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LE
QUESTIONI DI ETICA E LE PROFESSIONI SOCIALI:
QUANDO
INIZIAMO A PARLARNE?
Da
tempo ormai biologi, medici, fisici, addirittura economisti si stanno interrogando
sui problemi etici legati alle loro professioni così mutate negli ultimi
decenni.
Gli psicologi, e gli altri operatori sociali in genere, sembrano invece
piuttosto insensibili al problema. Come mai? Eppure chi opera in questo
settore è a conoscenza di centinaia di situazioni gravissime o meno gravi
che mettono in seria discussione gli aspetti etici del lavoro sociale.
Recentemente la stampa ha dibattuto il problema dei rapporti sessuali fra
analisti e pazienti a seguito di un libro di una scrittrice francese ex-paziente-amante
di (pare) J. Lacan. Quanti degli psicologi hanno sentito parlare di fatti
simili anche in Italia e relativamente ad analisti di chiara fama, non solo
di selvaggi (ormai spariti)?
Ecco alcuni casi giunti a mia conoscenza. Una educatrice di 20 anni
ha una love story (non solo platonica) con un utente di 12 anni. Il direttore
di una nota comunità terapeutica è stato sostituito perché si bucava. Il
suo sostituto è stato sostituito perché spacciava. Il partecipante di un
seminario di formazione per capi intermedi si è lasciato andare a confessioni
personali (era omosessuale): il formatore ha ritenuto di riferire la cosa
ai capi e la carriera dell'imprudente è stata bloccata. Un animatore turistico
va a letto con una cliente, la mattina dopo racconta l'impresa al bar della
spiaggia. Un utente giovane down mostra segni di desiderio sessuale e l'educatrice
lo masturba. Un medico scopre che un paziente ha l'AIDS e subito ne informa
la famiglia. Un medico tace al paziente la scoperta di un tumore ma ne parla
alla moglie. Un'infermiera che lavora in un istituto oncologico per bambini,
quando questi bambini sono un po' irrequieti, si vendica di loro dicendo
a gran voce che l'indomani, quando sarà loro amputata una gamba, si pentiranno.
Un educatore di convitto, durante il pasto, lancia l'intero mazzo di chiavi
in testa ad uno studente irrequieto: sette punti di sutura alla testa. Una
inserviente di un centro geriatrico rifiuta l'acqua ad un paziente moribondo
con la giustificazione che "tanto sta morendo, che fretta c'è".
Un'altra inserviente rifiuta di fare la pulizia al corpo di un paziente
"tanto si sporca subito". In un T-Group un formatore mette fra
i partecipanti la propria moglie. Durante lo sciopero di alcuni operatori,
molti colleghi li sostituiscono coprendo tutte le loro ore di lavoro, così
da facilitare il loro licenziamento. Una rivista di settore viene venduta
alla chetichella, senza che nessun redattore venga né consultato né informato.
Una cooperativa ottiene un appalto contro un'altra, facendo ricorso a lavoro
volontario o nero.
Un campionario di mostruosità eccezionali? Tutt'altro: semplici storie
di ordinario lavoro sociale, spesso più comuni di quanto si dice. Spesso
è una questione di scarsa professionalità; a volte è la carenza di una qualsiasi
etica professionale; ma sempre è questione dell'assenza di controlli da
parte della "comunità" degli operatori. In ogni professione consolidata
si fa affidamento alla competenza e alla coscienza dei singoli, ma ancor
di più ci si affida al controllo sociale o della corporazione o della comunità
territoriale.
Gli operatori sociali stanno uscendo da poco dalla fase "silvana"
e sono quasi del tutto privi di organizzazioni professionali di controllo.
Laddove invece queste organizzazioni esistono (come per i medici) la tendenza
prioritaria è la difesa corporativa, con buona pace dell'etica. In entrambi
i casi la comunità civile e gli utenti sono privi di qualsiasi tutela sul
piano etico.
Quando cominciamo a parlarne? Fra l'altro ci saranno presto occasioni "calde"
per discutere di etica professionale: quando psicologi, educatori, animatori
si troveranno a dover applicare la nuova Legge sulla droga, che mette gli
operatori in obbligo di fare delazione.
Guido Contessa