Emilio Carlo Corriero

Il dono di Zarathustra

1. Introduzione

La terminologia del donare, all'interno dei campi di significato del Così parlò Zarathustra di Nietzsche, evidenzia una forma di donazione ontologica che chiarisce le dinamiche di una trasvalutazione di tutti i valori, che non si limita all'approdo nichilistico, ma che anzi consegna un Essere in grado di accogliere la nuova Weisheit (saggezza), facendosi a sua volta donatore di senso.

2. Dinamiche del donare

Occorre innanzitutto chiarire il concetto di «dono» in generale. Ogni dono attende una remunerazione: il dare di un dono è sempre in vista del prendere -- mai il dare è esente dall'intenzione di prendere, per tale motivo il dono incute il timore dell'obbligo. (È significativo come in tutte le lingue indoeuropee la radice del verbo prendere e del verbo dare sia la stessa, *dô).

Il dono implica un dovere, un debitum in colui che lo riceve, ma quale forza contenuta nella cosa donata fa sì che il donatario la ricambi? Attraverso il dono io voglio far riconoscere il mio valore, non il valore del dono. La cosa donata non è inerte: animata, spesso individualizzata da colui che la dona, essa tende a ritornare presso il focolare d'origine, producendo un'equivalenza che la sostituisca. Certo il valore «intrinseco» della cosa donata ha una sua importanza, si dona generalmente qualcosa che abbia un valore a prescindere da chi la dona, tuttavia esso valore non è che l'involucro di un valore sottostante e sostanziale, costituito dall'essenza di chi dona.

Se analizziamo fenomenologicamente l'atto del donare rinveniamo un donante, una cosa donata, un donatario. Pur tenendo conto delle circostanze nelle quali si fa un dono, ciò che risulta preponderante il più delle volte è la relazione fra il donante e la persona alla quale si dona. Nella cosa donata, colui che dona infonde la propria essenza, la propria autorità, in definitiva il proprio valore, che viene riconosciuto solo in relazione al donatario. In base alla corrispondenza tra donante e donatario, la cosa donata assume una forza magica che la intenziona. I doni possono essere diversi, sacrificali, commerciali, rituali, ed essere fatti in circostanze le più varie; ciò che permane come costante è che la sostanza del dono dipende dalla relazione fra donante e donatario, sia che il dono s'innesti su di una relazione preesistente, sia che il dono contribuisca a costituire l'inizio di una forma di relazione. Non si può separare la cosa donata da colui che la dona se non ricambiando il dono e, comunque, nell'atto di ricambiare si rimane strettamente legati all'essenza del donante infusa nell'oggetto donato.

Attraverso il dono si vuole far riconoscere il valore di colui che dona; il dono è un'affermazione del valore del donante, si nutre della volontà di potenza del donante: in ciò consiste quella forza che costringe il donatario a ricambiare. Il dono è in sé «violento» giacché è affermazione di potenza: donare significa porsi su di un piano conflittuale, e accettare il dono significa riconoscere il conflitto stesso. Rifiutare un dono, d'altro canto, non mette al riparo dal rischio, poiché significa dichiarare la propria incapacità a ricambiare, oppure non riconoscere il valore di colui che dona. Può significare dunque subordinarsi al donante, ovvero non accettare l'affermazione di potenza del medesimo. Già accettando il dono, il donatario, in una certa misura, comincia a ricambiare lo stesso, riconoscendo il valore sia della cosa donata sia, soprattutto, il valore di colui che la dona.

Il donatario può essere scelto nel gruppo dei pari al fine di rinsaldare l'unità e la parità fra i contraenti, in tal caso il dono innesca una dinamica consuetudinaria nella quale si assiste ad una escalation del valore dell'oggetto da donare. Nel gruppo dei pari chi ricambia il dono è portato a superare in valore il dono ricevuto sia per onorare il donante sia per non correre il rischio di subordinarsi allo stesso. Il dono fra pari diviene così consuetudine che stringe e rinsalda il patto.

