PARTE  SECONDA - PSICHIATRIA (parte prima)
…nulla esiste di assolutamente definitivo, anche se gli ordinamenti sistematici sono indispensabili alla precisione dei concetti.
K. Jaspers,  Psicologia  delle  visioni del mondo.

I  PRINCIPI  DI  CLASSIFICAZIONE  DELLE  MALATTIE  PSICHIATRICHE

Il sistema di classificazione delle malattie, cioè la nosografia, dipende, in campo psichiatrico come in qualunque altro campo, dalla cultura del tempo. Questa a sua volta è legata sia al sistema economico-politico sia alle conoscenze culturali, vuoi quelle generali vuoi quelle specifiche di quel determinato sapere.

Così per tutto il Cinquecento ed il Seicento le malattie psichiche sono state sostanzialmente  considerate opera del demonio, quella che i libri di testo chiamano la “concezione demonologica”, ed il più importante trattato di psichiatria è stato in realtà il Malleus maleficarum, un manuale del 1486, quindi vecchio di più di un secolo, ad uso degli inquisitori, nel quale, descrivendo le varie forme di stregoneria, si illustravano quelle che in realtà erano diverse sindromi psichiatriche che noi oggi classificheremmo come isterie, schizofrenie, nevrosi ossessive, epilessie o altro. Nel corso del Settecento si incominciano a fare osservazioni più razionali sui disturbi psichici, che erano però abitualmente confusi con problemi d’altro genere: i malati di mente infatti erano tenuti rinchiusi nei cosiddetti Ospedali Generali (la terminologia è francese, in italiano si potrebbe dire “ospizi”) insieme a piccoli delinquenti, debitori morosi, vagabondi, disoccupati, prostitute, alcolizzati, disadattati vari, che non avessero commesso gravi reati. All’interno di questi luoghi i detenuti erano tenuti incatenati, fino a che Pinel, nel 1793, non libera i malati di mente dalle catene, promovendo la costituzione di specifici luoghi in cui curarli, i manicomi. Da Pinel in poi incomincia un enorme lavoro di descrizione dei sintomi e dei comportamenti che porta, tra la seconda metà e la fine dell’Ottocento, alle classificazioni della scuola tedesca di Griesinger e Kraepelin, caratterizzate dalla ricerca di una lesione fisica che fosse origine della malattia mentale: è di questo periodo la definizione della psicosi maniaco-depressiva. Questi studi durati decenni non portarono ad alcun risultato; allora si iniziò ad ipotizzare un’origine organica della malattia mentale che però provocasse delle modificazioni psichiche: in questo periodo, tra le due guerre mondiali, venne definita la schizofrenia.

Dall’inizio del secolo gli studi di Freud e degli psicoanalisti portano alla identificazione delle nevrosi e ad una descrizione puramente psichica dei meccanismi psicologici delle malattie psichiche.

Nel secondo dopoguerra iniziano gli studi sull’azione dei farmaci attivi sulla psiche, la psicofarmacologia, che portano ad ipotizzare un’origine puramente biologica e genetica delle malattie. In questi ultimi 20 anni, soprattutto sotto lo stimolo della scuola americana, si è arrivati infine ad una classificazione solamente descrittiva delle malattie, quella attualmente in uso nei metodi di classificazione adottati internazionalmente, che si accorda molto bene con questo indirizzo biologico-genetico.

Nello scrivere questi fogli mi sono basato su appunti personali, che rappresentano una  sintesi di varie opere: soprattutto di Thérèse Lamperière, di Henry Hey, di Jean Bergeret. La cultura di fondo è quella psicoanalitica, alla cui scuola ho imparato a lavorare, integrata da una più recente sensibilità fenomenologica.

2.1.  IL  COLLOQUIO  PSICHIATRICO

Il colloquio psichiatrico ha lo scopo di raccogliere informazioni utili per arrivare ad una diagnosi e per permettere lo stabilirsi di una relazione di collaborazione terapeutica in vista del trattamento.

Particolarmente importante in un colloquio psichiatrico è definire bene il quadro all’interno del quale si svolge l’esame ed arrivare a conoscere bene la storia del paziente, l’anamnesi.

2.1.1. Condizioni d’esame. E’ importante conoscere bene da chi viene la domanda di visita. Se dal paziente stesso, nel qual caso si potrà, in linea di massima, contare sulla sua collaborazione. Se da altri, nel qual caso ci potrebbe essere un conflitto relazionale tra il paziente e chi ha voluto la segnalazione; sarà importante in tal caso mantenere un atteggiamento neutro ed indipendente. Se dall’autorità, nel qual caso il colloquio potrà avere caratteristiche di reticenza o di animosità contro l’inviante. Anche in questo caso è importante avere un atteggiamento neutro.

2.1.2. Anamnesi.

La conoscenza della storia del paziente è fondamentale in psichiatria. All’interno di questa storia possiamo distinguere tre grandi capitoli.

2.1.2.1.  Anamnesi familiare. Raccogliere notizie sulla  presenza  di  malattie  psichiatriche

nella famiglia d’origine, se possibile fino ai nonni ed ai parenti collaterali (zii, cugini). In particolar modo investigare la presenza di suicidi, deficienze intellettuali, alcoolismo, ricoveri in ospedale psichiatrico, carcerazioni, malattie neurologiche.

Raccogliere notizie sulla composizione della famiglia, sul suo funzionamento relazionale, sul livello socio-economico-culturale dei suoi membri.

2.1.2.2.  Anamnesi personale.  E’ importante raccogliere notizie dettagliate su:

Infanzia. Decorso della gravidanza ed accidenti da parto; sviluppo psicomotorio (deambulazione, eloquio, continenza); rapporti affettivi in famiglia; educazione morale, religiosa, sessuale; collocamenti in istituti o collegi; spostamenti di domicilio; servizio militare.

Scolarità e formazione professionale. Livello raggiunto, bocciature, fughe. Formazione professionale ricevuta e suo livello qualitativo.

Vita sentimentale e sessuale. Educazione ricevuta, esperienze traumatiche, sviluppo puberale, primi rapporti e loro qualità, caratteristiche della vita sentimentale, insoddisfazioni sessuali e suoi motivi, gravidanze, aborti, menopausa.

Status socio-professionale. Successi e insuccessi professionali, soddisfazioni, stabilità e cambiamenti, creatività o monotonia del lavoro, malattie o incidenti professionali.

Vita di relazione. Matrimoni, separazioni, divorzi; caratteristiche della vita familiare, soprattutto per quanto riguarda eventuali conflitti; relazioni con i figli e con i genitori; relazioni amicali, sociali, professionali; interessi ed hobby.

Traumi affettivi. Lutti, abbandoni, rotture, allontanamenti; sconvolgimenti esistenziali come spostamenti di domicilio, emigrazione, licenziamenti, disoccupazione, pensionamento.

2.1.2.3.  Anamnesi psicopatologica. Investigare eventuali antecedenti psichiatrici: soprattutto precedenti cure e ricoveri; depressione, ansia, somatizzazioni d’ansia. Investigare anche gli antecedenti somatici, in particolare: traumatismi, alcoolismo, tossicomanie, malattie endocrine, convulsioni, malattie psico-somatiche, allergie,  interventi chirurgici.

2.2.  SEMEIOTICA  PSICHIATRICA

Esamineremo ora tutti gli aspetti psicopatologici che devono essere valutati nel corso di un esame psichiatrico

2.2.1. DISTURBI  DELLA PRESENTAZIONE E DELL’ESPRESSIONE

2.2.1.1. Abbigliamento. Inadeguatezza rispetto all’età, al sesso, agli usi sociali del momento; disordine.

2.2.1.2. Mimica. Esagerazioni della mimica; diminuzioni della mimica; dismimie o disaccordo tra espressioni del viso e contenuto affettivo della situazione.

