Lo Stato mondiale. Organismo e organizzazione di Ernst Junger

Prefazione di Quirino Principe | Titolo originale: Der Weltstaat. Organismus und Organisation | Traduzione di Alessandra Iadicicco | © Ernst Klett, Stuttgart 1980© | 1998 Ugo Guanda Editore S.p.A.


La libertà dell’uomo raggiunge qui il suo culmine rispetto all’universo; si prendono qui decisioni dalle quali ne dipendono molte altre. Che cosa spetti al padre e alla madre, che cosa sia assegnato alla creazione e che cosa all’origine: tutto ciò varia a seconda dei popoli e dei tempi, e tuttavia da questo dipende ogni ripartizione ulteriore, che è determinata da questa prima disposizione.

Se al primo sguardo sull’universo e sulla grande divisione dei suoi strati si offrissero la rivelazione, i sogni, la storia, non si avrebbe semplicemente la visione passiva dell’ordine cosmico. L’uomo è presente nella sua libertà, con la potenza del suo giudizio e delle sue istituzioni. Ciò è evidente ovunque compaiano dèi; ne è un esempio la risposta che Simon Pietro dà in Matteo, 16,162. Angelus Silesius, dicendo che Dio non può essere senza l’uomo, e che senza di lui lo spirito dovrebbe cessare all’istante di esistere, enuncia una delle verità più grandiose e audaci.

La libertà dell’uomo rispetto all’universo si manifesta in primo luogo nella parola: gli dèi ricevono dall’uomo i loro nomi, da lui sono nominati. Da ciò non si deve concludere che essi siano creazioni dell’uomo. Con la denominazione essi sono piuttosto tratti dal fondo senza nome del mondo; là è la loro realtà, in ogni caso più possente di quella di una parola imperfetta che cerca di tracciar loro un confine, e più possente anche di qualsiasi forma di personalità che può rappresentarsi l’uomo come un essere organizzato e abbellirlo con una serie di attributi.

Se adesso, giunti a questa svolta da circa duecento anni, cioè dall'istallazione del primo parafulmine, le correnti materialistiche crescono accelerando, se sulla terra compaiono dèi e stirpi di dèi, non si tratta, come spesso si sente dire, di un atto nomenclatore. Non si fondono soltanto puri nomi, oggetti di credenze, ma autentiche realtà. Ne è un segno il fatto che il terreno primordiale, rappresentato dalla terra, in questo stesso accelerando, acquista potenza.

26. Il fatto che la terra incominci a comportarsi in una maniera insolita nella storia dell’uomo, e aspiri a un’unità, non solo in senso politico, ma in un senso più ampio, che mette in gioco il suo stesso organismo, si può collegare con difficoltà al fatto che, contemporaneamente, la tendenza all’organizzazione si lascia avvertire con la tensione di una forza e di una intensità prima d’ora sconosciute. Ci si potrebbe piuttosto aspettare che compaiano nuove specie, foreste originarie, inondazioni, eruzioni vulcaniche; tutti segni di una caotica fecondità. Tra i due fenomeni tuttavia deve sussistere una connessione.

Si potrebbe a questo punto pensare che la pianificazione fornisca alla produzione una sorta di assistenza al parto, magari mettendo a disposizione creature capaci di trasformare l’immediata forza spirituale della terra nell’intelligenza mediata, e viceversa. Fu quanto compì il figlio più potente della terra, Prometeo, un titano dotato di straordinaria forza di invenzione che sottrasse il fuoco agli dèi ed ebbe il coraggio di sacrificarsi. In questo senso l’uomo, uscendo non solo dal percorso della sua storia, ma anche della sua preistoria, inaugura una nuova fase dell’evoluzione: libero nel volere in quanto creatura intelligente, allo stesso tempo però prigioniero di un’ora del destino e del compito ultraumano da essa assegnato. Responsabile, dunque, da una parte, ma dall’altra in balia di una trasformazione dello spirito della terra.

Che poi egli in questa svolta sia chiamato ad assolvere compiti difficilmente prevedibili anche ricorrendo a utopie, è più che verosimile: ci si è già avviati su questa strada. I pericoli politici del sovvertimento della terra sono intesi oggi in senso soprattutto fisico; presto si presenteranno anche in forma biologica, e con ciò non si intende soltanto la creazione di nuove specie attraverso la pianificazione, ma altresì di nuovi stati [Stande] biologici. Da tempo ormai gli esperimenti hanno aperto strade in questa direzione.

