IMPRESA E MERCATO DAL ‘VOLTO UMANO’
Le domande e gli spunti di riflessione che presento di seguito emergono da una lettura personale degli avvenimenti che stanno provocando una situazione ‘globale’ di forte crisi economica e sociale, per far fronte alla quale ritengo si debba mettere in discussione alcune convinzioni ad oggi scontate sia a livello individuale che collettivo.

Più precisamente:

1. il principio per il quale l’economia rispecchia leggi naturali; principio che porta a considerare le leggi economiche come a-temporali, valide cioè al di la di qualsiasi contesto storico e

1.1 di conseguenza una concezione universalista secondo la quale le leggi economiche sono applicabili in ogni contesto spaziale, istituzionale e culturale

2. l‘affermazione che l’uomo oggi sia Homo Oeconomicus, che esso sia razionale (cioè che dato un fine C, se A consente di ottenere B e B consente di ottenere C, allora l’individuo razionale perseguirà A per ottenere C)

2.1 e che di conseguenza tutta la scienza economica è informata dal principio di razionalità, mentre

2.1 gli individui nei fatti e nell’esperienza, non seguano tali assiomi di razionalità e, nel prendere decisioni, non seguono normalmente strategie che massimizzano l’utilità attesa

3. il presupposto per cui il comportamento economico è determinato dalla somma dei comportamenti individuali, mentre

3.1 è evidente che sia il comportamento del consumatore che quello delle imprese è determinato, dalle interazioni con molteplici soggetti organizzati.

A queste ‘affermazioni problematiche’ si aggiunga che l’accelerazione della crisi ambientale e i suoi drammatici sviluppi chiamano in causa direttamente la crescita economica, da una parte per i suoi crescenti consumi di materie prime, di acqua e di energia, dall’altra per la crescita delle emissioni inquinanti, liquide, solide e gassose derivanti dall’estensione di processi produttivi finalizzati alla crescita della produttività, dalla crescita quantitativa di prodotti che consumano quantità crescenti di energia e acqua, dall’accelerazione dei processi di sostituzione che sempre più rapidamente li riducono in rifiuti, dall’estensione delle produzioni agricole industriali, dal taglio delle foreste, dall’estensione delle quote di superficie terrestre ricoperta di materiali inorganici, dall’incremento delle sostanze di sintesi chimiche prodotte e utilizzate.

L’Impresa tra società e mercato

Il fine ultimo dell’impresa, istituto economico-sociale che svolge la funzione economica di produzione di beni e servizi, è la creazione di ricchezza, ossia di valore. Ciò che ne garantisce lo sviluppo e la sopravvivenza sono la gestione delle risorse funzionali a uno scopo di lungo periodo: il costante orientamento al lungo termine è giustificato dalla considerazione che l'impresa potrebbe deteriorare le basi del suo successo duraturo se prevalesse un'ottica di breve periodo.

Appare, allora, ineludibile capire quale modello d’impresa è oggi - ma soprattutto sarà domani - in grado di assicurare la funzionalità economica duratura dell’azienda e la sua capacità di rispondere alle aspettative dei vari portatori d’interessi.

Recuperando un concetto ormai ben consolidato nella letteratura internazionale, è possibile affermare che l’impresa crea valore quando orienta la propria gestione verso l’obiettivo della sostenibilità. Secondo la definizione fornita dall’Institute of Social and Ethical AccountAbility (ISEA), sostenibilità è la capacità di un’organizzazione di continuare le sue attività indefinitamente, avendo tenuto in debita considerazione il loro impatto sul capitale naturale, sociale e umano.

Un’impresa sostenibile persegue uno sviluppo che contempera dimensione economica, sociale e ambientale: successo economico, legittimazione sociale ed efficiente utilizzo delle risorse naturali sono tra loro connessi secondo una concezione del finalismo d’impresa circolare e sinergica.

In quest’ottica, l’impresa è dunque un insieme di conoscenze interrelate, che assumono concretamente la forma di “intangible assets”, che possono essere ricompresi in due categorie: risorse di conoscenza fondate sul sapere e risorse di fiducia, basate sul consenso che l’impresa è in grado di generare nei diversi stakeholder (personale, clienti, fornitori, distributori, pubblica amministrazione, cittadini, etc.). Il processo di creazione del valore, quindi, può essere visto come una dinamica di creazione, accumulo, riproduzione, incremento di risorse di conoscenza e fiducia.

L’impresa sostenibile si configura, dunque, come impresa responsabile che, perseguendo in maniera contestuale obiettivi di ordine economico, sociale e ambientale, accresce gli intangibiles di conoscenza e fiducia, che supportano i processi di creazione del valore. La ricchezza così generata consente di remunerare, secondo specifiche ed appropriate modalità, i differenti interlocutori sociali, apportatori di risorse. Infatti, come dimostrano ormai numerosissimi casi, la sola dimensione della valutazione di mercato non è sufficiente per fornire un quadro veritiero e corretto della qualità della gestione aziendale: un’impresa apparentemente di successo, che sta massimizzando il proprio shareholder (market) value, non coincide necessariamente con un’impresa che crea valore.

La Piazza e il Mercato Globale

Tra i molteplici significati che la parola mercato assume è possibile individuare due polarità opposte, ai cui estremi troviamo le piazze di mercato (agorà) ed il mercato globale della teoria economica ortodossa. Il mercato come agorà è un'istituzione umana millenaria, comune a moltissime culture, all’interno del quale le persone si incontrano per scambiarsi beni, ma non solo per questo. Lo scambio, in quanto scambio personale, contiene sempre una dimensione di dono che va oltre il prezzo pattuito. In questa accezione il mercato è, con ogni evidenza, un’istituzione prima sociale e solo poi economica.

