la guerra civile spagnola, dal 1936 al 1939, ove essi dettero un contributo notevole alle forze di resistenza e dovettero subire anche la forte ostilità dei comunisti). In ambito statunitense, ove più viva è l'influenza (anche speculativa) dei libertari, si parla di "socialismo anarchico" o "comunismo libertario" per indicare buona parte di quel classico filone di pensiero libertario che individua nella gestione collettiva dei mezzi e dei prodotti della produzione, nonché nella loro distribuzione egualiaria, il modello economico più avanzato. Ad esso possono essere in vario modo ascritti i padri classici dell'anarchismo: da Godwin a Proudhon, da Warren a Bakunin, da Kropotkin al nostro Malatesta ai contemporanei Castoriadis e, in qualche misura, Chomsky.

Questi illustri "padri" vanno tenuti ben distinti dalla corrente oggi in America più attiva, e predominante, che viene generalmente definita "anarco-capitalista". Gli anarco-capitalisti segnano un momento di rottura rispetto alla tradizione del pensiero libertario, in quanto si schierano apertamente a destra, vicino alle frange estreme del conservatorismo politico. Essi ritengono che tutto debba essere affidato alla competizione fra i privati: difesa esterna, sicurezza interna, amministrazione della giustizia soprattutto vita economica. Non un'ombra di Stato deve intervenire a falsare la libera concorrenza, che provvederà essa stessa ad allocare nel modo più efficace e giusto le risorse disponibili. Con Bastiat, economista francese di inizio Ottocento, gli anarco-capitalisti odierni ripetono: "laissez faire, laissez passer". Per loro, fra le conseguenze della scomparsa dello Stato nell'economia, ci sarebbe la sparizione di ogni forma di tassazione. I libertari hanno una vera e propria idiosincrasia per le tasse, che giudicano nulla più che un'estorsione. Il più estremistia, ma anche il più colto, degli anarco-capitalistici è senza dubbio Murray N. Rothbard (1926-1995), anche se il volume di Robert Nozick Anarchia, stato, utopia, uscito nel 1974, ha molto influito (Nozick avrebbe poi temperato molte sue posizioni). Rothbard ha preteso dimostrare l'impossibilità di concepire un'azione politica non coercitiva. Egli ha, per questa via, elaborato una vera e propria condanna etica dello Stato. Ciò che mi preme osservare è che gli anarco-capitalisti, che sono oggi la magna pars (o almeno quella più rumorosa) fra i libertari, abbiano elaborato una dottrina che ha strane somiglianze con il tanto deprecato materialismo storico del marxismo, che è la bestia nera dei suoi massimi esponenti.

Per intanto anche Marx sognava l'estinzione dello Stato e l'avvento di un compiuto "Regno della Libertà". Ciò sarebbe avvenuto nella seconda fase della messa in pratica del suo progetto rivoluzionario: non subito ma dopo una più o meno lunga fase di appropriazione dello Stato da parte del proletariato e di instaurazione di una forte "dittatura". Va poi considerato che anche i marxisti, come gli anarco-capitalisti, credono nel rapporto necessitante fra "struttura" economica e "sovrastruttura": se vuoi la libertà degli individui, devi lavorare sodo sui modi di produzione e trasformarli (poco cambia che per Marx bisogna eliminare la proprietà privata, mentre per gli anarco-capitalisti quella statale).

L'affinità più profonda, che d'altronde si deduce dal rapporto causale instaurato, consiste però nel fatto che in entrambi i casi ci troviamo di fronte a delle Metafisiche: a dottrine cioè che, nella perentorietà delle loro affermazioni, non ammettono dubbi, discussioni o revisioni. L'ideologia del Mercato non è meno ideologia di ogni altra ideologia. E, come ogni altra, può sfociare in un'Ideocrazia illiberale. Le strade dell'inferno, di ogni inferno, sono lastricate compre sempre delle migliori intenzioni.