27. Con i grandi sovvertimenti che si verificano quando la temperatura si innalza notevolmente e si carica l’atmosfera, ci si aspettano crescite colossali, come nelle paludi in fermento del carbonifero o nei bacini vulcanici dell’epoca dei sauri. Tali creature si limitano oggi a pochi e minacciati esemplari; le loro tracce sono conservate negli archivi della crosta terrestre. Tuttavia oggi si ritrovano testimonianze dell’elemento titanico negli stati e nelle loro città, le loro costruzioni, i loro impianti e i loro armamenti.

Uno sviluppo iniziato in Egitto e in Mesopotamia raggiunge, se non il suo livello ottimale, almeno il suo massimo grado. Assai presto si presenta la questione se la formazione di Stati corrisponda alla comparsa dell’uomo o se, dall’albero di questa discendenza, non nasca invece un ramo certamente grandioso ma, alla fine, sterile. Sin dal crollo della torre di Babele si sono continuamente visti scomparire gli Stati, mentre l’umanità si è conservata. In particolare, lo Stato e tutto ciò che è connesso alla sua essenza sono percepiti come un male. Effettivamente i popoli si accollano gravose corvée, sono sottoposti a odiose forme di dipendenza, fino alla più o meno velata schiavitù e la popolazione è costretta a riprodursi in proporzioni che contrastano quelle della libera crescita. Le guerre sono condotte per motivi razionali, prevalentemente economici, con un sempre crescente impiego di mezzi tecnici e in maniera sempre più odiosa. Non mirano più a un livellamento nel senso di Clausewitz, ma a un annientamento delle masse. È da tempo che non si può più guardare a esse come a un gioco che fa battere più forte il cuore degli uomini e degli dèi, come nel mondo omerico.

Da sempre «l’uomo» ha cercato di evitare le città. La libertà fisica, spirituale, etica non si accorda infatti con l’aria delle città. Non soltanto l’uomo libero, ma anche il saggio e il buono ricercano il deserto e le antiche caverne nei monti. Concludono là la loro esistenza temporale, come anche oggi è uso in India, o fanno ritorno tra gli uomini come fondatori o come donatori. In questo senso Zarathustra, dopo aver dimorato dieci anni tra i monti con la sua aquila e il suo serpente: «Ecco! Il calice vuol tornare vuoto, Zarathustra vuol tornare uomo3».

28. Il vero scontro tra organismo e organizzazione è quello che oppone libertà e dominio, è laddove, cioè, il dominio ha imposto con le sue esigenze una potenza soverchiante. Negare lo Stato, rappresentarselo come la sorgente del male e della deformazione dell’umano, fu da sempre il nucleo delle posizioni anarchiche. In ogni caso il concetto di anarchia aveva bisogno di un’indagine approfondita e anche di una ridefinizione, specie nel nostro tempo, che pullula di nichilisti, mentre il tipo del nichilista puro sembra del tutto estinto. Ma anche questo fa parte dei sintomi di una statalizzazione ampiamente progredita. Poeti della terra priva di confini, come Walt Whitman, si levano erratici nel nostro tempo.

L’anarchico nella sua forma pura è colui che riesce a risalire con la memoria a estreme lontananze: a tempi preistorici, anteriori anche al mito. Egli crede che in quel tempo l’uomo abbia realizzato la sua determinazione autentica. Egli vede questa possibilità anche per l’esistenza attuale dell’uomo, e ne trae le sue conseguenze.

In tal senso, l’anarchico è il conservatore originario, il radicale, colui che ricerca alle radici la salvezza e i mali della società. Egli si distingue dal conservatore per il fatto che le sue aspirazioni riguardano la pura condizione umana, e non uno strato che da questa si sia sviluppato nello spazio e nel tempo. Il conservatore ha una tradizione; egli «sta» in essa, perciò il suo ruolo, in un tempo in cui tutto si trova in movimento, diventa ambiguo. Il conservatore rappresenta una condizione precisa e cerca di mantenerla; perciò si trova perfettamente d’accordo con le regole dello Stato, soprattutto se in esso sono contenuti elementi paternitari. Il conservatore vuole in un certo senso mantenere, conservare l’organizzazione. Ciò non dipende tanto dal ceto sociale che egli vi ha conquistato, quanto dal suo carattere e anche dalla tranquillità interiore e dalla soddisfazione che può trovarvi. Mentre lo spirito rivoluzionario spinge innanzi gli eventi, il conservatore cammina lentamente dietro a essi. Ma li raggiunge continuamente. Se non riesce a star loro dietro nello spazio di una generazione, li raggiungerà con i suoi nipoti: ciò che è stato disposto da un impetuoso antenato è degno di venerazione.

