[…] Qual è lo scopo a cui tendiamo? Il
pacifico godimento della libertà e dell’uguaglianza;
il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono
state incise non già sul marmo o sulla pietra,
ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello
schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega.
Vogliamo un ordine di cose nel quale ogni passione bassa
e crudele sia incatenata, nel quale ogni passione benefica
e generosa sia ridestata dalle leggi; nel quale l’ambizione
sia il desiderio di meritare la gloria e di servire
la patria; ove le distinzioni non nascano altro che
dalla stessa uguaglianza; nel quale il cittadino sia
sottomesso al magistrato, e il magistrato al popolo,
e il popolo alla giustizia; nel quale la patria assicuri
il benessere a ogni individuo, e nel quale ogni individuo
goda con orgoglio della prosperità e della gloria
della patria; nel quale tutti gli animi si ingrandiscano
con la continua comunione dei sentimenti repubblicani,
e con l’esigenza di meritare la stima di un grande
popolo; nei quale le arti siano gli ornamenti della
libertà che le nobilita, il commercio sia la
fonte della ricchezza pubblica e non soltanto quella
dell’opulenza mostruosa di alcune case.
Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale
all’egoismo, l’onestà all’onore,
i principi alle usanze, i doveri alle convenienze, il
dominio della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo
per il vizio al disprezzo per la sfortuna, la fierezza
all’insolenza, la grandezza d’animo alla
vanità, l’amore della gloria all’amore
del denaro, le persone buone alle buone compagnie, il
merito all’intrigo, l’ingegno al bel esprit,
la verità all’esteriorità, il fascino
della felicità al tedio del piacere voluttuoso,
la grandezza dell’uomo alla piccolezza dei «grandi»;
e un popolo magnanimo, potente, felice a un popolo «amabile»,
frivolo e miserabile; cioè tutte le virtù
e tutti i miracoli della Repubblica a tutti i vizi e
a tutte le ridicolaggini della monarchia.
Noi vogliamo, in una parola, adempiere ai voti della
natura, compiere i destini dell’umanità,
mantenere le promesse della filosofia, assolvere la
provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia.
Ecco la nostra ambizione: ecco il nostro scopo.
Quale tipo di governo può mai realizzare questi
prodigi? Solamente il governo democratico, ossia repubblicano.
Queste due parole sono sinonimi, malgrado gli equivoci
del linguaggio comune: poiché infatti l’aristocrazia
non è repubblica più di quanto non lo
sia la monarchia.
La democrazia non è già uno Stato in cui
il popolo — costantemente riunito — regola
da se stesso tutti gli affari pubblici: e ancor meno
è quello in cui centomila fazioni del popolo,
con misure isolate, precipitose e contraddittorie, decidono
la sorte dell’intera società. Un simile
governo non è mai esistito, né potrebbe esistere
se non per ricondurre il popolo verso il dispotismo.
La democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano,
guidato da leggi che sono il frutto della sua opera,
fa da se stesso tutto ciò che può far
bene, e per mezzo dei suoi delegati tutto ciò
che non può fare da se stesso. È dunque
nei principi del governo democratico che dovrete ricercare
le regole per la vostra condotta politica. […]
Ora, qual è mai il principio fondamentale del
governo democratico o popolare, cioè la forza
essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere? È
la virtù. Parlo di quella virtù pubblica
che operò tanti prodigi nella Grecia e in Roma,
e che ne dovrà produrre altri, molto più
sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella
virtù che è in sostanza l’amore
della patria e delle sue leggi. Ma, dato che l’essenza
della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglianza,
ne consegue che l’amore della patria comprende
necessariamente l’amore dell’uguaglianza.
[…] Non soltanto la virtù è l’anima
della democrazia, ma addirittura essa può esistere
solo in quella forma di governo. […]Soltanto
in un regime democratico lo Stato è veramente
la patria di tutti gli individui che lo compongono e
può contare tanti difensori interessati della
sua causa, quanti sono i cittadini che esso contiene.
Ecco qui la fonte della superiorità dei popoli
liberi su tutti gli altri popoli. Se Atene e Sparta
hanno trionfato sui tiranni dell’Asia, e gli svizzeri
sui tiranni di Spagna e d’Austria, non occorre
affatto cercare altra causa. […]
Ora occorre trarre grandi conseguenze dai Principi che
abbiamo qui esposto.
