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L'OPINIONE DI LUIGI PAGLIARANI

1- Alla prima domanda non saprei cosa rispondere perché un uomo "della strada" che sa niente non ha nemmeno le informazioni per scegliere.
La strada più ovvia per trovarle credo sia quella del medico, dell'assistente sociale. Solo che il fatto è questo oggi: il concetto, l'idea, l'informazione, la nozione di psicoterapia e di psicoanalisi sono diffuse: se ne parla nelle vignette, nelle barzellette, alla televisione. Resta il fatto che solo, credo, a giudicare anche dalla gente che si presenta, è una minoranza della categoria di persone che, avendo determinati disturbi, pensa che possano essere affrontati mediante una psicoterapia. I più non lo sanno.
Io trovo di grande interesse quello che si fa  nelle USSL o comunque nelle istituzioni pubbliche. A me succede di fare molti interventi di supervisione, ed in queste occasioni mi accorgo che la categoria di persone che cerca di fruire di una psicoterapia, finalmente, appartiene anche al ceto medio inferiore. Per esempio, se io penso alla mia storia professionale, mi capitò, e per me fu una grande esperienza, molti anni fa, un operaio che lavorava in un'industria tessile e che era stato aggredito da una forma di agorafobia per cui non riusciva più a guidare la macchina… Fu veramente molto interessante perché mi accorgevo quando parlavo con lui, chela mia era una lingua da intellettuale,  mentre la sua era una lingua più semplice, più diretta, per cui mi ha aiutato ad esprimermi secondo la sua lingua. Per me questa è stata una grande esperienza che poi ho messo a frutto anche successivamente. Nella mia pratica mi è capitato anche un operaio, ma se io faccio oggi una valutazione più o meno statistica, quelli che vengono in psicoterapia o che pensano che la psicoterapia possa aiutarli per i loro problemi, appartengono ad un ceto quanto meno acculturato, hanno letto dei libri, sanno che esiste. Attualmente, però, per fortuna con queste istituzioni pubbliche può succedere che ci si rivolga alle USSL per problemi generalmente sanitari, e che poi il medico, o l'assistente sociale o in genere l'operatore interpellato suggerisca l'opportunità di una psico-terapia. C'è una grossa fetta della popolazione che non è informata o comunque non pensa che determinati problemi possano essere affrontati con la psicoterapia. Se però c'è poi un contatto con queste persone, si scopre che c'è di tutto: dalle nevrosi più superficiali, alle forme psicotiche più gravi. Per cui credo che ci sia un lavoro da fare. Per esempio, una rivista come questa potrebbe proporsi anche questo obiettivo: di informare che tutta una serie di disturbi hanno un trattamento elettivo in una psicoterapia. Che sia poi di questa "scuola" o di un'altra poco importa….

2- Il problema dell'informazione "specialistica" è un problema generale. Ci sarebbe da chiedersi quanto la stampa, la scuola, ecc. fanno perché la gente sappia quello che può essere utile a tutti gli effetti. Da noi non c'è lo "spirito di informare", anzi al contrario, c'è una cultura per cui il sapere in quanto - si dice- è potere, è qualcosa che va gelosamente custodito.
La gente in genere non  lo sa. Solo chi ha il contatto diretto con l'ambiente specifico può avere informazioni ad esempio sui tipi di impostazione: la Gestalt, il trattamento freudiano, kleiniano, junghiano, ecc., il training autogeno… Dopo di che comunque chiederà a qualcuno un consiglio o si orienterà autonomamente.
Ma a parte questo c'è un'enorme disinformazione. Bion sostiene che la gestione del potere può essere buona se è attenta a queste tre parole: globalità, integrazione, coerenza. L'integrazione si ha se la gente tutta viene informata su quanto è bene che sappia; la globalità si ha in quanto la visione è completa; la coerenza esiste se le dichiarazioni corrispondono  ai fatti. Manipolazione ed esclusione caratterizzano invece la gestione cattiva del potere. Ora il fatto che la gente non sia informata su quanto sarebbe meglio sapesse, è una forma di esclusione che è a tutto vantaggio di chi decide l'esclusione stessa.
Le racconto un episodio: il Dipartimento delle opere sociali e dell'educazione del Canton Ticino - dove io vivo - ha diffuso un "libretto" indirizzato alle madri neo-puerpere sulle cure pediatriche da somministrare al figlio. L'opuscolo è fatto molto bene sia dal punto di vista professionale , sia perché molto semplice e ricco di immagini (è opera di esperti del settore).
Ebbene, i pediatri si sono lamentati di questo, accusando lo stato di intrusione. Un medico ha denunciato questa situazione di irritazione della categoria fra l'altro citando una ricerca pubblicata da una rivista specializzata inglese che riferiva dell'influenza del periodo dell'allattamento sull'incidenza del cancro nei figli allattati al seno (più lungo era il periodo di allattamento, meno casi di cancro c'erano). In questo modo voleva evidenziare quanto un'informazione possa investire di responsabilità chi ne è a conoscenza.