Quando il dono è fatto da un piano di palese inferiorità, esso non ha che il compito di onorare la potenza del donatario, si nutre dell'essenza di quest'ultimo e non richiede ricompensa giacché già s'innesta su di un piano di risarcimento, ossia il donante si sente obbligato a donare in virtù della grandezza del donatario, anche se i suoi doni non sapranno mai colmare la distanza che intercorre fra i contraenti e al più potranno dare dignità allo stato di subordinazione in cui versa il donante.

All'inverso, se è il donante a trovarsi nella condizione di palese superiorità e il donatario nell'impossibilità di ricambiare adeguatamente, il dono diviene mera e assoluta affermazione di potenza, ovvero può assumere l'aspetto dell'elemosina -- quest'ultima salvata, almeno apparentemente, dal contesto caritatevole.

Ma esiste un dono che sia svincolato dalle dinamiche sopra esposte? Finora si è parlato di doni che gli uomini si scambiano fra loro. Pensiamo però ai doni che gli uomini offrono agli dei; essi sono certamente da far rientrare nel caso già accennato che vede il donatario in uno stato di superiorità, ma, come è ovvio, qui il donatario, prima ancora che nella condizione di superiorità, è anzitutto nello stato di più totale alterità dal donante: fra i due non intercorre una semplice diversità di grado bensì una differenza fondamentale in virtù della quale il dono non è vincolante e l'eventuale risposta del donatario dipende esclusivamente dalla volontà divina. Il dono offerto agli dei è sempre inadeguato, tuttavia il valore che gli viene attribuito deriva in toto dall'alterità assoluta, dall'essenza divina, non più dalla mediazione fra donante e donatario. Si offre al dio per quietarne le ire o per ottenere qualcosa, ma la risposta divina è sempre gratuita e svincolata dal dono d'offerta.

È proprio nel dono che la divinità può offrire all'uomo nella sua infinita libertà, che si può ritrovare la gratuità assoluta che emancipa il concetto di dono dalle implicazioni suddette. Il dono di Dio è in assoluto un dono di grazia, un dono senza ragione, senza fondamento. Torneremo più avanti su queste tematiche ponendole in relazione al particolare concetto di dono che emerge dalle pagine nietzscheane che ci apprestiamo a considerare.

3. Dono di Weisheit

Nella complessità del Così parlò Zarathustra, la messa in chiaro delle dinamiche del «donare» appare decisiva per la comprensione di punti chiave del pensiero di Nietzsche. Sin dal proemio, infatti, Zarathustra è colui che, colmo di ricchezze accumulate nel suo eremitaggio, ha bisogno di donare a piene mani, ha bisogno di svuotarsi. Ma che tipo di dono ha in serbo Zarathustra per gli uomini? Subito è chiaro che il suo è un dono di saggezza (Weisheit): il suo è un annuncio, un messaggio. Il donante Zarathustra è «tediato della sua saggezza, come l'ape che ha accumulato troppo miele, ha bisogno di mani che si protendano». Egli è in possesso di una saggezza che non può mantenere per sé, poiché la sua ricchezza, affinché mantenga ciò che va promettendo, deve essere comunicata. Egli annuncia/insegna il superuomo, l'Übermensch e la dottrina dell'eterno ritorno, e il suo messaggio giunge solitario alle orecchie dello stesso Zarathustra poiché non è frutto di dimostrazioni logiche, bensì viene a lui in maniera del tutto gratuita e senza fondamento. Se rimaniamo sul piano della narrazione dello Zarathustra, l'idea del Superuomo (inizialmente è questa idea a dominare l'opera) è qualcosa che si offre a lui, è un'immagine che gli giunge. Ora, il messaggio rimarrebbe inerte se Zarathustra lo serbasse per sé, anzi ne andrebbe della salute dello stesso Zarathustra. Egli è costretto a svuotarsi di detto pensiero per farne dono agli uomini, o meglio a coloro che hanno orecchie per esso. Come ricorda il sottotitolo, il Così parlò Zarathustra è ein Buch für Alle und Keine -- un libro per tutti e per nessuno, e ciò in considerazione del fatto che il messaggio è sì rivolto a tutti, ma nella forma di dono pochi sanno accoglierlo nella maniera adeguata.

