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STRESS, RIFLESSIONE CRITICA
(parte prima)
"Stress"
è una parola straniera decisamente alla moda.
Affaticamento, stanchezza, logorio, nervosismo, sotto tensione, ansietà,
ecc., sono solo alcuni dei tanti significati che può esprimere. Sforzo è
però la traduzione italiana più appropriata per esprimere l'originario concetto
scientifico di "stress". L'uso polisemico che ne fa il linguaggio
comune produce confusività anche in ambito scientifico.
Quindi facciamo un po' di chiarezza sull'argomento.
Il concetto di stress nasce in ambito medico e specificamente ad
opera del fisiologico H. Selye. L'Autore, antesignano della visione olistica
del corpo, è stato influenzato dal grande francese Claude Bernard che affermava,
in termini omeostatici, che è caratteristica di ogni organismo vivente la
capacità di mantenere la costanza all'interno del corpo. È su questo assunto
di base che Selye introduce il concetto di "sforzo" per mantenere
l'equilibrio omeostatico del corpo contro l'intrusione o il cambiamento
proveniente dal mondo esterno. Egli racconta: "Al secondo anno di medicina,
nel 1926 mi trovai per la prima volta di fronte a questo problema: ogni
volta che dal corpo si esige una prestazione molto impegnativa, esso reagisce
nello stesso modo. Allora cominciai a domandarmi come mai pazienti colpiti
dai mali più diversi, che ne minacciano l'omeostasi, rivelino tanti sintomi
e segni uguali. Uno che soffra di cancro in stato avanzato, sempre perde
appetito, forza muscolare e volontà di agire; di solito diminuisce anche
di peso e mostra persino nell'espressione del volto di essere malato. Qual
è la base scientifica di quello che allora definii dentro di me sindrome
dell'essere malati?" (10)
Così Selye introduce il concetto di stress. Il merito di Selye, "escogitando"
prima e sperimentando poi lo "sforzo biologico" dell'organismo
per reagire all'ambiente, è stato quello di fornire alla ricerca la chiave
di lettura olistica che ha prodotto nuove conoscenze sul funzionamento del
corpo.
Attualmente esistono diversi approcci e modelli.
Modello fisiologico
Nel
1936 Selye inizia i suoi esperimenti di laboratorio. A seguito di essi si
verificava che, indipendentemente dagli organi in cui erano state iniettate
certe sostanze, la reazione organica dei topi era sempre la stessa: ispessimento
e iperattività della corteccia surrenale, atrofia del timo e dei linfonodi
e comparsa di ulcere duodenali. Fenomeno patologico che inizialmente venne
definito "sindrome provocata da diversi agenti nocivi" e che successivamente
si trasformò in "Sindrome Generale di Adattamento". Successivamente
si scopre che il fenomeno in questione, rivisto in termini processuali,
si articola in fasi, di cui la prima viene definita come "reazione
d'allarme" dell'organismo caratterizzata in particolar modo da iperattività
della corteccia surrenale e conseguente forte scarica di adrenalina nel
sangue. Mentre la seconda fase, detta della "resistenza" è quella
che mantiene attivati per un certo periodo di tempo nell'organismo, e particolarmente
nel flusso sanguigno tali stressanti "messaggeri" ormonali per
sostenere il prolungato "sforzo" che l'organismo è costretto a
compiere. Segue infine la fase di "esaurimento", quando cioè è
"cessato lo sforzo" vengono ripristinate le condizioni "normali"
dell'organismo.
Si riesce a comprendere che l'insieme delle tre fasi appartiene a una reazione
"fisiologica" naturale dell'organismo e che si può parlare di
"sforzo patologico" solo quando lo stress si fissa nella seconda
fase, quella definita della "resistenza".
In base a quanto detto è possibile cominciare a fare una prima sostanziale
differenziazione tra "stress fisiologico" e "stress patologico".