2.2.1.3. Motricità. Agitazione psico-motoria. Atti impulsivi. Stupore o sospensione di ogni attività motoria che può arrivare fino alla catalessi, nella quale il paziente mantiene la posizione che gli viene attribuita. Paracinesie o movimenti anormali; stereotipie (movimenti ripetuti) o discinesie (tremori o movimenti patologici da neurolettici). Tic, movimenti involontari bruschi ed improvvisi, rapidi e ripetuti, aventi all’origine un preciso significato.

2.2.1.4.    Linguaggio.

a) Disturbi del linguaggio di origine centrale. Afasie, disturbi della comprensione e dell’espressione del linguaggio.

b) Disturbi della dinamica del discorso. Logorrea, flusso inarrestabile di parole. Verbigerazione, dipanarsi automatico di frasi senza fine né senso. Mutismo. Balbuzie. Palilalia, ripetizione incoercibile di parole.

c) Errori della sintassi. Ovviamente non legate a mancata conoscenza delle stesse ma piuttosto inserite nelle creazione di un nuovo linguaggio diverso ed individuale.

d) Disturbi delle funzioni semantiche. Uso di parole con significato diverso da quello usuale oppure invenzione di parole nuove che può arrivare fino alla costruzione di un linguaggio privato del tutto incomprensibile.

2.2.2. DISTURBI  DELLE  CONDOTTE  ISTINTUALI.

2.2.2.1          Alimentazione. L’alimentazione è il simbolo dell’introiezione orale ed anche

dell’unione familiare. Può essere disturbata a diversi livelli.

a) Anoressia. Diminuzione dell’appetito e della quantità di cibo assunta. Ci possono essere condotte anoressiche di altro tipo (uso di purganti o di diuretici).

b) Rifiuto alimentare. Spesso su motivazioni deliranti.

c) Eccessi alimentari. Riguardanti sia alimenti sia bevande. A volte può essere legato a malattie somatiche (ad esempio diabete) o a determinate cure farmacologiche (Litio, antidepressivi triciclici).

2.2.2.2. Controllo sfinterico. Viene acquisita verso i tre anni. Può essere disturbata in vari modi: vi può essere perdita della continenza in alcune malattie psichiche e psico-organiche; vi possono essere ritualità complesse legate alle funzioni escretorie; vi possono essere preoccupazioni ipocondriache

2.2.2.3. Sonno. Vi possono essere insonnia, risvegli precoci, interruzioni del sonno. I disturbi del sonno sono segni precoci di moltissime affezioni psichiatriche.

2.2.2.4. Sessualità. Impotenza, frigidità, masturbazione.

2.2.3. DISTURBI  DELLE  CONDOTTE  SOCIALI.

a) Atti impulsivi o acting out. Sono azioni improvvise e non meditate, spesso aggressive, abitualmente in rottura con i valori abituali o le convenzioni sociali dell’ambiente.

b) Atti suicidi e gesti autolesivi.

c) Fughe. Possono essere coscienti e preparate, possono essere casuali come nel disorientamento delle demenze, possono essere del tutto incoscienti ed amnesiche come in certe forme epilettiche.

d) Furti. Anch’essi possono essere del tutto incoscienti oppure consci e preparati.

e) Condotte aggressive.

f) Omicidi. Rarissimi, nonostante i timori diffusi nella popolazione.

2.2.4   DISTURBI  DELLA  VIGILANZA

Si definisce la vigilanza come la capacità di apprendere e comprendere lucidamente i rapporti con le varie parti del mondo all’interno di un processo adattativo. Comprende la coscienza che è l’organizzazione di tutti i fenomeni psichici (percezioni, pensieri, immaginazioni, sentimenti, sogni, linguaggio, motricità ecc.) che costituiscono il vissuto.

2.2.4.1. Funzioni della vigilanza.

a) Attenzione. Polarizzazione della psiche su un determinato settore della sua attività. Può essere diminuito o aumentata.

b) Orientamento temporo-spaziale. Senso che permette di collocarsi nel tempo e nello spazio.

2.2.4.2. Disturbi quantitativi della coscienza. Diminuzione dello stato di coscienza attraverso una gradualità che va dal torpore (momentanea difficoltà di attenzione e comprensione) alla sonnolenza, al sopore, al coma (perdita totale o parziale di reattività agli stimoli). Vi possono anche essere stati di aumentata vigilanza.

2.2.4.3. Disturbi qualitativi della vigilanza. Nei quali la coscienza può essere calamitata da un determinato tema; vi può essere uno stato ipnotico a forte carica immaginativa;  atti compiuti in stato di incoscienza come nel sonnambulismo; stati confusionali caratterizzati da disorientamento temporo-spaziale con ottundimento e perdita di memoria; irruzione di esperienze allucinatorio-deliranti.

2.2.5.  DISTURBI  DELLA  COSCIENZA  DI  SE’.

Comprendono disturbi dell’autocoscienza fisica (schema corporeo) e del senso d’identità personale.

2.2.5.1. Disturbi dello schema corporeo. Questi disturbi hanno spesso un’origine neurologica (ad esempio la sensazione di dolore degli arti amputati).

Cenestopatia. Sensazione di dolore o di estraneità di un organo senza alcun disturbo organico.

2.2.5.2.  Depersonalizzazione. Sensazione di non essere più se stessi spesso unita alla sensazione di cambiamento del mondo esterno.

2.2.6.      DISTURBI  DELL’UMORE (O DELL’AFFETTIVITA’).

L’umore è la disposizione affettiva di base oscillante tra i due estremi del piacere e del dolore. a) Umore depresso. Stato di tristezza e di dolore morale con svalorizzazione, pessimismo, sfiducia, fatica, inibizione.

b) Umore espansivo. Senso di soddisfazione, benessere, euforia che può arrivare fino all’esultanza.

c) Indifferenza. Freddezza e distacco affettivo in circostanze nelle quali sarebbe usuale una compartecipazione affettiva.

d) Ambivalenza. Provare sentimenti opposti di amore o di odio verso una stessa persona o circostanza nello stesso momento.

2.2.7.      DISTURBI DELLA PERCEZIONE.

I principali disturbi della percezione sono le illusioni, percezioni scorrette di un oggetto reale (una macchia sul muro percepita come una persona) e le allucinazioni, che possono essere definite delle percezioni senza oggetto.

2.2.7.1. Allucinazioni psico-sensoriali. Possono essere auditive, soprattutto voci; visive, olfattive, tattili o cenestesiche (sensazione di trasformazione totale o parziale del corpo).

2.2.7.2. Allucinazioni psichiche. Sono voci interiori prive di una loro sensorialità, vissute come un’invasione dall’esterno.

2.2.8. DISTURBI  DELLA  MEMORIA.

La memoria consiste nel fissare un’informazione nella nostra mente, conservarla e riutilizzarla quando serve.

2.2.8.1. Amnesie o perdite di memoria.

a) Amnesia di fissazione o anterograda.  Consiste nel mantenimento di memorie antiche e nell’incapacità di fissare informazioni nuove. Sono tipiche delle forme psico-organiche.

b) Amnesia di evocazione o retrograda. Incapacità di evocare un ricordo fino ad allora ben conservato.

c) Amnesie psicogene. Legate agli stati emotivi oppure a modificazioni dello stato di coscienza oppure secondarie ad un trauma psichico.

 2.2.8.2. Ipermnesie. Solitamente sensazione, irrealistica, di grande capacità mnesica. Vi possono anche essere reali ipermnesie, come dei cosiddetti “memorizzatori della rubrica telefonica”.

