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PSICOLOGIA
ALL'ESTERO
USA
ANNULLARE I PREGIUDIZI PER LAVORARE CON GLI ANZIANI
Un
medico chiese ad un paziente di 65 anni quanti anni avesse avuto suo padre
al momento della morte. "Ho forse detto che è morto?" Rispose
questi.
"No" disse il medico, spiegando che lo aveva supposto dall'età
del paziente. "Mio padre sta bene" aggiunse il sessantacinquenne,
"ha 91 anni e gode di ottima salute". "Bene", continuò
il medico, "quanti anni aveva suo nonno quando è morto?". Nuovamente
gli fu risposto: "Ho forse detto che mio nonno è morto? Ha 119 anni,
ha appena fatto un controllo medico e sta per sposarsi". Il geropsicologo
R. Knight ha raccontato questo aneddoto per illustrare le proprie idee agli
psicologi e agli operatori che già lavorano o progettano di lavorare con
gli anziani. Knight ha consigliato di studiare puntigliosamente il processo
di invecchiamento, di superare le supposizioni e i preconcetti e di imparare
a confrontarsi con l'invecchiamento e la morte ricordando che "il fatto
che il paziente sia più vecchio di noi può rendere l'intervento diverso
sia in termini di contenuto che in termini di processo e tecnica".
Knight, professore presso l'Università della California del Sud, ha sottolineato
come molti ritengano che gli anziani non usufruiscano dei servizi che riguardano
la salute mentale e di cui hanno bisogno. Ha suggerito che ciò può dipendere
dal fatto che le persone nate prima del 1955 non hanno avuto con la psicologia
lo stesso contatto di coloro che sono nati successivamente; inoltre è più
possibile che le persone anziane attribuiscano sensazioni negative quali
tristezza, mancanza di rispetto, depressione, ad una malattia fisica, ad
un malessere morale ( l'abuso di alcool, una "brutta" cosa che
essi fanno, non come una malattia cronica con risvolti psichici). Uno studio
pubblicato nel 1984 mette però in discussione la comune convinzione che
gli anziani non abbiano attenzione nei riguardi della salute mentale. Nell'indagine
svolta dall'Istituto Nazionale di Salute Mentale su circa 3000 residenti
di St. Louis si è trovato che il 9% delle persone sopra i 65 anni con una
diagnosi citata nel manuale diagnostico e statistico usavano servizi che
si occupavano di salute mentale. Era una percentuale più alta di quella
riguardante le persone fra i 18 e i 24 anni con diagnosi confrontate dallo
stesso studio e solo l'1% inferiore a quelli tra i 25 e i 44 e tra i 45
e i 65 anni.
Secondo Knight gli anziani sono spesso pazienti migliori degli altri.
Sono meno resistenti al cambiamento ed è più probabile che seguano i suggerimenti
dello psicologo. Ma poiché sono più scettici nei confronti della scienza
psicologica di quanto non lo siano le generazioni più giovani e poiché hanno
problemi di salute più o meno gravi è facile per loro attribuire la colpa
di tutto ciò che succede al "normale invecchiamento".
Knight ha portato come esempio quello di un anziano con problemi
medici e mentali che va da uno psicologo e dice: "Sono stanco, non
dormo bene e mangio poco perché il mio dottore ha detto che dovevo venire
da lei". Se il terapeuta insiste il paziente ammetterà di essere triste
ma non lo ammetterà necessariamente in relazione con gli altri sintomi.
È lo psicologo che dovrà poi mettere in evidenza la relazione e spiegare
al paziente che i sintomi che lui avverte sono probabilmente dovuti a depressione
e non a "normale invecchiamento". "È anche probabile che
si debba negoziare la diagnosi e superare le obiezioni del paziente"
ha aggiunto Knight. "Dite loro di considerare ciò che avete detto come
una ipotesi di lavoro. Non è necessario che venga accettata. Si facciano
6 o 8 incontri e si vedrà se si fanno progressi". Secondo Knight potrebbero
essere sorpresi dalle idee errate che gli anziani hanno sulla terapia ambulatoriale
ed ha portato l'esempio di un anziano che si chiedeva se una volta entrato
in terapia sarebbe riuscito a rientrare a casa la sera. L'opinione di Knight
è che la terapia e in genere l'intervento con i pazienti più anziani possa
costituire "una sfida maggiore" rispetto a quella fatta con pazienti
i cui problemi sono già stati sperimentati dall'operatore nella propria
vita (come ad esempio sposarsi, scegliere una carriera o trattare con i
propri genitori). Quando si lavora con adulti più anziani non si ha questo
tipo di protezione. Ci vengono prospettati problemi che altrimenti ignoreremmo.
Lavorare con gli anziani può farci riflettere su cose a cui altrimenti non
penseremmo; può perciò renderci più maturi, ma anche portarci stati ansiosi
inattesi.
