"A giant"
- sintetizzano le agenzie americane con John Rawls se ne
è andato. Quelluomo alto e magro, fisico da James Stewart,
le gambe lunghe dentro i jeans stretti come quelli di un qualsiasi
studente di Harvard, era un "gigante" del pensiero contemporaneo,
un teorico la cui opera "ha ridefinito lo status" della
filosofia politica occidentale. Lo ha fatto in fin dei conti soltanto
con due libri: Una teoria della giustizia nel 1971 e Liberalismo
politico nel 1993. Lì trovate tutto lessenziale.
Come lo ha fatto è più difficile da spiegare con un flash di agenzia.
Ma cè chi ci prova, a semplificare, così: sapete che cosa
è il "test di Rawls"? E questo: chiedete a qualcuno
in una buona posizione sociale, nelle fasce alte e ricche, se sarebbe
disposto ad accettare una proposta politica o una ricetta economica
se pensasse che da un momento allaltro potrebbe trovarsi,
là sotto, al posto di quelli che stanno peggio". Il Rawls test
è di una (apparente) semplicità infantile eppure ci introduce nella
atmosfera kantiana, ci avvicina alla dimensione etica nel modo che
è tipico di questo autore. Ricordate "il cielo stellato sopra
di noi e la legge morale dentro di noi"? Quello era Immanuel
Kant. Ebbene qui limperativo morale non appare direttamente
con tutta la sua imponenza e splendore, non prorompe da intuizioni
che si affacciano sulla dimensione dellassoluto, si manifesta
in modo più congegnale alla temperatura culturale dei nostri tempi,
allo stile più pragmatico del professore di Harvard, con la modestia
di una ipotesi: se tu fossi là sotto, mettiamo che , prova
a ragionare come se ti potesse capitare di Ebbene in quel
caso che genere di società giusta ti verrebbe in mente? Dovrebbe
essere un genere di società tale per cui lavere in sorte una
nascita meno fortunata non dovrebbe gettarci nella disperazione.
Rawls usa, come è stato detto, una tecnica costruttiva simile a
quella del suo ascendente tedesco, ma invece che a costruire ledificio
morale, a disegnare uno Stato capace di avere effetti positivi sui
suoi cittadini in termini di giustizia nella distribuzione delle
risorse, dei diritti, delle opportunità. Non è un caso che sentendo
queste parole vi venga in mente la socialdemocrazia e lideologia
del welfare state. Non ci sono dubbi, né da destra né da sinistra,
che John Rawls è il teorico della politica che ha posto i fondamenti
dello "stato sociale". Al polo teorico-politico opposto
dello "Stato minimo" di Nozick e di Hayek.
Ma il "peso" filosofico di Rawls, la ragione per cui ha
avuto tanta influenza in tutto il mondo, anche dove non ha avuto
dei vettori universitari efficaci come, in Italia, Salvatore Veca
e Sebastiano Maffettone, non dipende solo dalla sua fortuna tra
tutti, o quasi, i sostenitori di una visione riformista, progressista,
liberal-socialista, quel "peso" consiste proprio dalla
grandezza della sua costruzione teorica. Rawls ha visto fin dai
suoi esordi ogni teoria sulla società giusta, sul benessere e sulla
felicità degli individui, ogni pretesa di fondare solidamente, diciamo
così, il riformismo, come territorio fino ad allora dominato dagli
utilitaristi. Erano loro (Hume, Bentham, Mill, Smith e generalmente
tutti gli economisti) a occupare il campo con una visione basata
sulla utilità dellindividuo, sul ricondurre sempre in ultima
istanza il bene collettivo al perseguimento della soddisfazione
di egoismi. Rawls cerca e costruisce, professandosi apertamente
kantiano, una alternativa, cerca "una concezione che costituisca
la migliore approssimazione ai nostri giudizi ponderati di giustizia
e rappresenti la fondazione morale più adeguata per una società
democratica".
Vuole così svincolare la "progettazione" dello Stato dal
vincolo utilitaristico come dagli arbitri dellintuizionismo.
E costruisce ledificio con alcuni "espedienti",
come il "contratto sociale", di cui non accetta però la
versione rousseauiana. Il contrattualismo di Rawls è "neo-"
proprio perché è dotato di alcuni "devices" che a Rousseau
erano sconosciuti. Il Rawls test diventa il "velo di ignoranza",
cioè una condizione nella quale si definiscono i termini del contratto
sociale come se si ignorassero le condizioni nelle quali ci tocca
di vivere: quale sesso, quale reddito, quale religione, quale colore
della pelle. I criteri di giustizia li possiamo concepire in modo
ben fondato se immaginiamo una "posizione originaria"
in cui la discussione tra i contraenti prescinda da quei "dettagli".
E che cosa pensano le persone se poste in quella condizione originaria?
Finiscono inevitabilmente per affermare due tipi di principi come
indispensabili per una società giusta: vogliono un corredo base
di diritti che comprende la libertà di movimento, religione, opinione
e vogliono quella cosa che con Rawls abbiamo imparato a chiamare
"uguaglianza di opportunità".
Luguaglianza dunque, ma con un limite. Ed ecco un altro degli
"stratagemmi" dellautore di Una teoria della giustizia,
che va sotto il nome di "principio differenza" o "maximin",
in base al quale le ineguaglianze sono ingiuste, e devono dunque
essere combattute con politiche redistributive, fino a che la loro
ulteriore rimozione non porti a peggiorare anche la stessa situazione
di coloro che stanno peggio.
I congegni inventati da Rawls per mettere allangolo gli utilitaristi
non finiscono certo qui. Ci sarebbe da dire ancora almeno del modo
in cui in Political Liberalism, riesce a sbarazzarsi delle critiche
al relativismo e al pluralismo che sono indispensabili per una ragionevole
convivenza tra genti e individui portatori di culture diverse. Le
basi istituzionali perché lo Stato operi con equità rispetto a queste
diversità si possono trovare nellarea dei "consensi sovrapposti",
degli "overlapping consensus", nel terreno comune che
punti di vista diversi condividono. Lì in quella sfera si deve applicare
lidea di "ragione pubblica", o di pubblica "ragionevolezza"
come gli piaceva dire, che le soluzioni le sa trovare. La riflessione
di Rawls interseca qui quella di Habermas, con la quale ha punti
di contatto e punti di attrito.
I tentativi di portare Rawls fuori dal suo terreno strettamente
teorico andavano generalmente a vuoto. Per di più si rifiutava alle
interviste. Obiettava: "Come è possibile che una persona interrogata
possa pensare cose significative e intelligenti nei pochi secondi
che passano dal momento in cui ascolta la domanda a quello in cui
ci si aspetta che dia una risposta?". Gli feci notare che quello
era già un buon inizio, e forse anche originale. E riuscii così,
più di dieci anni fa ad averne una intervista sulla politica americana.
Trovava il sistema elettorale del suo paese americano degenerato
a causa dellinvasione degli interessi economici e chiedeva
al Partito democratico di imporre una riduzione delle spese per
la politica, il finanziamento pubblico della campagna, un controllo
sul sistema televisivo, e di "rendere le elezioni un processo
autentico di discussione pubblica". Una buona teoria della
giustizia comincia per Rawls dal sapere che bisogna costruire le
condizioni perché "principi di equità" si possano equamente
discutere con la gente.