2.2.8.3. Paramnesie o illusioni della memoria. Immaginazioni prese per ricordi, spesso presenti per riempire un buco della memoria con dei ricordi fittizi.

2.2.9. DISTURBI  DEL  PENSIERO.

I pensieri sono la riunione di diverse idee e la formazione di nuove idee utilizzando l’immaginazione o il ragionamento.

2.2.9.1. Disturbi del corso del pensiero. Comprendono: 

a) Disturbi del ritmo. Che può essere accelerato fino ad arrivare alla fuga delle idee, laddove le idee si susseguono l’una all’altra senza possibilità di arrestarle. Oppure rallentato fino ad arrivare ad un arresto del flusso ideativo.

b) Disturbi della continuità del pensiero. Il pensiero è discontinuo quando presenta dei salti logici o delle modificazioni dei temi del pensiero che sono collegati da una logica apparente ma diversa da quella usuale, come accade nel sogno.

2.2.9.2. Disturbi del contenuto del pensiero. Possono riguardare idee, emozioni, ricordi, immagini mentali.

a) Pensiero dereistico. Quando i dati soggettivi ed immaginari prendono il sopravvento su quelli oggettivi e reali.

b) Idee fisse. Presenza di idee prevalenti che orientano tutto il pensiero del soggetto, che continua a ritornare su quel tema.

c) Ossessioni. Irruzione di idee ritenute patologiche dal paziente stesso, che non riesce a liberarsene pur lottando contro di loro.

d) Fobie. Paura in presenza di un oggetto o di una situazione concreta che abitualmente non dovrebbe fare paura.

e) Idee deliranti. Idee false sostenute negando la realtà indipendentemente da ogni dimostrazione concreta. Sono individuali e non di gruppo e sono rappresentative o di un desiderio o di una paura rimossi. Possono essere idee deliranti di persecuzione, di grandezza, di influenza, di gelosia, mistiche, erotiche ecc.

2.2.10.  DISTURBI  DEL  GIUDIZIO

Il giudizio è un insieme articolato e concatenato di opinioni unite da legami logici. Testimonia della capacità di sintesi del pensiero.

Sono soprattutto importanti le distorsioni del giudizio, che comprendono:

a) Falsità di giudizio. Ragionamenti coerenti e rigorosi ma basati su false premesse.

b) Razionalismo morboso. Razionalizzazioni fredde e senza alcuna partecipazione emotiva, apparentemente pseudologiche ma in realtà astruse ed ermetiche.

c) Interpretazioni. Giudizi falsi basati su percezioni esatte. Possono essere tanto sistematizzate da arrivare al delirio di interpretazione.

2.3.  GENERALITA’  SULLE NEVROSI

2.3.1.  Definizione

Le nevrosi sono disordini dei sentimenti, delle idee e dei comportamenti; riconosciuti come patologici dallo stesso paziente; manifestanti in modo simbolico un conflitto interno alla psiche del paziente; non implicanti una frattura nel rapporto con la realtà.

Cercherò di descrivere questi disturbi, tenendo presente che la loro classificazione nosografica è notevolmente cambiata in questi ultimi 15 anni e che certi termini, come quello di nevrosi, che hanno fatto parte della psichiatria per un secolo, oggi vengono usati più raramente.

2.3.2. Fattori causali

Le nevrosi sono certamente collegate alle caratteristiche della società nella quale si manifestano: la loro netta diminuzione nel corso di quest’ultimo secolo, almeno nel mondo occidentale, è legata ai mutamenti culturali e di stile di vita intercorsi nelle società industriali. Rimangono invece una patologia diffusa in numerose società preindustriali.

Gli sconvolgimenti sociali - guerre, emigrazioni, crisi sociali – provocano un loro aumento.

I traumi dell’infanzia ed il tipo di educazione ricevuto hanno grande importanza nel loro sviluppo.

2.3.3. Sintomi comuni a tutte le nevrosi

Ansia. L’ansia è la manifestazione più tipica delle nevrosi, ne costituisce il sintomo caratteristico ma non esclusivo, essendo comune a tutti i disturbi psichici. Consiste in una sensazione di pericolo imminente che non si sa però definire e che non esiste nella realtà, e nei cui confronti si ha un atteggiamento di attesa. Si differenzia dalla paura, che invece si riferisce ad un pericolo reale.

L’ansia si presenta a volte come sensazione psichica, cioè come sentimento; altre volte invece come disturbo fisico, cioè come equivalente somatico dell’ansia, senza apparente partecipazione affettiva. In tale forma può colpire numerosissimi organi o apparati. Così ci possono essere disturbi cardio-vascolari (senso di costrizione o di peso alla ragione cardiaca chiamato anche angoscia o angor, tachicardia, svenimenti); respiratori (difficoltà respiratorie, respiro accelerato, tosse); digestivi (spasmi, nodo alla gola o allo stomaco, singhiozzi, coliche addominali) genito-urinari (dolori, bisogno impellente di urinare); neurologici (cefalea, vertigini, dolori variamente localizzati).

Disturbi sessuali. Caratteristicamente si trova impotenza, parziale o totale, e frigidità, ma più in generale l’attività sessuale è variamente anomala. È un sintomo che compare prestissimo, come è ovvio essendo la sessualità degli esseri umani – a differenza di quello che comunemente si crede - uno degli aspetti più complessi della nostra vita.

Disturbi del sonno. Anch’essi, e per lo stesso motivo, sono un sintomo precocissimo. Comprendono difficoltà ad addormentarsi o a riaddormentarsi, incubi, risvegli precoci, sonno che non ristora dalla fatica

Stanchezza nevrotica. Maggiore al mattino che di sera; non diminuisce ma aumenta con il riposo e l’inattività; è unita ad un sentimento di noia ed ansia.

Disturbi ipocondriaci. Timore continuo, ossessionante ed ingiustificato di essere ammalati nonostante ogni accertamento abbia dato esito negativo: le preoccupazioni per la salute diventano l’interesse principale se non esclusivo della persona.

Disturbi alimentari. Senso di disagio nei confronti di alimenti che “non piacciono” o disturbi della condotta alimentare.

Manifestazioni aggressive. Sia dirette (irritabilità, oppositività, intolleranza) sia indirette (ironia, sarcasmo, indifferenza affettiva).

2.3.4.  Meccanismi di difesa contro l’ansia

I pazienti si difendono dall’ansia usando vari meccanismi di difesa che sono del tutto inconsci. Questi provocano a loro volta altre conseguenze  negative. Descriviamo  qui solo  i  due principali meccanismi di difesa, presenti in tutte le nevrosi anche se in modi differenti.

Rimozione. Consiste nel trasportare nell’inconscio le rappresentazioni mentali (idee, pensieri, immagini mentali) legate a sentimenti, per lo più desideri o paure, che provocano ansia. Il materiale psichico rimosso riemerge attraversi i sogni, i tic, i lapsus, gli atti mancati.

Spostamento. Si ha quando un sentimento, che si manifestava originariamente con una determinata rappresentazione mentale, si manifesta invece con un’altra e diversa rappresentazione, meno intensa e quindi meno angosciante, ma legata alla prima rappresentazione da una catena associativa (di esperienze di vita, pensieri, ricordi, immagini mentali) più o meno lunga e complessa.

2.3.5.      Meccanismi psichici generali delle nevrosi

Secondo Freud – che per primo ha proposto una spiegazione complessiva del meccanismo psichico delle nevrosi – se i desideri infantili inattuabili o inaccettabili sono contrastati dai genitori in modi vissuti dal bambino come eccessivamente severi, può allora insorgere, nel bambino stesso, la paura di severissime punizioni. Per evitare queste temute punizioni i desideri vengono rimossi nell’inconscio e vengono spostati su varie immagini mentali con diverse modalità. In tal modo provocano i sintomi nevrotici che abbiamo esaminato sopra ed altri più specifici delle varie forme di nevrosi.