L’anarchico non conosce tradizione né alcuna forma di distinzione. Egli non vuole che lo Stato e i suoi organi avanzino pretese su di lui o lo mettano al loro servizio; non lo si può immaginare come cittadino di uno Stato, né come membro di una nazione. Le grandi istituzioni, come la chiesa, la monarchia, le classi, i ceti, gli risultano estranee e ostili; egli non è né soldato, né operaio. Laddove agisca con conseguenza, deve rinnegare anche, e prima di tutto, il padre.

29. L’anarchia in quanto dottrina cerca i suoi modelli nella giovinezza dell’umanità; spesso dunque colpiscono i tratti infantili dei suoi grandi rappresentanti. L’anarchico sa perfettamente che cosa non vuole, come dice il nome stesso. Abbandona però la sua posizione di forza se deve tradurre in pratica il suo volere. In tal caso deve rifugiarsi in una forma di pensiero che contraddice nel fondo la sua natura. Si spiega così la fatale somiglianza delle grandi utopie sociali con il modo in cui la vita, nelle arnie e nelle caserme, è organizzata sin nelle più piccole manifestazioni, I tentativi di tradurle in pratica, dunque, falliscono sin dall’inizio.

Ai grandi rivolgimenti fa inevitabilmente seguito una condizione di assenza di leggi, un sovvertimento radicale, che fa credere che tutto sia possibile. È in questa situazione che compaiono anche gli anarchici, e si presta loro una viva attenzione, si affidano loro grandi speranze. Tale ingresso dura però solo per breve tempo, e lo conclude sempre una brutta fine. Per un attimo la società appare libera da catene, preda disponibile per grandi concezioni. Ma si tratta di un breve interregno, come dopo la morte di un re, e il pensiero organizzatore prosegue verso nuovi, più netti ordinamenti, «Lo Stato è morto, viva lo Stato.»

All’anarchico non si contrappone soltanto il conservatore, dotato di una strumentazione politica incomparabilmente migliore. Egli si differenzia anche dal rivoluzionario intelligente, che riconosce lo Stato come uno strumento di potenza e che, necessariamente, trionfa tanto sul conservatore, quanto sull’anarchico. In questo modo la preda viene sottratta all’«uomo» e viene spesso manipolata con estrema astuzia, magari attraverso la socializzazione che si sviluppa dalla statalizzazione. Queste intricate relazioni si possono analizzare nei dettagli studiando le rivoluzioni francesi del 1789 e 1830 nonché la rivoluzione russa del 1917 e gli anni a essa immediatamente successivi. Il loro comune risultato è l’impronta sempre più netta di un ordine statale. Il processo è assai ampio: non coinvolge soltanto gruppi e partiti, ma anche il cuore dei singoli. Qui si incontrano il realismo e l’idealismo, l’uomo autentico e l’uomo storico, Rousseau e Saint-Just.

La figura dell’anarchico ha giocato un ruolo decisivo nella fase precedente i grandi rivolgimenti: senza di lui essi sarebbero impensabili. La sua protesta contro lo Stato e contro le istituzioni viene dal cuore, viene dalle radici, egli esibisce un modello migliore, più giusto, più naturale. Si combatte qui la battaglia preliminare nel corso della quale compaiono poeti di forza più grande, spiriti che si ritirano delusi quando entrano in campo gli esecutori politici.

La grandezza di questa aspirazione non sta nella ricchezza delle forme che si intendono imprimere: sta nel modello, che è irraggiungibile. Dall’alba dell’umanità esso viene proiettato nel suo futuro più lontano e assomiglia a uno specchio puro, in cui essa può riconoscere le sue macchie, le sue insufficienze. Finché si è capaci di questo, la caratteristica specifica dell’umanità continua a essere la libertà del volere.

30. L’ordine planetario è già compiuto, tanto nel modello quanto nella realizzazione. Manca solo il suo riconoscimento, la sua dichiarazione. Si potrebbe immaginare che abbia luogo come un atto spontaneo, di cui non mancano esempi nella storia, oppure vi si può pervenire spinti dalla forza di una serie di eventi. Prima però vengono sempre la poesia e i poeti.

