PHILADELPHIA
Massimo e Franca Maisetti
Accadde a Philadelphia nel
1990. Nella realtà lavvocato si chiamava Clarance B. Cain,
era nero, aveva 37 anni ed era in causa con limportante studio Hyatt
Legal Service che lo aveva licenziato. Malato di AIDS, fu assistito da Richard
Silverberg , bianco, nella causa di discriminazione. Ottenne 150.000 dollari
di risarcimento e Joel Hyatt, suo antagonista, dichiarò pubblicamente il
proprio pentimento e rimorso per laccaduto. Lultimo film di
Jonathan Demme recupera lidea di partenza della cronaca. Reduce dal
prestigioso successo de Il silenzio degli innocenti, Demme confermò
le proprie capacità, abile nellintrecciare verità e verosomiglianza,
cronaca e melodramma, impegno civile e coinvolgimento affettivo. Tanto abile
che il risultato supera le intenzioni, almeno quelle dichiarate pubblicamente
e registrate dalla stampa. Nel momento in cui il più caro amico mi confidò
di essere sieropositivo, ha detto ha detto Demme mi è sembrato
giusto fare un film che contribuisse al dialogo sullAIDS. Fino a che
non colpisce la tua casa, la tua famiglia, il posto dove lavori, lAIDS
è una cosa che vuoi tenere il più lontano possibile. Ma se qualcuno che
mi si ammala, ti trovi costretto ad esaminare e superare la paura e repulsione.
Nel momento in cui ho cominciato il film, mi ero convertito ad un atteggiamento
di rispetto, compassione ed affetto per i malati di AIDS. Questa conversione
si rispecchia nellatteggiamento di Joe Miller, il personaggio che
nel film corrisponde a Richard Silverberg, mentre Andy Beckett è Clarence
B. Cain. Con una variante che va sottolineata: Demme cambia ad entrambi
i personaggi il colore della pelle. Con questo espediente evita che la discriminazione
di Cain possa in qualche modo essere attribuita a motivi razziali. Di più:
affiancando allappestato un avvocato di colore, che in quanto nero
è vittima di una discriminazione storica, amplia il discorso mettendone
in maggior rilievo lemblematicità. Per cui Philadelphia non solo contribuisce
al dialogo sullAIDS al quale Demme ha fatto riferimento, ma trasmette
un bisogno più generale di solidarietà. È una ricerca di comunicazione che
si identifica nel riconoscimento dellaltro come persona e nellapprofondimento
di se attraverso laltro. Il film racconta dunque di Andy Beckett,
giovane e brillante avvocato omosessuale che di punto in bianco scopre
di essere sieropositivo e che, al primo segno visibile della malattia,
viene brutalmente licenziato dallufficio nel quale era stato assunto
grazie alle proprie riconosciute capacità. La motivazione addotta di inaffidabilità
e di scarsa efficienza, è evidentemente pretestuosa, ma per contrastarla
occorrono prove. E, al di la dellepisodio, diventa necessario dimostrare
che la discriminazione di un malato di AIDS è profondamente ingiusta, anche
se i benpensanti sono convinti nel cuor loro del contrario:
in fondo rappresenta la meritata punizione per una diversità colpevole.
Di avvocati disposti ad assumersi un incarico del genere pare che non ce
ne siano molti. Anche Joe Miller, laggressivo nero normalmente disposto
a trattare casi difficili e sgradevoli, di primo acchito rifiuta; soltanto
dopo aver superato a fatica pregiudizi profondamente radicati nei confronti
dellomosessualità e della malattia, accetta di patrocinare Andy in
tribunale. Due momenti risultano sottolineati con particolare evidenza:
da un lato il furore irrazionale di Charles Wheler, lex capo di Beckett,
sdegnato e sconvolto dallidea di aver giocato a golf con un gay e
di aver condiviso con uno sieropositivo il bagno turco, la doccia, lufficio,
i servizi. Dallaltro lato la repulsione immediata, quasi viscerale
e palese di Miller nei confronti di Beckett che è però seguita da dubbi,
ripensamenti ed esitazioni risolti a fatica, senza comunque essere ancora
superati con lassunzione dellincarico. Limpegno non nasce
solo dalla consapevolezza della necessità di battersi per la giustizia,
ma anche dal bisogno di vincere paure inconsce e tradizionali tabù. Questo
itinerario percorso nel nome della ragione fa di Miller lautentico
protagonista del film, sul quale lo spettatore è portato a proiettare e
identificare i propri stati danimo. Di contro, in parallelo, Beckett,
da giovane rampante quale appare nel montaggio nevrotico delle sequenze
iniziali ed esemplare campione di una categoria non amata, omosessuale e
per giunta sieropositivo, viene gradualmente a trasformarsi in vittima da
compiangere, comprendere, sostenere. Sceneggiatore e regista sono bravissimi
nel creare le premesse, il backgrount, le motivazioni che portano gli interpreti
ad identificarsi nei personaggi. Ton Hanks si è guadagnato lOrso
dOro a Berlino e lOscar a Los Angeles perdendo progressivamente
venti chili, mostrando evidenti nel corpo (con trucchi di straordinario
effetto) le varie fasi del morbo. Nasce nei suoi confronti dapprima la
pietà e successivamente la solidarietà, allorché vengono in piena luce i
rapporti sia con la famiglia che lama, laccetta per quello che
è e lo rispetta, sia con lamico Miguel, segnati da tenerezza e affetto
delicato e profondo. Philadelphia supera così i limiti del film
a tesi. La malattia, per quando descritta con efficace realismo, va letta,
infine, solo come segno di diversità. Si può essere diversi perché colpiti
dalla lebbra, dalla peste o dallAIDS, perché neri o gialli o albini,
musulmani o altro: in ogni caso perché non omologhi allidea dominante.
