Maximilian Robespierre

Sui principi di morale politica che devono guidare la Convenzione nazionale
nell'amministrazione interna della Repubblica.
18 piovoso, anno II (5 febbraio 1794)


Noi vogliamo adempiere ai voti della natura, compiere i destini dell’umanità, mantenere le promesse della filosofia, assolvere la provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia. Ecco la nostra ambizione: ecco il nostro scopo. Quale tipo di governo può mai realizzare questi prodigi? Solamente il governo democratico, ossia repubblicano.



[…] Qual è lo scopo a cui tendiamo? Il pacifico godimento della libertà e dell’uguaglianza; il regno di quella giustizia eterna le cui leggi sono state incise non già sul marmo o sulla pietra, ma nel cuore di tutti gli uomini, anche in quello dello schiavo che le dimentica e del tiranno che le nega.

Vogliamo un ordine di cose nel quale ogni passione bassa e crudele sia incatenata, nel quale ogni passione benefica e generosa sia ridestata dalle leggi; nel quale l’ambizione sia il desiderio di meritare la gloria e di servire la patria; ove le distinzioni non nascano altro che dalla stessa uguaglianza; nel quale il cittadino sia sottomesso al magistrato, e il magistrato al popolo, e il popolo alla giustizia; nel quale la patria assicuri il benessere a ogni individuo, e nel quale ogni individuo goda con orgoglio della prosperità e della gloria della patria; nel quale tutti gli animi si ingrandiscano con la continua comunione dei sentimenti repubblicani, e con l’esigenza di meritare la stima di un grande popolo; nei quale le arti siano gli ornamenti della libertà che le nobilita, il commercio sia la fonte della ricchezza pubblica e non soltanto quella dell’opulenza mostruosa di alcune case.

Noi vogliamo sostituire, nel nostro paese, la morale all’egoismo, l’onestà all’onore, i principi alle usanze, i doveri alle convenienze, il dominio della ragione alla tirannia della moda, il disprezzo per il vizio al disprezzo per la sfortuna, la fierezza all’insolenza, la grandezza d’animo alla vanità, l’amore della gloria all’amore del denaro, le persone buone alle buone compagnie, il merito all’intrigo, l’ingegno al bel esprit, la verità all’esteriorità, il fascino della felicità al tedio del piacere voluttuoso, la grandezza dell’uomo alla piccolezza dei «grandi»; e un popolo magnanimo, potente, felice a un popolo «amabile», frivolo e miserabile; cioè tutte le virtù e tutti i miracoli della Repubblica a tutti i vizi e a tutte le ridicolaggini della monarchia.

Noi vogliamo, in una parola, adempiere ai voti della natura, compiere i destini dell’umanità, mantenere le promesse della filosofia, assolvere la provvidenza dal lungo regno del crimine e della tirannia.

Ecco la nostra ambizione: ecco il nostro scopo.


Quale tipo di governo può mai realizzare questi prodigi? Solamente il governo democratico, ossia repubblicano. Queste due parole sono sinonimi, malgrado gli equivoci del linguaggio comune: poiché infatti l’aristocrazia non è repubblica più di quanto non lo sia la monarchia.

La democrazia non è già uno Stato in cui il popolo — costantemente riunito — regola da se stesso tutti gli affari pubblici: e ancor meno è quello in cui centomila fazioni del popolo, con misure isolate, precipitose e contraddittorie, decidono la sorte dell’intera società. Un simile governo non è mai esistito, né potrebbe esistere se non per ricondurre il popolo verso il dispotismo. La democrazia è uno Stato in cui il popolo sovrano, guidato da leggi che sono il frutto della sua opera, fa da se stesso tutto ciò che può far bene, e per mezzo dei suoi delegati tutto ciò che non può fare da se stesso. È dunque nei principi del governo democratico che dovrete ricercare le regole per la vostra condotta politica. […]


Ora, qual è mai il principio fondamentale del governo democratico o popolare, cioè la forza essenziale che lo sostiene e che lo fa muovere? È la virtù. Parlo di quella virtù pubblica che operò tanti prodigi nella Grecia e in Roma, e che ne dovrà produrre altri, molto più sbalorditivi, nella Francia repubblicana. Di quella virtù che è in sostanza l’amore della patria e delle sue leggi. Ma, dato che l’essenza della Repubblica, ossia della democrazia, è l’uguaglianza, ne consegue che l’amore della patria comprende necessariamente l’amore dell’uguaglianza. […] Non soltanto la virtù è l’anima della democrazia, ma addirittura essa può esistere solo in quella forma di governo. […]Soltanto in un regime democratico lo Stato è veramente la patria di tutti gli individui che lo compongono e può contare tanti difensori interessati della sua causa, quanti sono i cittadini che esso contiene. Ecco qui la fonte della superiorità dei popoli liberi su tutti gli altri popoli. Se Atene e Sparta hanno trionfato sui tiranni dell’Asia, e gli svizzeri sui tiranni di Spagna e d’Austria, non occorre affatto cercare altra causa. […]

Ora occorre trarre grandi conseguenze dai Principi che abbiamo qui esposto.