In maniera differente, ciò che caratterizza il ‘mercato globale’ è l’assoluta impersonalità dei rapporti: nel supermercato globale non occorre che le persone si parlino, né tantomeno che si piacciano. Questo carattere impersonale dei rapporti ha certamente favorito gli scambi, al punto che nelle moderne economie occidentali i consumatori dispongono di grandi quantità di beni e di ampie possibilità di scelta.

Quello che tuttavia non si dice è che il carattere impersonale dello scambio porta con sé, insieme ad indubbi vantaggi, anche conseguenze perniciose. L’anonimato, l’impersonalità delle relazioni di mercato si diffonde infatti inevitabilmente dalla sfera economica alla sfera delle relazioni sociali.

Il mercato dunque - contrariamente a quanto presume la teoria ortodossa o quantomeno la sua versione volgare - non è un’entità astratta, né universale, ma rappresenta piuttosto un’istituzione socialmente e politicamente condizionata, che si presta ad una moltitudine di forme particolari.

Economia dal ‘volto umano’

Ma quali forme di mercato possano favorire l’espansione di un’economia dal ‘volto umano’?

A questo proposito proviamo ad utilizzare una chiave di lettura morfologica dell’impresa e del mercato. Così come la biologia ha sviluppato un’anatomia (ed un’anatomia patologica!) del mondo animale e vegetale,  l’approccio bioeconomico mostra che, in termini molto generali, le tipologie di mercato più adeguate alla creazione di forme di economia sociale non sono quelle “perfettamente competitive” quanto piuttosto quelle caratterizzate dalla compresenza di comportamenti competitivi e cooperativi. Inoltre, mentre in contesti espansivi gli atteggiamenti competitivi possono essere premianti, in contesti a somma zero (di crescita stagnante) come quelli che caratterizzano le economie attuali, risultano vincenti i comportamenti cooperativi.

Le tipologie di mercato più adeguate a favorire lo sviluppo di forme di economia ‘volto umano’ non sono quelle in cui la concorrenza è spinta verso un massimo (concorrenza perfetta); forme di mercato intermedie consentono anche ad organizzazioni di dimensioni medio-piccole di disporre di margini più ampi rispetto ai mercati perfettamente concorrenziali permettendo, da un lato, di formulare contratti di lavoro più rispettosi dei diritti e, dall'altro, di sopportare i maggiori costi ambientali connessi al rispetto delle condizioni di sostenibilità ecologica.


Queste forme di mercato moderatamente competitivo possono essere ottenute in diversi modi.

La prima, e più semplice, è quella di offrire sul mercato un prodotto o servizio che si distingue per un particolare connotato, come ad esempio quella di essere "etico" (finanza etica, commercio equo), oppure ad elevata qualità ambientale (prodotti biologici e simili) o caratterizzandosi attraverso l’adozione di criteri di responsabilità sociale d'impresa. È questa la via della differenziazione sociale, etica o ambientale, che è stata imboccata dal cosiddetto "terzo settore", una sorta di applicazione del principio di diversificazione del posizionamento di mercato tipica delle teorie di marketing.


Esiste tuttavia un sistema ben più efficace ed incisivo per proteggersi dalla concorrenza dei mercati internazionali ed è quello di costituire una rete di soggetti (produttori e consumatori) che, sul territorio, si impegnano a scambiare i propri beni e servizi prioritariamente all’interno della rete. Gli aderenti a queste reti si impegnano volontariamente a rispettare criteri che possono variare di caso in caso ma generalmente contengono i fondamentali principi di equità e sostenibilità ecologica.

Questa la logica che ha dato vita, in Italia, alla Rete di Economia Solidale (RES) e al suo interno ai Distretti di Economia Solidale (DES). Alcuni di essi promossi da Enti Pubblici (ad es. il Comune di Modena e il Comune di Morbegno, in Valtellina) altri da imprese e soggetti del cosiddetto terzo settore (come a Verona, Trento e a Torino, dove ha avuto anche il supporto dell’UE attraverso il Programma Equal).

Le caratteristiche dei DES, si accordano ai seguenti principi.

1. Cooperazione e reciprocità. I rapporti tra i soggetti del Distretto si ispirano ai principi di cooperazione e reciprocità. Pur garantendo la pluralità dell’offerta e delle forme di scambio, i soggetti appartenenti al distretto si impegnano a realizzare gli scambi prioritariamente all’interno del distretto stesso, favorendo l’instaurarsi e il diffondersi di relazioni sociali ed economiche fondate sulla reciprocità e sulla cooperazione.

2. Valorizzazione della dimensione locale. I distretti intendono valorizzare le caratteristiche peculiari dei luoghi (conoscenze, saperi tradizionali, peculiarità ambientali, ricchezze sociali e relazionali). In questa concezione il territorio non va inteso come sistema chiuso, ma come sottosistema aperto di un più vasto sistema economico e sociale sostenibile.

3. Sostenibilità sociale ed ecologica. I DES intendono muovere verso forme di organizzazione economico-sociale sostenibili, sia da un punto di vista sociale (equità) che ecologico. A tale proposito essi definiscono autonomamente le dimensioni del proprio territorio (scala). I soggetti aderenti ai DES si impegnano inoltre a svolgere le proprie attività economiche secondo modalità tali da consentire una riduzione dell'impronta ecologica del distretto, tali da non compromettere, nel lungo periodo, la capacità di carico degli ecosistemi. In questo senso le imprese aderenti ai DES lavorano per una strategia che favorisca la chiusura locale dei cicli di produzione e consumo.

  

 Alberto Raviola, 10 marzo 2009