Naturalmente ciò non significa che per evitare le nevrosi si debbano educare i bambini concedendo loro tutto quello che vogliono, come purtroppo si tende a fare ora. Si potrebbero ottenere in tal modo solo dei bambini caratteriali, patologia questa molto più grave di quella nevrotica.

2.4.  LE  NEVROSI  ANSIOSE  E  FOBICHE

 2.4.1. Generalità

L’ansia non è, in realtà, una malattia psichica ma un sintomo, è anzi il sintomo più frequente in psichiatria, dato che una sintomatologia ansiosa si riscontra praticamente in tutte le malattie o disturbi psichici. Ci sono però delle forme nelle quali l’ansia costituisce il sintomo più evidente e più caratteristico. 

La scuola psicoanalitica considerava i disturbi d’ansia e le fobie come nevrosi caratterizzate da cause psichiche ben specifiche; la psichiatria descrittiva invece dà solo una descrizione sintomatologica senza minimamente cercare di capirne le cause. Inquadrerò questi disturbi in una visione vicina a quella psicoanalitica, che mi sembra ne faccia meglio comprendere le caratteristiche.

2.4.2. Definizione

Mi sembra importante ripetere che pochi capitoli della psichiatria  sono così  discussi  come  questo, con concezioni tra loro contraddittorie e fortemente antagoniste. I disturbi di cui parlerò non hanno finora trovato una sintesi unitaria, come forse sarà possibile fare in futuro.

Secondo la visione psicoanalitica, le forme nelle quali le manifestazioni ansiose e fobiche sono il sintomo principale sono le nevrosi.  Si intendono per nevrosi dei disturbi psichici  causati  da  un conflitto interiore tra livelli diversi dell’apparato psichico, cioè tra desideri diversi difficilmente armonizzabili tra loro. Le nevrosi presentano vari sintomi, ma tutti riconosciuti come assurdi o comunque ingiustificati dal paziente stesso.

Le sintomatologie fobiche ed ansiose, soprattutto quando sono unite ad un umore depressivo, sono frequenti anche negli stati limite.

2.4.3. Caratteristiche delle forme nevrotiche

Descriverò separatamente i sintomi ed i meccanismi psicologici di queste due diverse forme.

2.4.3.1. Sintomatologia  delle forme nevrotiche

Darò la descrizione classica di queste forme, che ora sono molto meno diffuse che in passato.

·        Sintomatologia delle nevrosi ansiose. Si  caratterizzano  per  la  presenza  di  ansia,  cioè  della paura di qualcosa che non si può definire (alcuni filosofi come Kierkegaard ed Heidegger diranno che l’ansia fa vedere agli uomini cos’è il nulla: l’ansia si può definire appunto come la paura di ciò che non si può definire, e quindi del nulla).

Le nevrosi ansiose si possono manifestare come una sensazione di attesa timorosa nei confronti di un pericolo imminente ma non giustificato dai fatti: questo sentimento viene definito ansia anticipatoria o attesa ansiosa, perché il sentimento di attesa ne è la caratteristica più tipica e fastidiosa.

Spesso però le nevrosi d’ansia si manifestano con vari disturbi somatici. Tra questi i più frequenti sono: angor (sensazione di costrizione o di peso al petto), tachicardia; asma, tosse; vari dolori gastro-intestinali; cefalea, vertigini.

·        Sintomatologia delle nevrosi fobiche. Si caratterizzano per la presenza di  una  fobia,  cioè di un timore angosciante legato alla presenza di un oggetto o di una situazione, timore riconosciuto come ingiustificato, assurdo ed illogico da parte del paziente stesso che però non può liberarsene; comportano un’inibizione dell’azione da parte del paziente con l’adozione di varie tecniche di evitamento dell’oggetto.

Fobie si possono avere nei confronti di oggetti o situazioni concrete:  animali, oggetti dannosi (oggetti taglienti, armi), temporali, buio, volare, interventi chirurgici, sangue, esami, vertigini; in generale qualunque situazione od oggetto potrebbe entrare in una situazione fobica.

2.4.3.1.  Meccanismo psicologico delle fobie.

Le nevrosi ansiose e fobiche rappresentano, secondo la psicoanalisi, una base che poi si evolverà, con il tempo, verso altre forme più strutturate come le nevrosi isteriche od ossessive.

Secondo questa visione i divieti da parte dei genitori al soddisfacimento dei desideri provocano l’angoscia di essere severamente puniti. Queste paure vengono rimosse e l’ansia, originariamente legata ai genitori, viene spostata su un oggetto esterno, legato alla situazione affettiva da una catena più o meno lunga di associazioni mentali. In tal modo, avendo spostato la paura ad un altro oggetto, si può mantenere un legame affettivo verso il genitore; inoltre la paura viene circoscritta ad una situazione specifica: è quindi più maneggiabile ed influenza in minor misura la vita della persona.

2.4.4. Caratteristiche delle forme fobiche e ansiose negli stati limite

Le forme fobiche che abbiamo descritto sopra sono in realtà sempre meno diffuse, mentre sono diventate sempre più frequenti quelle descritte nel seguente paragrafo.

2.4.4.1. Sintomatologia

Le fobie degli stati limite non si riferiscono, classicamente, ad un oggetto concreto ma piuttosto a delle situazioni, spesso determinabili solo in modo generale e non specifico.

Le più classiche di queste fobie sono quelle che si presentano in luoghi affollati (supermercati, stazioni, mezzi pubblici, luoghi pubblici) o in luoghi che possono essere in qualche modo considerati “chiusi”, come le code nel traffico, le autostrade, gli aerei; curiosamente queste persone spesso stanno meno male nei luoghi veramente chiusi come le cantine o i tunnel. Queste fobie sono per lo più legate al timore di poter star male di fronte agli altri, di fare brutta figura di fronte agli altri, di non essere adeguatamente soccorsi dagli altri, oppure di non avere vie di uscita dalla situazione.

L’altra classica situazione degli stati limite è quella delle cosiddette sindromi da attacchi di panico, che possono essere più o meno legate alle fobie che abbiamo descritto sopra. L’attacco di panico insorge improvvisamente con un crescente senso di angoscia, palpitazioni cardiache, senso di soffocamento, capogiri, sentimento di irrealtà; a questo si aggiungono secondariamente la paura di morire o la sensazione di perdere il controllo fino ad impazzire.

Sia le forme ansiose sia le forme fobiche si uniscono abitualmente ad un umore depressivo caratterizzato da bassa stima di sé, senso di inadeguatezza e di incapacità, stanchezza, “poca voglia”. Queste forme sono di gran lunga più frequenti oggi: le cosiddette sindromi miste ansioso-depressive.

2.4.4.2. Meccanismi psicologici

A differenza delle forme fobiche di statuto nevrotico gli stati limite non trovano la loro origine nel senso di colpa.

Probabilmente perché le nevrosi erano legate ad un mondo nel quale c’erano divieti la cui violazione provocava dei sensi di colpa che si manifestavano appunto tramite i sintomi che abbiamo descritto sopra. Oggi i divieti sono ormai rari e sono sostituiti da convenzioni la cui violazione non provoca punizioni ma l’esclusione sociale. Le persone non si sentono tanto colpevoli quanto inadeguate rispetto alle richieste della società ed alle loro stesse aspettative. Questo cambiamento della cultura nella società post-capitalistica e post-industriale ha provocato diverse forme psicopatologiche con diverse sintomatologie e diversi meccanismi psicologici. Negli stati limite è costante il confronto con ideali onnipotenti e megalomanici, e comunque superiori alle capacità del soggetto. Questo provoca un perenne stato di frustrazione e di scontento, di ideali traditi e delusi, che provoca a sua volta quel  mal  di  vivere  così  tipico del mondo moderno e così difficile da inquadrare in una malattia specifica, dato che è molto spesso un modo di vivere.