E in caso di integralismo sempre attuale, esplicito o mascherato, il diverso
viene emarginato e privato dei suoi diritti umani e civili. LAIDS
diventa il simbolo del male, del negativo da combattere, è il fulmine che
colpisce laltro, il perverso, il drogato, lomosessuale:
lelemento su cui proiettiamo le nostre ossessioni e crediamo di liberarcene
cancellandolo. Rapportato alla società americana intesa come modello di
democrazia, nel rispetto della legge che tutela lessere umano come
persona, il film si configura come un inno alla libertà e assume in tal
senso una dimensione universale. Libertà di essere, di difendere il proprio
diritto di esistere al di la della morte; simbolo di una individualità
che si contrappone allindividualismo sfrenato.
Il disagio della civiltà contemporanea nasce dalla perdita graduale e costante
del concetto di Persona verificabile nelluniversale
crisi di identità e nella difficoltà di comunicare veramente. La percezione
della propria unicità e individualità è condizione indispensabile alla comunicazione
tra gli esseri umani nel rispetto di se stessi e degli altri. Nella cultura
contemporanea la ragione strumentale e legocentrismo spesso prevalgono
sul rispetto di se e degli altri, stravolgendo il concetto stesso di giustizia
e trasformando la società in una giungla o in un campo di battaglia dove
è arduo distinguere il nemico dallamico e dove comunque lamicizia
è intesa non come fine ma come mezzo. Litinerario percorso da Miller
è la dimostrazione esemplare di una conquista. Lavvocato nero raggiunge
la sicurezza in se stesso attraverso il rispetto per una giustizia autentica,
davvero uguale per tutti. Le iniziali paure, listintivo rifiuto nei
confronti di un pericolo oscuro incombente sulla serenità del proprio lavoro
e sullintegrità della propria famiglia, passano in secondo piano di
fronte allesigenza primaria di coniugare il senso della giustizia
con la crescita e larricchimento di se, il linguaggio irrazionale
degli affetti con la razionalità dellintelligenza. Vi è nel film una
sequenza memorabile che è quella in cui Joe Miller, ormai prossimo alla
fine, ascolta la romanza La mamma morta (dallAndrea
Chenier di Giordano) cantata da Maria Callas in casa Beckett. E il malato
gli apre il proprio cuore. Sono sentimenti, passioni, angosce, che si valgono
del linguaggio primario della musica per sciogliersi in unemozione
profonda, coinvolgendo interpreti e spettatori in un brivido di umanità
destinato a sopravvivere oltre la sequenza. Joe ritorna a casa propria,
abbraccia la moglie e la figlia, e il canto persiste toccante, dando un
senso preciso alle immagini e al film. Luomo, in condizioni normali,
ascolta le parole dette dal suo simile e può capirne o meno il significato.
Ma se riesce ad uscire dalla prigione dei condizionamenti interni, allora
la comprensione scavalca il flusso delle parole per raggiungere ciò che
viene comunicato con lanima. A questo livello morte vita si incontrano
e dalla morte può rinascere la vita. Non è il solo momento in cui Jonathan
Demme si vale della musica quale struttura portante del discorso; la canzone
dapertura di Bruce Springsteen si rapporta al film come la sinfonia
allopera lirica: Non mi riconoscevo, vedevo il mio riflesso
in una vetrina, senza riconoscere il mio stesso viso. Ho fratello, lascerai
davvero che mi consumi per le strade di Philadelphia?. E si sovrappone
al titolo, omaggio alla città nella quale fu dichiarata lindipendenza
e stabilita la Costituzione. Lepilogo, dove il video restituisce allo
scomparso il suo sguardo bambino, si chiude commosso sulle note di Streets
of Philadelphia di Neil Joung