Nell'opera, Nietzsche traccia un concetto di dono che in qualche misura sfugge alle implicazioni che sopra abbiamo voluto accennare, e tuttavia se ne serve al fine di chiarire la natura sconvolgente del messaggio. Rispetto alle dinamiche che generalmente si ripetono, qui ciò che vuole farsi dono è una saggezza che agisce sull'essenza del donante. La conoscenza di cui è in possesso, per un certo verso, modifica e costituisce lo stesso Zarathustra. Non è il donante che costituisce l'essenza della cosa donata, che «dona senso» alla cosa da donare, che la intenziona, è bensì l'oggetto da donare che agisce ontologicamente sul donante e come vedremo sul donatario. La scelta di Zarathustra quale messaggero della trasvalutazione di tutti i valori non è certo casuale: «nessuno mi ha mai domandato, e avrebbe dovuto domandarmelo, che cosa significa, proprio sulla mia bocca, sulla bocca del primo immoralista, il nome Zarathustra: perché ciò che costituisce l'enorme unicità di quel persiano nella storia è proprio l'opposto». Subito è chiaro che la fine della metafisica non può venire per bocca di un occidentale, che necessariamente si avvale degli strumenti razionali di cui la stessa metafisica è estrema rappresentazione. Con la «morte di Dio», muore la metafisica occidentale, ma muore anche la ragione così come la metafisica la intendeva; si fa strada un nuovo modo di pensare che non cammina con le gambe della ragione occidentale, non viene come dimostrazione razionale, giunge bensì ineluttabile come una Saggezza rimossa. Nietzsche ha bisogno di una «figura» che sia libera dalla filosofia occidentale e che allo stesso tempo rappresenti l'aspetto morale, cui vuole muovere contro.

Il contenuto della dottrina dello Zarathustra storico, nato secondo alcuni nel 588 a. C. e secondo altri nel 630 a. C., non collima con il pensiero dello Zarathustra di Nietzsche. Sebbene ci siano dei punti di contatto (entrambi vengono derisi dagli uomini ai quali portano il loro messaggio, entrambi sono dei rinnovatori, entrambi cercano protezione presso i nobili, etc.), la maggior differenza consiste nel fatto che lo Zarathustra di Nietzsche non riconosce il dualismo tra Bene e Male, rappresentato nella religione zoroastriana dall'opposizione tra il dio Ohrmazd, signore della luce e il dio Ahriman, signore delle tenebre. Lo Zarathustra di Nietzsche si pone Jenseits von Gut und Böse, al di là del Bene e del Male. Nell'espediente letterario di cui Nietzsche si serve, il messaggio che giunge a Zarathustra è in grado di capovolgere i capisaldi della sua dottrina, facendolo rinascere a sé stesso, nel nuovo messaggio; ossia, la Saggezza che penetra in Zarathustra lo modifica e lo costituisce ex novo.

Già qui è evidente la differenza che passa fra il dono generalmente pensato e il donare di Zarathustra. Ma perché Nietzsche non si limita a dire che la saggezza di cui è pervaso Zarathustra viene comunicata agli uomini, e anzi insiste sul fatto che essa viene donata? Un messaggio, un annuncio, possono più tranquillamente venire ignorati, un dono invece costringe; donare, come si è detto sopra, significa porsi su di un piano conflittuale, significa mettere il donatario dinanzi ad un ostacolo che non può essere eluso, significa scandalizzarlo -- nel senso biblico dello Skandalon. Egli può accettare come rifiutare, ma in entrambi i casi la sua risposta avrà significato, dinanzi al dono non è ammessa l'indifferenza.