2.4.5. Terapia

Attualmente la tendenza è di curare queste forme soprattutto sul piano farmacologico, eventualmente anche con interventi psico-educativi di tipo comportamentista (dando cioè al paziente prescrizioni che servono ad addestrarlo ad affrontare le situazioni fobiche). Personalmente ritengo che siano invece utili interventi di tipo psicoterapeutico aventi lo scopo di permettere al paziente di capire quale sia l’origine di questi disturbi all’interno della sua storia di vita; naturalmente un sostegno farmacologico può essere indispensabile e dare spesso ottimi risultati

2.5.  LE  NEVROSI  ISTERICHE

2.5.1.  Definizione e cenni storici

È una nevrosi che si manifesta con sintomi di aspetto organico (spesso neurologico) che però non corrispondono a quelli delle malattie conosciute; è influenzabile dalla suggestione; esprime simbolicamente, attraverso questi sintomi somatici, un conflitto intrapsichico legato ad un desiderio rimosso nell’inconscio.

L’isteria occupa un posto particolarissimo nella storia della psichiatria. Si tratta di una malattia descritta fin dalla più remota antichità: i primi documenti scritti risalgono alla medicina egizia del XX secolo avanti Cristo; ne parlano Ippocrate e Galeno. Veniva ritenuta originariamente una malattia dovuta al migrare dell’utero nel corpo della paziente, ma Galeno, grazie alle sue precise conoscenze anatomiche, rifiuta questa ipotesi. Tutta la medicina classica stabilisce però una correlazione tra isteria e repressione della sessualità. Durante tutto il medioevo e fino al 1700 - con la sola eccezione di Paracelso nella seconda metà del Cinquecento - l’isteria viene ritenuta opera della possessione del demonio: le streghe bruciate sui roghi per secoli spessissimo erano solo delle povere isteriche, quando non delle schizofreniche. In ogni caso la diagnosi di isteria era un grosso contenitore in cui venivano poste malattie diversissime: dall’isteria vera e propria al morbo di Parkinson, all’epilessia, alla catatonia. Solo nel Settecento si incominciano a fare osservazioni precise, a dividere sintomi legati a cause diverse, a pensare all’isteria come ad una malattia del sistema nervoso; ma è solo con Pinel, nei primi decenni dell’Ottocento, che viene collocata tra le malattie psichiche. Tuttavia per tutto il secolo l’isteria è una malattia che dà scandalo all’interno della medicina come tipica rappresentante di quelle malattie “fisiche” in cui non è possibile trovare alcuna lesione organica.

Alla fine del secolo Charcot arriva a capire che il disturbo isterico è legato allo stato emotivo del soggetto; a sua volta Babinski separa con estrema precisione tutta la patologia neurologica da quella propriamente psichiatrica.

Ma è con Freud che l’isteria trova una spiegazione psicologica complessiva ed è anzi lo studio dell’isteria che condurrà Freud a costruire la concezione psicoanalitica della psiche, mediante un lavoro clinico ed intellettuale durato più di quarant'anni. Con la psicoanalisi entra nella psichiatria una visione nuova che si sforza di capire ciò che succede all’interno della vita dei pazienti, che cerca di mettere in luce gli eventi del passato che hanno provocato delle difficoltà psichiche al paziente, che prova a valutare l’evoluzione di queste difficoltà nel corso della vita intera. Non ci si accontenta di una spiegazione meccanica o biochimica, si vuole sapere come la psiche del paziente viva una determinata difficoltà (la cui origine potrebbe anche, tra qualche tempo, dimostrarsi legata ad un determinato fatto di vita a sua volta in qualche modo collegato ad una determinata disfunzione biochimica). Solo la scuola psicoanalitica permette, dai primi decenni del Novecento, di avere una visione unitaria e complessiva dell’isteria, unendo sintomo somatico e sintomo psichico in una visione d’insieme che rimane fondamentale nella storia non solo della psichiatria ma della stessa medicina.

2.5.2. Sintomi fisici

Possono essere transitori e di breve durata oppure possono permanere per lungo tempo.

2.5.2.1. Manifestazioni transitorie: le crisi isteriche.

La grande crisi isterica descritta dallo psichiatra francese Charcot nel secolo scorso è quasi scomparsa nella nostra società industriale. Essa consisteva in una sensazione di nodo che montava dall’inguine alla gola, perdita di coscienza, contrazioni simili a convulsioni. Attualmente si vedono quasi solo “crisi di nervi” con pianti, urla, rottura di oggetti.

2.5.2.2.  Manifestazioni durevoli.

Possono riguardare numerosissimi organi o apparati.

Disturbi del movimento. Incapacità di stare ritti in piedi o di camminare; paralisi o contratture muscolari con caratteristiche diverse da quelle conosciute; movimenti anomali come tic o tremori. Spesso questi sintomi sono accompagnati da un’attitudine molto drammatica che li fa scambiare per manifestazioni teatrali. Altre volte invece il paziente sembra poco preoccupato, quasi indifferente rispetto a questi sintomi nonostante la loro apparente gravità.

Disturbi sensitivi. Senso del tatto diminuito, assente o molto aumentato a carico di determinati distretti della cute; sensazione spiacevoli a carico degli organi interni; dolori alla testa, alla colonna vertebrale, agli arti, agli organi interni senza un disturbo chiaramente inquadrabile sul piano medico.

Disturbi degli organi di senso. Della vista (possono arrivare fino alla cecità isterica); dell’udito.

Disturbi neuro-vegetativi.  Spasmi alla muscolatura di tutto l’apparato digerente; nodo alla gola, allo stomaco, all’inguine; afonia, difficoltà respiratorie, singhiozzo, vomiti, tosse, ritenzione urinaria. Pressoché scomparse da noi ma ancora presenti in altri Paesi a civiltà contadina sono le gravidanze isteriche, nelle quali vi era un ingrossamento addominale simile a quello degli ultimi mesi di gravidanza.

2.5.3.  Scelta d’organo.

L’organo che “si ammala” nelle nevrosi isteriche è solitamente un organo che nel passato aveva realmente presentato una zona particolarmente fragile, Ey avrebbe detto “di minor resistenza”, ma è anche un organo che simbolicamente è collegato con il problema psichico che sta alla base della nevrosi isterica. In ogni caso si tratta di un organo significativo nella vita del paziente. Le nevrosi isteriche sono, in altre parole, comprensibili e spiegabili, anche se attraverso un lungo lavoro di analisi.

2.5.4.  Sintomi psichici

I disturbi della memoria sono abituali, sempre presenti (è difficilissimo ricostruire un’anamnesi completa di queste persone), settoriali e specifici di determinati periodi o episodi della vita, soprattutto dell’infanzia. Vi sono gravi disturbi dell’attenzione, limitatissima. E’ disturbata anche l’attività intellettuale che richiede un enorme sforzo per risultati mediocri.

2.5.5.  Interpretazione delle nevrosi isteriche secondo la scuola psicoanalitica

Secondo Freud la nevrosi isterica è legata al “complesso di Edipo” (il desiderio infantile di sposare il genitore di sesso opposto). L’angoscia, dovuta al timore di essere punito per questi desideri, si manifesta tramite una “malattia fisica” in qualche modo collegata sul piano psichico od esperienziale a quei desideri. Quel  disturbo fisico ha quindi un particolare significato nella storia del paziente.

