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AMBIENTE COME TERAPIA: UN APPROCCIO IN PSICOLOGIA ONCOLOGICA

Ogni situazione patologica comporta variazioni specifiche a livello psicosomatico, relazionale e sociale risultanti fondamentali dall'intreccio di tre fattori:
1)      caratteristica della patologia
2)      caratteristiche di personalità e modelli di riferimento del soggetto
3)      caratteristiche dell'ambiente familiare, sanitario e sociale.

Stati emotivi per cui gli esseri umani sono biologicamente tarati (dolore, paura, frustrazione ecc.) possono divenire, in queste circostanze, insostenibili. Occorre allora agevolare il normale processo psicofisiologico di integrazione del proprio interno con la realtà esterna modificata per evitare effetti che alterino ulteriormente l'equilibrio psicofisico della persona già seriamente compromesso e per favorire, ove possibile, il riallineamento funzionale delle risorse neurovegetative, neuroendocrine e immunitarie.
Il vissuto delle persone affette da cancro, anche se con differenti stati di consapevolezza, implica tipiche reazioni emotive legate soprattutto alla minaccia al senso di integrità psicofisica, alla perdita di ruoli sociali e all'angoscia di morte, con alcuni aspetti comuni a tutte le malattie gravi ed altri tipici della malattia oncologica, fino a configurare, nella specificità di insieme, una vera e propria "sindrome psiconeoplastica" (Guarino, Ravenna 1990).
Se, come in ogni sindrome, le componenti sintomatiche sono relativamente costanti, le modalità con cui si reagisce alla scoperta della patologia, all'iter diagnostico e terapeutico, variano invece da individuo a individuo. Una situazione di crisi aperta da un qualsiasi evento fortemente traumantico, qual è la malattia oncologica, sconvolge il progetto esistenziale della persona e destabilizza meccanismi di difesa troppo rigidi o poco strutturati lasciando così emergere nodi conflitttuali fino a quell'evento sufficientemente controllati e attivando, a volte, tratti psicopatologici fino a quel  momento neutralizzati.
Il processo invasivo tipico delle neoplasie determina una marcata angoscia di disgregazione conseguente l'alterazione del vissuto corporeo e dell'identità, nonché un forte incremento di pressioni pulsioni ed emotive che inducono un processo regressivo. Questo processo si esprime, a livello comportamentale e relazionale, nell'incapacità di gestire sia i bisogni affettivi e sociali modificati dall'evento malattia, sia le richieste provenienti dalla mutata realtà. La configurazione strettamente individuale che ne scaturisce suggerisce interventi diversi per l'elaborazione a livelli diversi.
D'altro canto il vissuto del cancro apre una serie di problematiche che non solo coinvolgono l'esperienza esistenziale del singolo, ma hanno una immediata risonanza, a livello emozionale, nell'ambiente familiare e nei membri stessi dell'équipe  curante, spesso inconsapevolmente, a volte con modalità di assoluta negazione.
In quanto partecipe dell'immaginario collettivo, ogni individuo è portatore, nel suo immaginario individuale, dell'equazione cancro = sofferenza prolungata, morte a breve termine certa e dolorosa, così radicata nella nostra cultura; se quindi la persona non è in grado di riattivare la propria fiducia di base e non può confrontarsi con esperienze di esito positivo ( consistentemente esistenti, ma su cui manca quasi totalmente l'informazione), cade in una depressione totale di cui la stessa malattia oncologica si alimenta nel suo progredire.
L'individuo è una inscindibile realtà psicofisica la cui qualità di vita ed esistenza stessa è data dalla costante interazione con l'ambiente, con il contesto sociale, storico, spaziale in cui è inevitabilmente immerso. Di fronte alla patologia oncologica occorre dunque prendere seriamente in considerazione le dimensioni psicologiche del problema non solo in relazione al malato, ma anche al nucleo familiare, all'équipe curante e all'entourage amica e sociale in senso più ampio.
Prendono così significato espressioni quali: ambiente come terapia, prendersi cura, gruppo curante. Nelle strutture sanitarie con funzioni di prevenzione, diagnosi e terapia delle neoplasie, è ormai luogo comune "parlare" di relazione tra componenti fisiche e psichiche nell'insorgenza e nella progressione della patologia. Nei centri pilota si creano strutture che mirano ad una "presa in carico globale" del "paziente" oncologico e ad una "formazione  permanente" rivolta agli operatori socio-sanitari.