Nietzsche attinge alle fonti sul dono prevalentemente dalla mitologia classica e dalla mitologia nordica, senza ovviamente poter trascurare la Sacra Scrittura.

Nell'Edda, che Nietzsche lesse e rilesse nei suoi anni giovanili e che costituì una base culturale costante per tutta la sua parabola speculativa, il dono è una necessità sacra, un dovere morale e giuridico che va assolto ma che reca in sé un pericolo. L'Edda, così come la mitologia classica, è certamente densa di rimandi all'obbligo di offrire doni e alla sacralità di questo officio, d'altro canto come si evince da un passo dell'Havamal, uno dei vecchi poemi dell'Edda, che peraltro nel 1922 Mauss pone ad epigrafe del suo Saggio sul dono, questa saga mitologica mette in guardia dal rischio estremo che comporta il dono.

 

È meglio non pregare [chiedere]
che sacrificare troppo [agli dei].
Un regalo fatto attende sempre un regalo in cambio.
È meglio non recare offerte
che farne troppe.

Nel retroterra culturale che costituisce la base per la teoria del donare in Nietzsche rinveniamo tre linee di sviluppo: una religiosa, sacrificio, pagamento fatto alla divinità; una seconda economica; una terza giuridica, riscatto, pagamento imposto come conseguenza di un crimine per riscattarsi. Nietzsche si avvale -- consapevolmente o meno ha poca importanza dimostrarlo -- di questi aspetti generali inerenti al donare in vista, tuttavia, di un totale capovolgimento. Ma ciò è possibile solo se la cosa donata è altra sul piano ontologico e se ha portata tale da mutare ontologicamente donante, donatario e piano di scambio.

4. L'insidia del dono

Il dono di Zarathustra non è vincolato alla relazione che intercorre tra donante e donatario. Qui chi dona non infonde al dono la propria essenza, avviene piuttosto il contrario. Inoltre il donatario è ancora in cammino, non è pronto ad accogliere la Saggezza di Zarathustra. Il messaggio esorbitante che Zarathustra comunica agli uomini può essere accolto solo da chi abbandona il proprio essere, poiché consiste in una trasvalutazione di ordine ontologico.

Nelle fonti sul dono cui Nietsche attinge, come del resto nel folklore germanico in generale, il tema del dono funesto è assai ricorrente. Il termine Gift, presente nell'idioma anglosassone come in quello germanico per l'appunto, significa sia «dono» sia «veleno». La parola deriverebbe, seguendo l'itinerario etimologico suggerito da Emil Benveniste nel suo Vocabolario delle istituzioni indoeuropee del 1971, per prestito semantico dal greco dósis, «l'atto di offrire», «la promessa di offrire», che in un'accezione medica valida sia in greco sia in latino indicava la «dose», e via via venne utilizzato come sostituto di uenenum, «veleno».

La saggezza di Zarathustra è velenosa nel senso che se penetra, annienta chi lo accoglie, lo tramuta in altro. «Un bastone sulla cui impugnatura d'oro c'era un serpente che si attorciglia attorno al sole», questo offrono per commiato a Zarathustra i suoi discepoli nel capitolo 'della virtù che dona': un'immagine quanto mai densa di significato. Il serpente nell'immaginario nietzscheano indica la conoscenza velenosa che viene offerta come dono, essa infatti si attorciglia al sole d'oro (metallo che sempre si dona) simbolo supremo del donare, come già dal proemio si può evincere:

 

o grande astro, che cosa sarebbe la tua felicità se tu non avessi coloro a cui risplendi? [...] Vorrei donare e distribuire, finché i savi tra gli uomini tornassero a rallegrarsi della loro follia e i poveri della loro ricchezza. Per questo devo scendere in basso: come fai tu la sera, quando vai dietro il mare e porti ancora luce al mondo infero, tu astro straricco! [...] Vedi: questo calice vuol ridiventare vuoto, e Zarathustra vuol ridiventare uomo.1