2.5.6.  Diagnosi

La diagnosi di nevrosi isterica può presentare grosse difficoltà soprattutto perché può essere confusa, almeno all’inizio, con una malattia fisica: soprattutto tumori cerebrali, sclerosi multipla, malattie dismetaboliche. È quindi sempre utile una accurata valutazione somatica.

2.6.  LE NEVROSI OSSESSIVE

2.6.1. Definizione

La parola ossessione, ossessivo, ossessionare, deriva dal latino obsidere che vuol dire assediare.

Sono nevrosi caratterizzate da sintomi coatti, cioè a dire obbligati, che possono essere sia pensieri da cui la persona non riesce a liberarsi, sia azioni che devono essere compiute anche se la persona stessa trova la cosa senza senso o criticabile; la persona cerca in tutti i modi di sottrarsi a questi sintomi coatti, ma questa lotta logorante, come un continuo assedio, provoca una intensa ansia. L’ideazione è caratterizzata da continue ruminazioni mentali, da dubbi e scrupoli che provocano una grave inibizione del pensiero e dell’azione.

2.6.2.  Sintomi clinici

I sintomi delle nevrosi ossessive sono di due generi: pensieri ossessivi o azioni compulsive.

2.6.2.1.    Pensieri ossessivi o ossessioni

Sono caratterizzati dall’irruzione nel pensiero di rappresentazioni mentali (pensieri, immagini, ricordi, suoni o qualunque altro tipo di prodotto della mente) vissute come patologiche o assurde o sconvenienti, con le quali il paziente è coscientemente in disaccordo, ma che sono impossibili da allontanare. La persona mette in atto una lotta spossante per vincerle adottando dei rituali nella speranza di riuscire magicamente ad allontanarle, secondo procedure che sono sostanzialmente di scongiuro. Quanto al loro tema le ossessioni possono essere fobiche (paura ossessionante di qualcosa, come la paura dello sporco), impulsive (pensiero di compiere azioni disdicevoli, come quella di dire parole sconvenienti oppure di commettere atti aggressivi), ideative (ruminazioni incessanti di dubbi o scrupoli).

2.6.2.2.  Atti ossessivi o compulsioni

Sono azioni alle quali il paziente si sente costretto anche se sono in contrasto con le sue convinzioni razionali coscienti. Spesso questi atti assumono il carattere di rituali, cioè azioni complessi a carattere di scongiuro che sedano, almeno momentaneamente, l’angoscia del paziente. Ad esempio lavare quando si ha paura dello sporco; controllare se è chiusa una porta, il gas, la luce elettrica; bisogno di contare, di pronunciare determinate parole o frasi; rituali concernenti l’abbigliamento, la pulizia o l’igiene personali.

2.6.3.  Caratteristiche psichiche della nevrosi ossessiva

Le nevrosi ossessive sono le più regredite tra tutte le nevrosi, sia sul piano della gravità dei sintomi sia su quello della regressione del funzionamento del paziente. Come tutte le nevrosi, di cui abbiamo già presentato gli aspetti generali, possono provocare nei pazienti un disagio psichico gravissimo ed un sentimento di angoscia  schiacciante ma non comportano mai una rottura del rapporto con la realtà, alla quale queste persone rimangono sostanzialmente ancorate in modo ancora accettabile nonostante il prezzo pagato.

2.6.4.  Caratteristiche familiari

La famiglia dell’ossessivo è una famiglia rigida, perfezionista, in cui ambedue i genitori valorizzano il controllo e l’inibizione dei sentimenti e dei desideri, sia quelli di natura affettuosa sia quelli di natura aggressiva. I sentimenti ed i desideri vengono abitualmente celati dai genitori che invece danno enorme importanza alle cure fisiche del corpo, in particolare a quelle relative alla pulizia personale ed al controllo degli sfinteri. Il padre è fortemente presente con un aspetto severamente punitivo. In questa situazione il bambino regredisce nei suoi  desideri  affettivi che vengono fortemente repressi e non riesce ad entrare nella situazione edipica che permette uno sviluppo adulto dell’affettività.

2.6.5.  Meccanismi psicologici

Il meccanismo di base della nevrosi ossessiva è quello del controllo dei sentimenti e dei desideri che viene effettuato tramite il distacco delle rappresentazioni mentali dal sentimento cui erano originariamente legate. I sentimenti vengono allora legati ad altre rappresentazioni meno conflittuali e quindi più accettabili nelle quali i sentimenti originali diventano irriconoscibili. Così il bambino che viene accusato di essere uno sporcaccione perché è stato sorpreso dai genitori mentre si masturbava può sviluppare una intensa repulsione per lo sporco che può instaurare, una volta diventato adulto, un bisogno ossessivo di pulire la casa per non essere percepito come uno sporcaccione. Tutto questo si svolge naturalmente a livello inconscio, proprio perché la persona non può neppure accettare di ricordare quell’antico ed angosciante episodio.

Il metodo abituale di controllo dei sentimenti e dei desideri nelle nevrosi ossessive si effettua tramite la razionalizzazione e la mentalizzazione: tutti i sentimenti diventano pensati razionalmente e non vissuti, vi è un passaggio dell’attenzione dall’atto al pensiero, dall’esperienza concreta al concetto, dal vivere al pensare. Questo permette il loro spostamento su altre situazioni meno legate al sentimento originario e quindi meno angoscianti: classicamente nell’ossessivo vi sono grandi preoccupazioni per la pulizia, l’ordine, l’economia che sostituiscono gli originari desideri di tipo sessuale o di tipo aggressivo.

Quello da cui l’ossessivo si deve difendere con le sue ossessioni e con i suoi rituali è dall’angoscia di poter essere punito severissimamente a causa dei propri inaccettabili desideri. La punizione veniva originariamente inferta dal padre, ma nell’adulto la figura paterna è stata del tutto interiorizzata ed è diventata una coscienza rigidissima, implacabile ed ipercritica che è sempre pronta a punire il paziente a causa dei suoi inaccettabili sentimenti. L’angoscia è quella di venire puniti se i sentimenti sessuali o aggressivi vengono scoperti.

2.6.6.  Relazioni e linguaggio

Le relazioni interpersonali di queste persone sono piuttosto povere, rigide, anaffettive; il mondo delle loro fantasie ha le stesse caratteristiche. Le persone amate devono essere rigidamente controllate nella loro distanza affettiva che non può essere troppo grande, perché in tal caso il paziente vive una situazione di abbandono affettivo, né troppo ridotta, perché in tal caso il paziente si sente turbato dalla vicinanza e quindi non più in grado di controllare i propri desideri che riemergerebbero con grande forza.

Conseguentemente con il loro mondo relazionale e fantastico, il linguaggio degli ossessivi è un linguaggio sobrio, riservato, piuttosto rigido, lo stile è secco. La visione del mondo è improntata ad un razionalismo logico arido, povero, sempre pieno di rimproveri auto od eterodiretti, che non riesce a cogliere il senso estremamente variegato della realtà e della vita. L’ossessivo è sempre distaccato sul piano affettivo, è efficiente, concreto, ma poco creativo e spesso tendenzialmente banalizzante, dato che il suo mondo è quello di vedere in modo semplice e controllabile cose (come gli affetti) in realtà assai complesse.

2.6.7.  Meccanismi di difesa

Dato che il conflitto nei nevrotici è tra le istanze morali (la coscienza o, in termini psicoanalitici, il Super Io) ed i desideri ed i sentimenti (le pulsioni o l’Es) i meccanismi di difesa hanno l’obiettivo di rendere le pulsioni in qualche modo accettabili per il Super Io.