Se il paziente è molto più vecchio dell'operatore o del terapeuta, il transfert
assume una nuova dimensione. Gli anziani possono vedere l'operatore come
un loro figlio o un nipote e riandare alla loro giovinezza e vedere l'altro
come lo sposo e la sposa durante i giorni romantici ormai trascorsi. Il
controtransfert può essere altrettanto problematico. Knight afferma che
"molti operatori possono provare strani sentimenti" nell'intervenire
su immagini vive dei loro 'genitori' e si preoccupano che i loro clienti
non li rispettino come professionisti o dubitino delle loro capacità di
aiutarli. Gli psicoterapeuti possono avere nei confronti dei loro genitori
sentimenti irrisolti che potranno riemergere con maggiore frequenza lavorando
con gli anziani. Secondo Knight il consultarsi con dei colleghi potrebbe
aiutare a risolvere questi problemi. Gli operatori e gli psicologi che lavorano
con gli anziani trascorreranno più tempo ad aiutare i pazienti a far fronte
a seri problemi di ordine medico. Psicologo e operatore "potrebbero
essere l'unica persona che sta con una persona anziana e parla di come sia
piacevole la vista e non essere in grado di riacquistarla". Knight
suggerisce di aiutare i pazienti ad accettare le perdite che si verificano
con l'avanzare dell'età ed a reinterpretare la loro vita alla luce di esse.
"Un terapeuta o un operatore talvolta deve guardare il paziente e dirgli
che non potrà mai tornare ad essere quello che era prima della malattia".
Le persone si rinfrancano se capiscono la perdita di una funzione ed hanno
la possibilità di esprimere i loro sentimenti. Secondo Knight quando gli
anziani si ammalano psicologi e operatori dovrebbero documentarsi sulla
malattia in modo tale da poter parlare intelligentemente al medico del loro
paziente, imparare quali medicine egli prenda e come ciascuna medicina agisce.
Potrebbe così controllare l'assunzione dei farmaci e capire perché egli
ne prenda troppi o troppo pochi. Knight ha consigliato al pubblico di scoprire
che cosa significhi invecchiare cercando di conoscere il più possibile il
processo di invecchiamento: cosa in esso appartiene alla norma e cosa è
fuori dall'ordinario. "Pensate alla percezione o alla padronanza del
linguaggio dell'anziano, andate a vedere cosa significhi vivere in una casa
di cura, controllate il cibo e le attività sociali, ascoltate le conversazioni
di coloro che vi risiedono, scoprite quali servizi sociali sono disponibili".
Un altro grosso problema che psicologi e operatori che lavorano con
gli anziani affronteranno è il dolore. Spesso gli anziani sperimentano un
"processo di dolore multiplo: 2, 3 o 4 morti in periodi di 3 o 4 anni".
"Di solito questo implica riportare alla luce i problemi derivati da
un precedente dolore perché ogni morte richiama quella avvenuta prima".
Knight aveva in trattamento una donna quando i suoi figli morirono
inaspettatamente. Erano entrambi fisicamente disabili in modo grave e cronico.
Uno aveva circa 45 anni, l'altro circa 40. Dai 25 ai 75 anni la vita di
questa donna era stata dedicata alla cura degli altri e si scoprì che non
vi era stata disperazione per la morte del marito avvenuta 16 anni prima.
Essa si era buttata nel ruolo di assistente dei figli. La sua relazione
con loro, complessa e reciprocamente controversa, dipendeva in parte dal
fatto che il figlio maggiore aveva preso il ruolo del padre, critico ed
offensivo nei suoi confronti; nessuno aveva identificato questo come un
problema. Come molto spesso si verifica si stava lavorando simultaneamente
sul dolore per la perdita dei figli e su quello per la precedente perdita
del marito. Knight ha invitato gli operatori che decidono di modificare
il loro approccio con un anziano a chiedere prima di tutto a se stessi:
"Modificherei l'intervento se questa stessa persona, con gli stessi
problemi, avesse 35 anni?" Talvolta la risposta è negativa, ma altre
volte è positiva. Kinght ha suggerito di adattare l'intervento e la terapia
alla situazione della persona, non dell'età. Una volta, dopo aver parlato
di questa situazione ad un gruppo e gli disse di aver trattato una coppia
di persone anziane che voleva divorziare; il terapeuta aveva cercato di
convincerli a non farlo in quanto non capiva il motivo per il quale una
coppia di anziani desiderasse dividersi. Dopo la chiacchierata che Knight
aveva fatto sull'argomento, il terapeuta riferì di essersi reso conto che
la coppia voleva divorziare per la stessa ragione per cui una coppia giovane
vuole dividersi: "Perché la relazione era diventata insopportabile
ed infelice".
M.
Youngstrom, da APA Monitor, vol. 21 n. 12 - dicembre 1990
Traduzione
a cura di A. Lijoi