Il serpente nero della conoscenza di cui fa dono Zarathustra, uccide col proprio veleno quanti non lo sanno accogliere:

 

Vidi un giovane pastore che si contorceva convulsamente, come se stesse per soffocare, con la faccia stravolta, mentre dalla bocca gli pendeva un greve serpente nero. [...] La mia mano afferrò il serpente e tirò, tirò: invano! Non riuscì a strapparlo dalla gola. Allora un grido eruppe da me: Mordilo, mordilo! [...] il pastore diede un morso, come il mio grido gli ingiungeva di fare, e diede un buon morso! Sputò lontano la testa staccata del serpente: e balzò in piedi. Non più pastore, non più uomo -- un essere trasformato, circonfuso di luce, che rideva! Mai prima sulla terra aveva riso un uomo come rideva lui!2

L'uomo che saprà afferrare il dono velenoso di Zarathustra verrà trasformato da quella conoscenza così come lo è stato Zarathustra. Il suo morso alla testa del serpente lo aprirà al riso sovraumano dell'Übermensch.

Zarathustra scende nel mondo dopo l'annuncio storico della «morte di Dio» per comunicare che l'Essere, la struttura ontologica, che su di esso si fondava deve essere superata, deve essere trasvalutata. Questa comunicazione esorbitante e a-storica è fatta agli uomini sotto forma di dono, giacché Zarathustra sa quali implicazioni una tal «comunicazione» può generale. I possibili donatari non sono ancora in vista, essi per meritare il dono di Zarathustra dovranno «spezzarsi», dovranno abbandonare loro stessi, dovranno abbandonarsi al dono affinché esso li costituisca nuovamente.

Lo stesso Zarathustra deve rinunciare a se stesso. Il messaggio che porta in sé lo costringe e spezzarsi, affinché da quello spezzarsi-donare possa nascere il superuomo. Come si è già detto la Weisheit di Zarathustra è venuta a lui. Egli non è obbligato a donare poiché nessuno ha donato a lui tale conoscenza. Il suo è un dono libero, spontaneo, e tuttavia necessario. La sottigliezza teoretica sta nel far coincidere necessità e libertà del donare da parte di Zarathustra. Egli deve donare poiché la sua ricchezza è tale da non poter rimanere in lui. Il donare di Zarathustra è analogo al «dare» di ogni forza naturale -- si pensi al sole -, non dipende da un altro superiore donare, è un potere autonomo, in questo senso libero. Al pari della luce solare non costringe a ricambiare, perché non c'è moneta che possa adeguatamente ripagare, tuttavia, così come la luce solare, dispone chi la riceve in una condizione diversa. Il corpo che riceve la luce può essere opaco o lucido, la sua risposta sarà differente, ma certo non potrà rimanere inalterato. Il messaggio-dono di Zarathustra chiede ancora di più: chiede che ci si disponga a ricevere la luce, che ci si disponga ad accogliere il messaggio e diventare, a propria volta, nuova fonte di luce, nella fattispecie progenitori del superuomo.

Abbiamo visto come il dono di Zarathustra sia innanzitutto diretto agli uomini superiori; gli höheren Menschen che Zarathustra incontra sul proprio cammino vengono da lui «ospitati» presso la sua caverna. Il tema dell'ospitalità è strettamente connesso all'ambito più vasto del «donare».