Questo viene fatto con vari meccanismi di difesa:

Rimozione: consiste nel mantenere nell’inconscio una rappresentazione mentale legata ad un certo sentimento. Il rimosso può riemergere in modo indiretto tramite i sogni, i lapsus, gli atti mancati, i sintomi delle nevrosi.

Isolamento degli affetti: consiste nel tagliare i collegamenti affettivi tra un sentimento ed i fatti che ne sono stati all’origine tramite la rimozione di questo legame.

Annullamento retroattivo: un affetto inaccettabile viene cancellato come se fosse inesistente e rimpiazzato da un affetto esattamente contrario (il desiderio di sporcare e di sporcarsi con la paura dello sporco).

Spostamento: una pulsione legata ad una certa rappresentazione mentale viene legata ad un’altra meno intensa ed angosciante collegata alla prima da una catena di ricordi (rimossi) più o meno lunga e complessa (è il meccanismo dei sogni).

2.7. GLI  STATI  LIMITE  ED  I  DISTURBI  DEL  CARATTERE  E   DEL COMPORTAMENTO

2.7.1.  Definizione.

Disturbi caratterizzati da un conflitto intrapsichico che si manifesta non tanto con dei sintomi psichici (ad es. ansia, depressione, deliri o allucinazioni) che rimangono in secondo piano, ma con dei comportamenti o con dei modi di vivere che sono, più o meno, fortemente inadeguati.

Per poter seguire meglio dobbiamo definire i concetti di personalità, carattere ed il concetto di normalità o anormalità.

Personalità è l’organizzazione, mutevole nel tempo pur nella sua stabilità di fondo, degli aspetti morfologici, fisiologici e psicologici (questi ultimi comprendenti il piani intellettuale, affettivo e volitivo) di un determinato individuo.

Carattere è l’insieme dei tratti comportamentali ed affettivi abitualmente osservabili in una certa persona in determinate circostanze.

Concetto di norma ed anormalità definisce come patologiche le anomalie della personalità e del comportamento che provocano particolare sofferenza nella persona o nell’ambiente che lo circonda o nella società

In realtà questi disturbi comprendono forme patologiche di difficile classificazione, non comprese né nelle psicosi né nelle nevrosi e che sono state chiamate in vario modo nel corso della storia della psichiatria: schizofrenia latente, eboidofrenia, schizotimia, schizoidia, schizosi, prepsicosi, psicopatia, nevrosi o psicosi del carattere, stati misti, border line, stati limite. Sono stati descritti da numerosissimi autori, tra cui Kohut, Kernberg e Bergeret. Nella mia esposizione seguirò l’interpretazione di Bergeret.

2.7.2.  Fattori causali dell’organizzazione psichica degli stati limite.

Si ha un’evoluzione nella norma fino a verso i tre anni di età quando il bambino subisce un traumatismo psichico disorganizzatore precoce. Si tratta di un fatto reale e non immaginario, vissuto dal bambino come grave rischio della perdita della persona con cui si ha un rapporto affettivo privilegiato (solitamente la madre). Il bambino entra allora rapidamente nella fase edipica, senza esserne attrezzato sul piano psicologico: non può stabilire una relazione affettuosa con la madre, non può identificarsi adeguatamente con il padre, non può imparare a contenere i sentimenti di affetto e di rabbia che lo pervadono. Ricorre a meccanismi di difesa arcaici, tipici di età precedenti dello sviluppo, che portano ad un blocco dello sviluppo psichico entrando così in una fase di latenza (quella tipica dai 6 ai 12 anni, prima dell’adolescenza) che dura in realtà tutta la vita.

Queste persone funzionano secondo due registri differenti: un registro adattativo e ben funzionante, attivo quando non c’è il rischio di perdita della stima di sé; ed un registro patologico, attivo quando ci sono minacce al prestigio, alla fiducia in se stessi o all’autostima. Tutta la vita di queste persone si gioca in un difficilissimo equilibrio tra questi due poli, senza mai arrivare alla stabilità.

2.7.3.  Caratteristiche psichiche e sintomi.

Grande bisogno di affetto e di piacere agli altri; corpo sempre in movimento ed uso abituale del corpo per esprimere i sentimenti; intolleranza alle frustrazioni che richiamano quelle più antiche; stima basale di sé molto fragile, bisognosa di continue conferme dall’esterno.

Le relazioni affettive sono relazioni “anaclitiche” o di appoggio, necessitano cioè della presenza costante della persona di riferimento affettivo da cui si aspettano una sorta di riscatto totale per le delusioni subite.

Le strutture del Super Io (quella specie di giudice interno che ci dice cosa è bene e cosa è male) hanno degli ideali di perfezione smisurati e grandiosi, fantastici e poco realizzabili, molto adolescenziali. La delusione di questi ideali nel momento in cui ci si deve confrontare con la non riuscita, provoca un senso di umiliazione e di vergogna di fronte a se stessi, collegato al timore di essere rifiutati dalla persona oggetto del proprio amore. Questo provoca una depressione da cui la persona cerca di sfuggire con dei passaggi all’atto più o meno gravi (che possono arrivare, a volte, a gesti di tipo delinquenziale), che a loro volta aumentano il senso di frustrazione e di scacco. I genitori di questi bambini sono insaziabili, stabiliscono relazioni del tipo “Fai ancora meglio e forse io ti amerò di più”.

È sempre presente una angoscia depressiva legata al timore che la persona di riferimento affettivo possa mancare. È l’unico sintomo clinico sempre visibile.

Queste persone sono abitualmente molto instabili nella loro vita professionale, sociale ed affettiva; scaricano le tensioni con passaggi all’atto che impediscono una rielaborazione psichica dei conflitti intrapsichici; non provano un vero senso di colpa ed un vero pentimento ma accampano delle giustificazioni che abitualmente consistono nell’attribuire le responsabilità dei fatti  accaduti ad altri; si ritengono dotate di diritti speciali e negano, fondamentalmente, i diritti degli altri.

2.7.4.  Meccanismi di difesa

I meccanismi di difesa più comunemente usati sono:

Evitamento. Come nelle forme fobiche, si cerca di evitare in ogni modo le rappresentazioni psichiche ansiogene per l’estrema difficoltà a fare fronte all’angoscia che queste suscitano.

Scissione dell’oggetto. La persona di riferimento affettivo viene vista o come totalmente buona o come totalmente cattiva, senza poter mai arrivare ad una mediazione tollerante e realistica che permette di stabilire con questa un rapporto vero. L’oggetto non viene quindi visto per quello che è ma per quello che si vuole che sia.

Meccanismi proiettivi. Sono vari ma hanno tutti lo scopo di proiettare all’esterno, sugli altri, il senso ed il timore di inefficienza, di scacco e di fallimento sempre presenti.

2.7.5.  Classificazione.

Quello descritto sopra è il tronco comune degli stati limite; questo può evolvere in varie forme, più o meno stabili.

2.7.5.1. Organizzazioni perverse nelle quali sono preminenti perversioni della sfera sessuale.

2.7.5.2. Organizzazioni caratteriali che comprendono:

Nevrosi del carattere, nelle quali vi è una discreta riuscita socio-professionale ma unita a rapporti familiari molto difficili; si dividono a loro volta in vari tipi di carattere (isterico, ossessivo, psicastenico, fobico, schizoide, paranoide, ciclotimico ecc.) che presentano aspetti simili a quelli illustrati negli altri capitoli;

Psicosi del carattere, caratterizzate da una valutazione della realtà fortemente inadeguata con frequenti evoluzioni delinquenziali;

Perversioni del carattere, nelle quali viene negato agli altri il diritto di avere una propria visione del mondo ed una propria affettività (sono i cosiddetti boia domestici).

