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LA PAROLA A … DOMENICO MODUGNO

Cosa L'ha spinta ad agire nei confronti dell'Ospedale Psichiatrico di Agrigento?

La constatazione di quale tipo di vita conducessero i "disgraziati" che vi erano ricoverati. In sintesi: erano trattati come bestie, anzi, peggio. Allo zoo di Roma gli animali mangiano ogni giorno, stanno in gabbia, è vero, ma l'ambiente  è pulito e, quando ce c'è bisogno perché si tratta di animali che sono abituati a vivere in altri ambienti, c'è un sistema di riscaldamento per evitare malattie ad animali di salute delicata. All'O.P. di Agrigento tutto questo non esisteva: i pazienti erano privi o quasi di vestiti, oppure indossavano abiti di taglie sbagliate e troppo piccole per loro che, oltre a non coprirli, gli toglievano qualsiasi parvenza di dignità umana certamente con enormi conseguenze anche sul loro umore emotivo e sul decorso della cura. In alcune situazioni mancavano i vetri alle finestre con conseguente invivibilità soprattutto nella stagione rigida che ormai caratterizza anche la nostra Sicilia e le città del sud in generale. Al momento dei pasti, al di là della "dieta", era la modalità di servire il cibo che evidenziava da parte del personale dell'ospedale un'assoluta mancanza di rispetto per i malati. Ovviamente a questo si aggiungeva la situazione di assoluta segregazione dei pazienti alcuni dei quali erano ricoverati anche da 45 anni senza aver mai potuto uscire dall'ospedale essendo dunque privi di qualsiasi contatto con la realtà esterna anche intesa in senso fisico e materiale. Alla mia richiesta di motivare questo stato di cose la risposta che continuamente mi sentivo ripetere era "sono pericolosi e non c'è personale sufficiente per tenerli a bada". Così ho voluto fare un esperimento: attraverso il Presidente della Provincia sono riuscito ad ottenere di fare uno spettacolo per i degenti dell'ospedale al Palazzetto dello Sport. Bene, erano presenti 300 pazienti che erano stati accompagnati al palazzetto con il servizio di 2 pullman  e che per le 2 ore del mio spettacolo non ebbero bisogno di essere "contenuti" in nessun caso da uno dei 2 infermieri presenti alla manifestazione. L'idea di questa iniziativa mi era stata suggerita da Mario, un giovane ricoverato paraplegico che per tutto il giorno ascoltava, attraverso un auricolare, le mie canzoni e diceva che ne traeva forza ed incoraggiamento.
Così ho denunciato la USSL di Agrigento da cui dipendeva l'O.P. che è stato di conseguenza chiuso ed ha avuto un commissario "ad acta" per controllare le attività successive. Fra l'altro all'ospedale erano già stati dati finanziamenti per l'esecuzione di lavori di ristrutturazione e di adeguamento delle condizioni di vita, ma a causa delle lungaggini burocratiche e di altri simili impedimenti, i lavori non erano mai partiti ed i soldi erano stati in parte sprecati (ho visto decine di termosifoni ammucchiati al vento e al sole ad arrugginirsi) ed in parte, perdendo valore col tempo, non erano più sufficienti alle necessità. Dopo il mio intervento i lavori sono iniziati e sono già stati consegnati 3 reparti nuovi, adatti alle esigenze di un ospedale e altri 3 dovrebbero essere consegnati fra breve. Pare che anche le uscite dalle mura dell'ospedale siano continuate dopo il mio esempio! Vedremo…

Migliorare le condizioni di vita è già un buon passo… ma Lei crede che occorra fare altro?

Sì, io credo che la strada indicata dalla Legge 180 sia quella da seguire anche se forse ci sono dei percorsi che  occorre seguire soprattutto in una situazione di transizione com'è ancora quella in cui stiamo vivendo. Io che si otterrebbero buoni frutti dall'utilizzo di strutture quali le "case-albergo": sarebbe senz'altro una situazione più vivibile e dal punto di vista umano già questo potrebbe consentire di migliorare la qualità della vita. In più consentirebbe una maggiore autonomia degli ospiti anche solo nel determinarsi la vita quotidiana, l'organizzarsi per vivere, il trovare attività e "lavoretti" da fare che occupino il tempo e rendano le giornate meno inutili e vuote. Credo fermamente che proprio da queste cose, dalla dignità e dal piacere ricavati anche dall'abbigliamento, dalla condizione del proprio corpo, dalla percezione di avere una ragione di vita, derivi un grosso aiuto anche per il miglioramento degli effetti di qualsiasi cura medica o psicologica che sia. Spero che ad Agrigento le cose proseguano su questa linea, o mi vedrò costretto a ri-intervenire e questa volta, con estrema durezza.

Certo in situazione estremamente diversa e con motivi del tutto  differenti, Lei stesso ha sperimentato il calvari della riabilitazione. Qual è il maggiore problema  che ha incontrato?