Questi centri, tuttavia, oltre ad essere "perle rare" nel Servizio sanitario nazionale denunciano, già nella terminologia, l'ideologia comunque restrittiva su ci si fondano.
Ogni persona vive infatti la propria vita secondo una personale scala di bisogni e secondo criteri di verità e moralità che ha costruito in relazione alla sua esperienza di "essere nel mondo". L'individuo è così impegnato a realizzare, pur nell'interdipendenza con gli altri tipica della  natura umana, una completa autonomia con assunzione totale delle responsabilità dei propri pensieri ed azioni tesi ad un constante e creativo sviluppo del potenziale personale, sia pur con le possibili limitazioni e variabili del caso.
Espressioni come: presa in carico, paziente, operatori socio-sanitari non comprendono concetti quali: responsabilità della propria vita, globalità dell'essere umano, interrelazione, constestualizzazione,  qualità di vita, tutti elementi che richiedono un ampio intervento di sensibilizzazione, informazione e formazione ancor prima che si possa parlare di prevenzione, diagnosi e terapie.
È di estrema importanza nella lotto contro il tumore ciò che la persona sa e crede sul cancro perché l'impatto con la malattia, specie se ad eziologia ancora incerta, non è un problema individuale bensì una realtà drammatica altamente dipendente dal vivere sociale, dall'organizzazione delle strutture: in una parola "dalla cultura". La lentezza nel cambiamento dello stereotipo della malattia cancro, malgrado le informazioni oggi in circolazione, dimostra l'esistenza di un vero e proprio "mito del cancro", moderno tabù su cui si appuntano antiche e numerosi pregiudizi legati a problemi esistenziali insiti nella natura umana.
Da una parte l'informazione è scarsa o errata; i mezzi di comunicazione di massa continuano ad usare allocuzioni vaghe e misteriose per definire il cancro, le sue origini, le possibilità offerte dalla prevenzione,  dalla diagnosi precoce, alla terapia; non si spiega mai chiaramente che  il  cancro è un fenomeno complesso le cui possibilità di insorgenza e di risposte terapeutiche non sono univoche. D'altra parte una maggiore conoscenza della malattia oncologica non ha modificato l'evocazione di "morte" associata alla parola cancro e neppure aumentato la frequenza con cui la popolazione ricorre agli strumenti di diagnosi precoce.
L'efficacia dell'informazione (comprensione, ritenzione, modifica dei comportamenti) dipende strettamente dalle caratteristiche specifiche del contesto di ricezione d in particolare dalle esperienze personali e dalla struttura di personalità che riceve il messaggio. La trasmissione di informazioni tramite i mass-media o campagne di educazione sanitaria generalizzate risulta facilmente insufficiente e/o inadeguata in quanto non selettiva non potendo tenere conto delle molteplici differenze individuali dei riceventi: si raggiunge un vasto pubblico cui, tuttavia, non si riesce a comunicare.
Il problema di base diventa  comunque favorire la diffusione di una informazione corretta e capillare. Ancora oggi infatti la prevenzione e la diagnosi precoce sono le sole forme di difesa: l'una per evitare l'insorgenza del cancro, l'altra per permettere una completa guarigione in una percentuale di casi sempre più alta. Occorre "cambiare" l'immagine collettiva del cancro, creare, per quanto possa apparire assurdo, una "cultura del cancro" individuando aspetti cognitivi.
Questo seppur lento cambiamento culturale, insieme alla costituzione di strutture adeguate non solo dal punto di vista medico ma anche psicologico e sociale,  ed alla formazione di équipes integrate opportunamente qualificate (medico di base, medico specialista, infermiere, assistente sociale, volontario) permetteranno alla persona che vive direttamente l'esperienza del cancro di rimanere protagonista responsabile della propria vita, affrontando il cambiamento obbligato imposto dalla malattia pur con diversi livelli di consapevolezza.
In questa visione complessiva del "problema cancro" si inseriscono programmi di informazione, formazione e servizi qual è quello attuale presso l'Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell'Individuo e della Comunità  (A.S.P.I.C.) Via Vittore Carpaccio 32, 00147 Roma - Tel. 5926770 - 3496410

Anna Rita Ravenna
Psicologa clinica e Psicoterapeuta della Gestalt.
Si è perfezionata in Psicologia Oncologica pres-
so la Facoltà di Medicina dell'Università di Roma;
         collabora con il servizio di Oncologia Medica Com-
plementare dell'Istituto dei tumori R. Elena di Roma
(Primario prof. Terzoli) e svolge attività didattica e
professionale a Roma e Firenze