Vi sono  anche altre forme –come l’alcoolismo o le tossicomanie, che verranno esposte in altri capitoli- i cui pazienti possono spesso presentare disturbi del comportamento.

2.8.  LE  SINDROMI  DEPRESSIVE

2.8.1.  Definizione e generalità 

La depressione è uno stato psichico caratterizzato da tristezza e dolore morale particolarmente forti.

Le sindromi depressive sono disturbi psichici conosciuti da tutti ed ancor più sperimentati da tutti, almeno per periodi brevi dell’esistenza: si pensi ad esempio  alle reazioni di lutto o di abbandono. Forse proprio per questo vi è un’ampia tolleranza da parte dell’opinione pubblica nei loro confronti: raramente infatti si prova un sentimento di paura nei confronti di un depresso. Questo fa sì che il termine “depressione venga spesso usato come sinonimo generale per “malattia psichica”, a volte proprio da parte degli stessi pazienti, qualunque sia la malattia di cui realmente soffrono.

Ma se l’esperienza empirica di un umore depresso è diffusissima, queste sindromi pongono dei problemi di classificazione medica molto complessi, soprattutto perché il termine di sindrome depressiva è un contenitore al cui interno stanno in realtà situazioni del tutto diverse tra loro e non riconducibili ad un’unica malattia. La depressione infatti, come l’ansia, è un sintomo presente in moltissimi disturbi psichici ma anche in molte malattie fisiche.

2.8.2.  Classificazione

Le sindromi depressive comprendono varie forme tra loro diverse dal punto di vista della cause e del meccanismo psicopatologico, unite solo dal sintomo comune di una depressione del tono dell’umore.

Le principali sono:

·        le depressioni psicogene;

·        gli stati depressivi sintomatici, cioè le depressioni legate ad altre malattie psichiche;

·        le depressioni malinconiche o psicosi depressive che verranno esposte nel capitolo seguente.

2.8.3.  Depressioni psicogene

Sono state chiamate anche depressioni nevrotiche, depressioni minori, reazioni depressive, sindromi ansioso-depressive.

Sono sindromi depressive reattive ad una conflittualità intrapsichica o ambientale. A differenza delle psicosi depressive hanno una componente costituzionale piuttosto scarsa.

I sintomi delle depressioni psicogene sono i seguenti:

·        Disturbi dell’umore: il paziente accusa un sentimento di tristezza e di dolore morale, si sente colpevole dei suoi limiti o dei suoi errori che non può perdonarsi, inutile, incapace.

Le relazioni con l’ambiente sono caratterizzate da una certa conflittualità, dalla richiesta e dalla speranza di aiuto e comprensione, da rivendicazioni che sono, nella forma e a volte anche nel contenuto, poco adeguate alle circostanze reali.

La suicidalità, pur presente, è meno grave e determinata che nelle forme melanconiche, spesso si manifesta con tentati suicidi.

·      Ansia: è sempre presente.

·      Inibizione: si manifesta con astenia, stanchezza sproporzionata alle cause e spesso mattutina, sensazione di indifferenza affettiva; è invece assente il rallentamento motorio e la fissità dell’espressione mimica che, anzi, è talvolta vivace.

·      Disturbi somatici: spesso sono manifestazioni d’ansia somatizzata come spasmi e dolori viscerali, vertigini, disturbi di tipo neurologico; sono inoltre frequenti disturbi del sonno, dell’alimentazione, della sessualità.

2.8.4.  Depressioni sintomatiche

Sono sindromi depressive collegate ad altre malattie di cui rappresentano o un sintomo frequente o un’ulteriore complicazione.

2.8.4.1. Depressioni in malattie psichiche: situazioni depressive più o meno lunghe e più o meno gravi sono presenti in quasi tutte le malattie psichiche, dalla schizofrenia alle nevrosi, dai disturbi del carattere all’epilessia, dalle sindromi da dipendenza da sostanza alle sindromi psico-organiche.

2.8.4.2. Depressioni in malattie fisiche: questi disturbi sono relativamente frequenti in:

·         malattie del Sistema Nervoso Centrale come tumori cerebrali, morbo di Parkinson, traumi cranici, sclerosi a placche

·        varie malattie endocrine, disturbi legati alla gravidanza ed al parto, nell’uso di anticoncezionali

·        varie malattie generali come TBC, vari tipi di tumori, malattie del sangue, collagenopatie come l’artrite reumatoide, il lupus eritematosus, la dermatomiosite ecc.

·        svezzamento da alcool o stupefacenti

·        come effetto collaterale nell’assunzione di determinati farmaci come antipertensivi, cortisonici, larodopa, farmaci antitumorali

·        è molto frequente nelle diete dimagranti troppo drastiche

2.8.5.  Valutazione generale della storia del paziente

È importante valutare adeguatamente sia il contesto esistenziale del paziente sia la sua personalità precedente.

Contesto di apparizione

Spesso sono collegate a traumi affettivi importanti (lutti, abbandoni, situazioni di scacco, traslochi, modificazione dell’assetto familiare); a situazioni di stress di lunga durata (professionali, familiari, da emigrazione e da sradicamento dal proprio ambiente); a conflitti nevrotici che possono anche essere molto antichi.

Personalità globale del paziente

Molto spesso i disturbi depressivi sono inseriti in strutture di personalità particolarmente fragili per certi aspetti del loro funzionamento, come vedremo nel paragrafo seguente.

2.8.6.  Meccanismi psichici della depressione

Il meccanismo patologico delle sindromi depressive non è ovviamente unico: certamente vi sono diversità tra la depressione melanconica e la depressione psicogena. In generale la depressione è legata ad un disturbo della fase orale consistente nella perdita reale o fantasmatica della persona di riferimento affettivo (solitamente la figura materna). I violenti sentimenti aggressivi che il paziente volge contro la madre, colpevole di averlo abbandonato, lo fanno sentire cattivo e colpevole. Questi sensi di colpa e di indegnità mettono in moto le pulsioni autodistruttive, reali o psichiche, che sono sempre attive nel caso della depressione.

Nelle sindromi depressive oltre ai sensi di colpa si trova anche un senso di inadeguatezza a fronte di ideali megalomanici ed onnipotenti interiorizzati attraverso la relazione con i genitori. Il paziente si sente, e non può sentirsi diversamente dato che un ideale è per definizione irraggiungibile, incapace e fallito di fronte a questi ideali, questo provoca un grave abbassamento della stima basale di sé anch’essa sempre presente nelle depressioni.

2.8.7.  Terapie

Un ricovero in reparto psichiatrico dell’ospedale può essere indispensabile in alcune situazioni, in particolare quando ci sia il pericolo di passaggi all’atto di tipo suicidale e quando il paziente sia solo e senza la presenza reale, costante ed attiva di persone di riferimento affettivo.

Attualmente le terapie farmacologiche ottengono ottimi risultati in molte di queste forme, è però importante che vi sia anche una modificazione del modo di vivere delle persone. Questo si può avere da una parte lavorando per un’accettazione della realtà della vita vista senza inutili e rosei ottimismi, dall’altra  lavorando per ridurre gli ideali di vita delle persone, rendendoli meno irrealistici e più praticabili. Bisogna sostituire gli ideali con dei progetti, reali, concreti e misurabili, in tal modo si potrà arrivare a percepire le difficoltà della vita non come dei fallimenti ma come delle lezioni attraverso le quali si possa gradualmente apprendere. Anche perché nella vita si impara sempre e solo dagli errori.