Anche nel nostro campo vale la pena di fare un opuscolo a disposizione della gente. Anche  la TV di stato o le emittenti locali potrebbero accompagnare l'uscita di un tale libretto con una serie di trasmissioni sull'argomento.
L'informazione è democrazia.
La differenza fra le forme di psicoterapia esistenti è reale, ma oggi c'è certamente meno settarismo di una volta ed è abbastanza normale che si riconoscano apporti teorici importanti anche in impostazioni differenti dalla propria. Io piuttosto mi sono chiesto cos'è che consente ai freudiani, adleriani, ecc. di ottenere e non ottenere un  risultato. In tutte le diverse scuole ci sono successi, ma anche fallimenti in campo psicoterapeutico. Qual è dunque il denominatore comune? Parlavo prima di informazione…. Io oggi definisco il trattamento  psicoterapeutico quale che sia ed il suo stesso fine "educazione sentimentale", dal titolo del romanzo di Flaubert, partendo dal presupposto che noi acculturati siamo sul piano della gestione del rapportarsi coi nostri sentimenti e con  le emozioni nostre e degli altri, semi-analfabeti. E chi viene in analisi - i disturbi sono tanti e fra le persone che "sanno" ne vengono solo alcune - in realtà ambisce a conoscere le sue emozioni e a passare dalla insofferenza, nel senso di insopportabilità, alla sofferenza che non significa masochisticamente "piacere del dolore" ma riuscire a soffrire le emozioni (soprattutto le emozioni belle angosciano). Van Gogh è oggi glorificato, ma quando era vivo non ha venduto un quadro ed  era ritenuto un matto perché il tipo di emozioni che proponeva era intollerabile.
Io stesso ho scritto un libro "Il coraggio di Venere" dove sostengo che ci vuole molto più coraggio ad amare che a fare la guerra!
Io credo che il successo di una psicoterapia dipenda dall'instaurarsi di una relazione creativa, di una copulazion che mette al mondo quello che altrimenti "non nascerebbe". Quindi c'è si tutta l'esperienza e un'autorità di ruolo, ma che consiste soprattutto nel contenere dell'altro ciò che questi non è in grado di contenere provvisoriamente. Tutto qui. Il resto è tutto un dialogo continuo ibridante - dico io - dove la capacità di trovare, scoprire, creare, è pari o addirittura superiore al paziente.
Quindi credo che il trattamento psicoterapeutico ha successo nel corso di questo processo lungo e faticoso se il paziente si "converte" all'amore e alla coniugazione del verbo amare in tutte le sue forme: amare, essere amato, amarsi, che è la cosa più difficile.
Come ci si arriva? L'analista si legittima da solo. L'analisi personale è certo necessaria, ma chi poi decide di lavorare in questo campo secondo me trova in essa solo un corso propedeutico, per imparare il linguaggio, per muoversi in quell'universo; il resto lo fa poi coi pazienti, attraverso i quali spesso scopre aspetti di sé e problematiche che gli erano sconosciuti.
3 - Si parla sempre degli USA e quasi mai del Sud-America e dell'Argentina in particolare che è il luogo dove ci sono la maggior creatività ed il maggior fermento rispetto a questi problemi. Negli USA la psicoanalisi è un business  e non so fino  a che punto questa curva discendente non dipenda proprio da questo. Certo la psicoanalisi americana ha colonizzato ed ha esercitato il suo dominio su quella internazionale facendo sì che i medici se ne impossessassero nonostante la loro impostazione organicistica fosse "sconsigliata£" e considerata "controindicata" da Freud e questo certo provocò una sorta di degenerazione nell'impostazione di fondo. C'è comunque questa preoccupazione, ma credo che non ci possa essere una garanzia.
4 - Anche la diagnostica è un armamentario americano. Io non ci credo. Se diagnosi ci deve essere, sarà il risultato del dialogo prolungato fra me ed il paziente: ad un certo punto sapremo insieme che cos'è e "dove va". Non ci credo  perché anch'io mi sono convertito alle idee di Pichon-Rivière - freudiano ortodosso - che riprende una pagina di Freud dove sostiene che la psicoanalisi è necessariamente quella sociale perché l'individuo è comunque nella società: c'è un endo-cosmo ed un eso-cosmo. Il mondo è pieno di "malviventi" nel senso di gente che vive male. Pichon-Rivière parla di malattia unica, che è la depressione, e tutte le altre forme non sono che appartenenti alla fenomenologia della depressione. Quale manifestazione del poliedro depressione è più visibile oggi: questo è ciò che mi incuriosisce caso per caso, perché mi mette a contatto con la fenomenologia della depressione.