Dato che l’anima della Repubblica è la
virtù, l’uguaglianza, e dato che il vostro
scopo è di fondare, di consolidare la Repubblica,
ne consegue che la regola prima della vostra condotta
politica deve essere quella di indirizzare tutte le
vostre opere al mantenimento dell’uguaglianza
e allo sviluppo della virtù: poiché la cura principale
del legislatore deve essere quella di fortificare il
principio su cui si fonda il suo potere di governo.
[…]
Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tutto
ciò che è immorale è impolitico,
tutto ciò che è atto a corrompere è
controrivoluzionario. […] Ma noi non pretendiamo
affatto di modellare la Repubblica francese su quella
di Sparta; non vogliamo darle ne l’austerità
né la corruzione dei chiostri. […] Ma quando,
con prodigiosi sforzi del coraggio e della ragione,
un popolo sa spezzare le catene del dispotismo per farne
trofei alla libertà; quando, con la forza del
suo temperamento morale, esso esce, in qualche modo,
dalle braccia della morte per riprendere tutto il vigore
della sua giovinezza; quando alternativamente sensibile
e fiero, intrepido e docile, non può venire fermato
né dai bastioni inespugnabili, né dagli eserciti innumerevoli
dei tiranni armati contro di lui, e quando si ferma
da se stesso dinanzi all’immagine della legge;
quando esso non si eleva rapidamente all’altezza
dei suoi destini, ciò non potrà essere
se non per l’errore di coloro che lo governano.
D’altra parte si può dire, in un certo
senso, che, per amare la giustizia e l’uguaglianza,
il popolo non ha bisogno neppure di una virtù
tanto grande: gli basterebbe poter amare se stesso.
Ma il magistrato — al contrario — è
obbligato a immolare i suoi interessi all’interesse
del popolo; e l’orgoglio del potere alla virtù
dell’uguaglianza. Occorre che la legge sappia
parlare con autorità soprattutto a colui che
ne è l’organo. Occorre che il governo getti
un peso sopra se stesso, per poter tenere unite tutte
le sue parti in armonia con la legge. […] Fortunati
quei rappresentanti che sono legati alla causa della
libertà dalla loro gloria e dal loro stesso interesse
tanto quanto dai loro doveri! […]
Alcuni intriganti subalterni, e spesso anche dei buoni
cittadini ingannati, si schierano ora con l’uno
ora con l’altro dei partiti: ma i capi appartengono
alla causa dei re o dell’aristocrazia, e si riuniscono
sempre contro i patrioti. I furfanti — anche quando
si fanno la guerra tra loro — si odiano molto
meno di quanto detestino la gente onesta. La patria
è la loro preda; si combattono per dividersela:
ma si alleano contro coloro che la difendono. Agli uni
si è dato il nome di moderati; vi è forse
più arguzia che esattezza nella denominazione
di «ultrarivoluzionari» con la quale sono
stati designati gli altri. Una denominazione questa
che, mentre non può applicarsi in nessun caso
agli uomini di buona fede che possono essere condotti,
dallo zelo o dall’ignoranza, al di là della
sana politica della rivoluzione, non riesce a caratterizzare
esattamente gli uomini perfidi che la tirannia assolda
per compromettere, con applicazioni false e funeste,
i sacri principi della nostra rivoluzione.
Ma noi oggi ci limiteremo a proporvi di consacrare con
la vostra approvazione formale le verità morali
e politiche sulle quali deve essere fondata la vostra
amministrazione interna e la stabilità della
Repubblica, così come avete già consacrato
i principi della vostra condotta nei riguardi delle
popolazioni straniere. Intorno a questi principi potrete
raccogliere tutti i buoni cittadini e potrete togliere
così ogni speranza ai cospiratori. In tal modo
darete sicurezza al vostro cammino e saprete confondere
gli intrighi e le calunnie dei re. Onorerete la vostra
causa e il vostro carattere agli occhi di tutti i popoli.
Date al popolo francese questo nuovo pegno della vostra
sollecitudine nel proteggere il patriottismo, della
vostra giustizia inflessibile verso i colpevoli e della
vostra devozione alla causa del popolo. Ordinate che
i principi della morale politica che abbiamo or ora
sviluppato siano proclamati, nel vostro nome, dentro
e fuori della Repubblica.