Il termine iniziale per hospes è hostis e trova il corrispondente nel gotico gasts; ora, mentre il senso di gasts è «ospite», quello di hostis è «nemico». Per spiegare il rapporto tra «ospite» e «nemico», si ammette di solito che l'uno e l'altro derivino dal senso di «straniero» che è ancora attestato in latino; da cui 'straniero favorevole: «ospite» e «straniero ostile»: nemico. Hostis è innanzitutto lo «straniero», ma non lo straniero in generale, bensì colui che entra in relazione per il tramite dello scambio di doni: il fondamento dell'istituzione dell'ospitalità è proprio la «relazione di compenso» fra ospite e ospitato. Quando lo scambio di doni non è osservato, l'ospite diviene ostile, nemico.

Attraverso il sacrificio del miele, Zarathustra attira presso di sé gli uomini superiori, nella speranza che essi sappiano contraccambiare il dono che egli va loro facendo. Inizialmente Zarathustra è persuaso che essi sappiano contraccambiare il dono, ossia sappiano convertire il messaggio in realtà, che sappiano donare a Zarathustra quel superuomo che egli va loro vaticinando, ma quasi subito egli capisce l'inadeguatezza del loro saper donare:

 

ma voi non immaginate cosa renda il mio cuore così petulante: voi stessi lo rendete e la vostra vista, perdonatemelo! Chiunque veda qualcuno disperato diventa infatti coraggioso. Parlare a uno che sia disperato -- per questo ognuno si ritiene abbastanza forte. Anche a me voi avete dato questa forza -- un buon dono, miei nobili ospiti! Un eccellente dono ospitale! Ebbene ora non adiratevi se a mia volta vi offro del mio.3

Zarathustra vorrebbe avere dagli uomini superiori un dono ospitale che sappia ricambiare il suo messaggio/dono:

 

Questo dono ospitale chiedo per me al vostro amore, che mi parliate dei miei figli. Per questo sono ricco, per questo sono diventato povero: che cosa non ho sacrificato, che cosa non sacrificherei per avere una sola cosa: questi figli, questa vivente piantagione, questi alberi di vita della mia volontà e della mia suprema speranza!4

5. Donare senso: il futuro dell'Essere

La nostalgia che pervade l'intero Così parlò Zarathustra e in particolar modo queste pagine è dovuta alla modalità che accompagna il dono di Zarathustra, esso è sempre dono di Amore, è un dono libero dalle dinamiche della volontà di potenza; o meglio, la volontà di potenza stessa appare trasfigurata dal dono in questione. Gli ospiti che non sanno contraccambiare, divengono certo «ostili» alla funzione di Zarathustra, ma giacché è evidente che la capacità di ricambiare il dono non dipende esclusivamente dalla loro volontà, essi non sono messi al bando, vengono anzi accolti nell'Amore per il Tutto da cui esattamente il dono di Zarathustra proviene.

Nonostante la natura velenosa del dono di Zarathustra, esso è accompagnato dall'Amore che nutre e lega ogni cosa dispersa nella Totalità. Il dono di Zarathustra è un dono d'amore, vuole essere un dono «da amico ad amico». In questo particolare donare, riecheggia, in una certa misura, una forma di trascendentalismo derivante probabilmente dalla lettura di Emerson, che qui ci limitiamo ad accennare; nel saggio On Gifts and Presents, così scrive Emerson:

 

quasi non possiamo perdonare al donatore. La mano che ci nutre corre quasi il pericolo di essere morsa. Noi possiamo ricevere qualsiasi cosa dall'amore, perché questa è una maniera di ricevere da noi stessi; ma non da qualcuno che si pretende donatore.5

Ma il legame d'amore sotteso allo scambio di doni nella visione di Nietzsche è anch'esso da creare, giacché la trasvalutazione di tutti i valori trasforma, anzi crea lo stesso concetto di Amore, libero dalla influenza dell'amore cristiano:

 

ogni grande amore è al di sopra anche della compassione: poiché esso vuole ancora creare l'oggetto amato;6

mentre la compassione inchioda l'oggetto amato, Zarathustra nel suo amore infinito crea l'oggetto da amare. Amare nell'accezione nietzscheana significa in definitiva creare, e creare significa donare senso.