Certamente il problema più grosso che occorre affrontare e superare è la depressione. Ho visto persone colpite molto più lievemente di me, con danni più superficiali e meno esteso ridursi all'apatia completa e quindi anche trascorrere il massimo del loro tempo senza reagire fino, in alcuni casi, a lasciarsi morire. Io credo fermamente che non si possa non far niente, non reagire. Occorre vincere la depressione che deriva dal rendersi conto che la malattia ha limitato alcune nostre capacità o che siamo costretti, per recuperarle, a faticare, a fare degli sforzi, a fare i conti con paure e incertezze che prima non avevamo. Ma devo dire che tutto questo è superabile se si vuole. Per conto mio ho avuto la fortuna di avere sempre accanto una donna come mia moglie Francesca che mi è stata di enorme stimolo con la sua fiducia e la sua speranza: a lei devo innanzi tutto la mia guarigione. Devo dire che ho incontrato anche dei medici fenomenali che non solo sono stati professionisti seri, ma che sono anche diventati degli amici. Penso per esempio al professor Giaquinto dell'Ospedale dei Cavalieri di Malta, che mi ha fatto riprendere l'uso del braccio sinistro con risultati oltre il previsto grazie al suo buonumore e alla sua sensibilità (lui cantava le mie canzoni ed io dovevo fare gli esercizi tenendo il tempo!). Certo sono stato anche in un ospedale romano S. Giovanni Battista tutto il personale medico era "sparito", in vacanza. Mi rendo conto che questa situazione è molto grave per chi non ha disponibilità e larghezza finanziaria e dunque occorre fare qualcosa perché la situazione migliori. In ogni caso ciò che è  più difficile da affrontare e superare resta la depressione che è fatta spesso di rinuncia assoluta, di incertezza sulle reazioni del proprio corpo che si temono e si intendono sperimentare, di "solitudine" se non c'è qualcuno vicino a te come per me Francesca, o per quel giovane recentemente uscito dal coma, sua madre.

E per chi non ha una moglie o una madre tenaci…

Sono certo sfortunati. Ma di sicuro è necessario personale adeguatamente preparato e qualificato che sia in grado di intervenire a livello psicologico soprattutto sul problema della depressione. Credo che queste persone dovrebbero essere in grado soprattutto di fare tre cose: innanzi tutto dare fiducia al paziente nelle proprie possibilità, aumentare il suo livello di autostima, offrirgli delle ragioni di vita (da un lato i progressi della medicina e della scienza in genere sono così veloci da far pensare ragionevolmente che in futuro potranno esserci delle soluzioni diverse e che quindi, anche solo per questo val la pena di vivere e di lottare; d'altro conto il "lasciarsi andare" peggiora comunque la situazione fino a renderla in alcuni casi irreversibile). In secondo luogo è necessario che un operatore psicologico stimoli la ripresa, incentivi le occasioni che offrono un riscontro positivo, che offrono un rinforzo ad un'attività che pur costando uno sforza porta un beneficio, un miglioramento. Infine occorre far presente le difficoltà che esistono e che renderanno difficile il cammino della ripresa e della riabilitazione, perché il paziente sia preparato e non si abbatta quando incontra insuccessi ed insieme possa affrontare come "normali" gli ostacoli che si presentano. In sintesi un operatore di questo tipo deve essere in grado di rinvigorire il coraggio e la voglia di vivere di questo tipo di pazienti. È evidente che tutto questo non è né semplice né facile e  che quindi è assolutamente necessario ed irrinunciabile che il personale sia preparato con serietà e competenza, pena il procurare più danni che miglioramenti.

Il Suo impegno nella Camera dei Deputati è stato particolarmente significativo relativamente ai problemi sociali: cosa si propone ora il Senato?

Continuerò a privilegiare la mia attenzione e il mio impegno per tutta l'area sociale perché c'è molto da fare. In questo settore vorrei fare qualcosa innanzi tutto per il problema dei malati di AIDS. Purtroppo alcune "pruderie" dell'allora Ministro della Sanità Donato Cattin relativamente alla parola "preservativo" (la riteneva sconveniente da usare) ha ritardato in  modo vergognoso e colpevole l'avvio della campagna sull'AIDS. Io credo che sia assolutamente necessario informare adeguatamente la gente, senza gli eccessi e le volgarità che l'argomento potrebbe suggerire e che pare stimolare alcuni (vedi la pubblicità di alcuni profilattici attualmente diffusa dai mass media), ma con serietà ed esattezza per evitare reazioni esagerate e dannose soprattutto nei confronti di coloro che sono colpiti da questa nuova peste. Anche in questo caso io credo si debba assolutamente evitare di far perdere la condizione di essere umano a chi, fra l'altro, già è in condizioni di sofferenza sia fisica, sia psichica. Mi batterò dunque anche per migliorare le condizioni di vita di coloro che in diversa misura sono colpiti da questa malattia.