Dato che l’anima della Repubblica è la virtù, l’uguaglianza, e dato che il vostro scopo è di fondare, di consolidare la Repubblica, ne consegue che la regola prima della vostra condotta politica deve essere quella di indirizzare tutte le vostre opere al mantenimento dell’uguaglianza e allo sviluppo della virtù: poiché la cura principale del legislatore deve essere quella di fortificare il principio su cui si fonda il suo potere di governo. […]

Nel sistema instaurato con la rivoluzione francese tutto ciò che è immorale è impolitico, tutto ciò che è atto a corrompere è controrivoluzionario. […] Ma noi non pretendiamo affatto di modellare la Repubblica francese su quella di Sparta; non vogliamo darle ne l’austerità né la corruzione dei chiostri. […] Ma quando, con prodigiosi sforzi del coraggio e della ragione, un popolo sa spezzare le catene del dispotismo per farne trofei alla libertà; quando, con la forza del suo temperamento morale, esso esce, in qualche modo, dalle braccia della morte per riprendere tutto il vigore della sua giovinezza; quando alternativamente sensibile e fiero, intrepido e docile, non può venire fermato né dai bastioni inespugnabili, né dagli eserciti innumerevoli dei tiranni armati contro di lui, e quando si ferma da se stesso dinanzi all’immagine della legge; quando esso non si eleva rapidamente all’altezza dei suoi destini, ciò non potrà essere se non per l’errore di coloro che lo governano.

D’altra parte si può dire, in un certo senso, che, per amare la giustizia e l’uguaglianza, il popolo non ha bisogno neppure di una virtù tanto grande: gli basterebbe poter amare se stesso. Ma il magistrato — al contrario — è obbligato a immolare i suoi interessi all’interesse del popolo; e l’orgoglio del potere alla virtù dell’uguaglianza. Occorre che la legge sappia parlare con autorità soprattutto a colui che ne è l’organo. Occorre che il governo getti un peso sopra se stesso, per poter tenere unite tutte le sue parti in armonia con la legge. […] Fortunati quei rappresentanti che sono legati alla causa della libertà dalla loro gloria e dal loro stesso interesse tanto quanto dai loro doveri! […]


Alcuni intriganti subalterni, e spesso anche dei buoni cittadini ingannati, si schierano ora con l’uno ora con l’altro dei partiti: ma i capi appartengono alla causa dei re o dell’aristocrazia, e si riuniscono sempre contro i patrioti. I furfanti — anche quando si fanno la guerra tra loro — si odiano molto meno di quanto detestino la gente onesta. La patria è la loro preda; si combattono per dividersela: ma si alleano contro coloro che la difendono. Agli uni si è dato il nome di moderati; vi è forse più arguzia che esattezza nella denominazione di «ultrarivoluzionari» con la quale sono stati designati gli altri. Una denominazione questa che, mentre non può applicarsi in nessun caso agli uomini di buona fede che possono essere condotti, dallo zelo o dall’ignoranza, al di là della sana politica della rivoluzione, non riesce a caratterizzare esattamente gli uomini perfidi che la tirannia assolda per compromettere, con applicazioni false e funeste, i sacri principi della nostra rivoluzione.

Ma noi oggi ci limiteremo a proporvi di consacrare con la vostra approvazione formale le verità morali e politiche sulle quali deve essere fondata la vostra amministrazione interna e la stabilità della Repubblica, così come avete già consacrato i principi della vostra condotta nei riguardi delle popolazioni straniere. Intorno a questi principi potrete raccogliere tutti i buoni cittadini e potrete togliere così ogni speranza ai cospiratori. In tal modo darete sicurezza al vostro cammino e saprete confondere gli intrighi e le calunnie dei re. Onorerete la vostra causa e il vostro carattere agli occhi di tutti i popoli. Date al popolo francese questo nuovo pegno della vostra sollecitudine nel proteggere il patriottismo, della vostra giustizia inflessibile verso i colpevoli e della vostra devozione alla causa del popolo. Ordinate che i principi della morale politica che abbiamo or ora sviluppato siano proclamati, nel vostro nome, dentro e fuori della Repubblica.