La preoccupazione di Nietzsche è quella di salvare l'evidenza fenomenologica del divenire e a tal scopo è indirizzato il tentativo di emancipare la volontà di potenza nella direzione della volontà di creare. La volontà di potenza che è giunta alla «morte di Dio» (quel dio che è servito per tanti secoli al suo scopo), si trasfigura nella volontà di creare, la quale non può sopportare che a presiedere alla creazione ci sia una qualche entità giacché essa impedirebbe l'assoluta libertà necessaria per l'appunto alla capacità creativa. La volontà di creare, se è intesa in senso assoluto, deve potersi rivolgere oltre che al futuro, anche al presente e al passato. Il mio dir sì, deve potersi rivolgere anche al passato, e per far ciò Nietzsche propone la dottrina dell'eterno ritorno, la quale dona senso alla totalità dispersa che ci sta alle spalle, così come la dottrina del superuomo, donando senso al nostro presente, indirizza ad un futuro che redime ogni passato. Il futuro, il regno dell'Übermensch, giustificherà il tutto, donerà senso al Tutto; ogni parte si ricomporrà, non una scheggia di passato potrà obiettare al Tutto, giacché anch'essa avrà avuto senso nella direzione del superuomo:

 

La vostra volontà dica: sia il superuomo il senso della terra!

in virtù dell'idea suprema anche l'obiezione più abietta trova soluzione:

 

quel che è grande nell'uomo è che egli è un ponte e non un fine: quel che si può amare nell'uomo è che egli è un passaggio e un trapasso.7

Anche l'uomo più brutto, colui che ha ucciso Dio, anche lui è degno di essere ospite presso la caverna di Zarathustra. Nel quadro che porta alla Nascita del superuomo, è ammessa anche la più grande aberrazione. Quell'Amore totale e senza riserve per il superuomo che verrà dona senso a ciò che è e a ciò che è stato. Non assegna il senso, lo dona: ciò è fondamentale, e non va sottovalutato. Per donare senso si ha bisogno di qualcosa che di detto senso si faccia riempire, e questo qualcosa non può che essere l'uomo superiore il quale è però ancora preda dei retaggi dell'epoca che muore:

 

Più di un peso, più di un ricordo opprime le vostre spalle; più di un cattivo nano si annida nei vostri angoli. Anche in voi c'è plebe nascosta.8

Inizialmente il messaggio di Zarathustra non viene accolto. Per ricevere un tale dono bisogna innanzitutto disporsi per riceverlo, tuttavia gli uomini non sono contenitori vuoti che vanno riempiti di senso: essi devono abbandonarsi, 'distaccarsi'nella direzione dell'uomo nobile di Meister Eckhart.

Il dono di Zarathustra, come abbiamo visto, esula dalla mera volontà di potenza, esso è fatto con Amore, ossia nella volontà di donare senso, di creare. Ciò spiega la diversità fondamentale del dono di Saggezza che Zarathustra vuol fare agli uomini e il dono generalmente inteso. Si tratta di un dono gratuito che va in cerca del proprio donatario, ed è in qualche modo assimilabile, pur con tutte le cautele del caso, al dono gratuito per eccellenza, il dono di Grazia. Il dono di Grazia è sempre indipendente dalla natura del donatario, le azioni di quest'ultimo non possono provocare, né minimamente indirizzare, la volontà divina; Dio, nella sua assoluta libertà, fa dono di Grazia senza ragione e senza fondamento. L'uomo può tuttavia disporsi ad accogliere Dio, così come l'uomo superiore di Nietzsche può «spezzarsi» perché da lui possa nascere l'Übermensch. In entrambi i casi ciò che è necessario è il «distacco» (Abgeschiedenheit, Gelassenheit) nel senso inteso da Meister Eckhart (fonte autorevole dell'intera opera nietzscheana):

 

Bisogna prima di tutto abbandonare se stessi: così si abbandonano tutte le cose. In verità, se un uomo abbandonasse un regno o un mondo intero e mantenesse se stesso, non avrebbe abbandonato proprio niente.9

Nel pensiero di Eckhart, al termine del»distacco» si giunge al fondo dell'anima, riconosciuta quale profondità insondabile, non come Grund (fondamento), bensì quale «luogo» della nascita di Dio nell'uomo, luogo della generazione del Logos.