L’ulteriore estensione dei grandi spazi nell’ordine globale, l’estendersi delle potenze mondiali in direzione dello Stato mondiale, o meglio, dell'impero mondiale, si connette al timore che la perfezione conquisti una forma definitiva al prezzo della libertà del volere. È soprattutto per questo che non mancano i sostenitori di un mondo tripartito o pluripartito. Ma non ci sono segni che lo annuncino. È invece evidente che la figura del lavoratore è più forte della più antica opposizione, che è anche l’ultima: quella tra Oriente e Occidente.

Con il raggiungimento della sua grandezza finale, lo Stato non conquista soltanto la sua massima estensione spaziale, ma anche una nuova qualità. Lo Stato in senso storico cessa di esistere. Esso si avvicina perciò alle utopie anarchiche o, almeno, la loro possibilità non contraddice più la logica dei fatti. Le questioni di potere sono risolte.

Non è casuale che, nel corso delle rivoluzioni, dopo un interregno in cui tutto sembra possibile, l’uomo politico tomi immediatamente ad avere il sopravvento. Egli non subordina a sé soltanto le utopie di tutti gli orientamenti, ma anche la pianificazione dell’economia.

La ragione fondamentale di ciò va ricercata nel fatto che gli Stati umani si sono sviluppati in maniera tale da mettere la sicurezza in primo piano. Quando, da un popolo, o da un gruppo di popoli, si costituisce uno Stato, crescono gli investimenti finalizzati alla sicurezza. Lo rivelano i bilanci. Anche e soprattutto a questo scopo le potenze mondiali fanno i massimi sforzi.

L’uomo ha portato armi da sempre, e tuttavia abbiamo ragione di pensare che, agli inizi della formazione degli Stati, ciò che oggi chiamiamo sicurezza militare avesse un’importanza molto modesta, forse addirittura nessuna. La divisione del lavoro veniva fatta secondo altre ragioni e con altre intenzioni.

Possiamo rappresentarci l’origine degli Stati come una sorta di cristallizzazione, per dare luogo alla quale si unirono le forze di radici e terreni intatti. Lo Stato, così come si formò nelle fertili valli dei grandi fiumi non conobbe eguali. Esso era, se non unico, certamente insulare.

Il tipo di sicurezza garantito dall’esercito deve essersi reso necessario solo più tardi. Il mediterraneo orientale, con i suoi paesi costieri e di confine è una madre che ha dato origine a molti fenomeni, tra cui anche la guerra. Prima di allora però, molto prima che Abramo uscisse dalla sua terra, quella zona deve aver conosciuto culture prive di eserciti guerrieri.

La grande importanza che gli Stati attribuiscono alla sicurezza e che determina la loro forma e il loro destino è, se non proprio una caratteristica specifica del genere umano, certamente un tratto della sua sottospecie, lo zoòn politikón. Tale caratteristica non si può rinvenire in altre prescrizioni naturali; nello Stato delle api prevale senza dubbio il momento economico. Nelle specie inferiori, la sicurezza è garantita semplicemente dalla vita sociale, dalla formazione di colonie.

La forma dello Stato umano è determinata dal fatto che accanto a esso vi sono altri Stati. Non è così da sempre, né, si spera, lo sarà sempre in futuro. Quando lo Stato sulla terra era un’eccezione, quando era insulare, o unico nel senso dell’origine, gli eserciti combattenti erano superflui, stavano al di fuori dell’immaginazione. La stessa situazione deve presentarsi dove lo Stato diventa unico in senso finale. Allora l’organismo dell’uomo, nel senso di ciò che è autenticamente umano, potrà manifestarsi nella sua purezza, libero dalla costrizione dell’organizzazione.

NOTE

1. Ernst Jünger, Rivarol. Massime di un conservatore, trad. di Brunello Lotti e Marcello Monaldi, Guanda, Parma 1992, p. 63, (N.d.T.)

2.«Rispose Simon Pietro: 'Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente',» (N.d.T.).

3. Friederich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1988, p. 3, (N.d.T.).

1. Ernst Jünger, Rivarol. Massime di un conservatore, trad. di Brunello Lotti e Marcello Monaldi, Guanda, Parma 1992, p. 63, (N.d.T.)

2.«Rispose Simon Pietro: 'Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente',» (N.d.T.).

3. Friederich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Adelphi, Milano 1988, p. 3, (N.d.T.).