 

Ecco che cosa intende Nostro Signore quando dice: «Un uomo nobile partì», l'uomo, infatti, deve abbandonare tutte le immagini e se stesso, e diventare estraneo a tutto e da tutto dissimile, se vuole e deve veramente accogliere il Figlio e divenire figlio, nel cuore e nel seno del Padre.10

Dall'altra parte, per Nietzsche con il «distacco» si giunge nell'Ab-Grund, nell'abisso che può accogliere il messaggio esorbitante di Zarathustra perché da esso possa nascere un giorno il superuomo, il semper adveniens.

Entbildung-Überbildung, spoliazione e trasformazione, dunque. Così come per Eckhart la coppia di concetti esemplifica l'accogliere il dono d'amore di Dio, allo stesso modo essa riassume il destino che tocca a chi sappia accogliere il dono d'amore di Zarathustra.

Così come l'uomo nobile, nel Logos generato nel fondo dell'anima, rimane aperto a Dio e all'essere non trattenendo nulla e abbandonandosi all'Amore di Dio; in modo analogo l'Übermensch che verrà si annuncia come nuova apertura dell'essere, «luogo» senza spazio che ama la Totalità, che tutto accoglie e nulla per sé trattiene.

Il Superuomo diviene in Nietzsche il simbolo estremo per l'Essere che verrà dopo la «morte di Dio». La volontà di potenza trasvalutata nella volontà di creare presenta un Essere che coincide con il divenire e che dunque non sta oltre la soglia come archetipo (vuoto) da imitare. Il nuovo Essere, svuotato dai propri fondamenti assoluti e libero dalla logica del Grund, saprà agire la propria Entbildung (spoliazione) senza rimanere inerte in un disperato nichilismo se diverrà luogo di «donazione» e si disporrà ad accogliere il nuovo senso dell'Essere, divenendo a suo volta donatore. Un Essere così inteso sarà in grado di superare l'angoscia nichilistica mostrandosi come infinita apertura ontologica.

 

Amo colui la cui anima si svuota, che non vuole ringraziamenti e che non restituisce: giacché egli dona sempre e non vuole conservarsi.11

Copyright © 2007 Emilio Carlo Corriero

Emilio Carlo Corriero. «Il dono di Zarathustra». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia [in linea], anno 9 (2007) [inserito il 25 aprile 2007], disponibile su World Wide Web: <http://mondodomani.org/dialegesthai/>, [34 KB], ISSN 1128-5478.

Note

  1. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Rizzoli, Milano 1996, p. 26.

  2. F. Nietzsche, Zarathustra, cit. nota 1, p. 184.

  3. F. Nietzsche, Zarathustra, cit. nota 1, p. 310.

  4. F. Nietzsche, Zarathustra, cit. nota 1, p. 314.

  5. R.W. Emerson, Saggi, Boringhieri, Torino 1962, p. 370.

  6. F. Nietzsche, Zarathustra, cit. nota 1, p. 109.

  7. F. Nietzsche, Zarathustra, cit. nota 1, p. 30.

  8. F. Nietzsche, Zarathustra, cit. nota 1, p. 313.

  9. M. Eckhart, Istruzioni spirituali, in Opere tedesche, a cura di M. Vannini, Firenze 1982, pp. 61-63.

  10. M. Eckhart, Dell'uomo nobile, Adelphi, Milano 2004, p. 227.

  11. F. Nietzsche, Zarathustra, cit. nota 1, p. 31.