Stress patologico è quando il soggetto non riesce a staccarsi dalla fase
di "resistenza" con varie conseguenze: sintomi nevrotici quali
ansi e fobie; malattie psicosomatiche; forse anche le cosiddette vere malattie:
infettive, oncologiche e autoimmuni (sclerosi multipla, lupus, artrite reumatoide,
ecc.).
Ma allora in questo caso il termine "sforzo patologico"
è completamente assimilato a quello di "malattia" , malattia però
che non è più concepita come statico "dato" bensì come dinamica
espressione comportamentale significativa per il soggetto di uno scontro
con il mondo, interiore o esteriore che sia.
Fatto questo essenziale chiarimento resta ancora da definire il fenomeno
nei suoi aspetti più propriamente "qualitativi". Sul piano pratico
è evidente che nel caso limite di morte per infarto è del tutto irrilevante
sapere se l'infarto sia stato causato da una intensa emozione (piacevole)
oppure da una violenza emozione (spiacevole), mentre ai fini del completo
recupero del paziente post infartuato questa distinzione diventa essenziale
per la necessaria psicoterapia riabilitativa. È infatti assai diverso il
lavoro psicoterapeutico con un soggetto a personalità narcisistica o con
un soggetto fobico oppure con un malato psicosomatico (l'equivalente sintomatico
dello "stress cronico"). Distinzione che rivela altrettanto essenziale,
ai fini della ricerca, per cercare di capire i fattori psicosociali e intrapsichici
implicati. Lo stress (piacevole) di una conquista amorosa, è intuibile col
comune buon senso, non può avere le stesse identiche conseguenze dello stress
(spiacevole) di essere abbandonato dall'amato bene.
Eppure ancora oggi sono in voga scale di valutazione dello stress, come
per es. quella di R. H. Rahe, in cui la quota di 300 punti, (raggiunta con
qualunque tipo di stress) corrisponderebbe all'80% di rischio di grave malattia.
Nei punteggi si sommano tanto lo stress per la "separazione dal coniuge"
quanto quelli per la "riconciliazione col coniuge". Da questo
confusivo di intendere lo stress consegue un appiattimento totale della
vita. Spero che nessuno prenda sul serio la semplicistica prescrizione di
evitare qualunque tipo di stress. L'ideale "annichilatorio" di
questo tipo di concezione di anti-stress è il cadavere.
Dal Selye fisiologico degli esordi che teorizzava di curare lo stress
asportando chirurgicamente le ghiandole surrenali, all'ultimo Selye "psicologo"
degli anni 70 che affermava: "Lo stress è il prezzo che l'uomo paga
per realizzare ciò che egli considera importante", il progresso è del
tutto evidente.
Una prima considerazione di carattere generale: la "sindrome"
da stress, alla stessa stregua di tutte le altre diagnosi d'ordine nosografico
(classificatorio), senza la conoscenza delle soggiacenti complesse psicodinamiche
del soggetto, è una sterile "etichetta". Si tratta di non cascare
nella trappola di intendere lo "stress" in senso quantitativo
e statico mentre invece è da intendere in senso dinamico e qualitativo cioè
sintomo comportamentale significante di una dinamica interiore psico-biologica
in relazione a fattori psicosociali e ambientali.
Modello comportamentistico
Il modello, dei primi del 900, risale al noto e semplice assioma dell'americano Watson, traducibile nel seguente schema:
STIMOLO
(Ambiente) --- RISPOSTA (Comportamento).
In senso comportamentistico la reazione dell'organismo, tanto segnalata
con il "dato" (tasso di adrenalina nel sangue e ingrossamento
delle ghiandole surrenali),quanto dalla misurazione della tensione muscolare,
viene sempre intesa come RISPOSTA
Così come le "cause" della malattia risiedono generalmente fuori
dall'organismo (traumi fisici, radiazioni, virus, ecc.), così le "cause"
dello stress stanno fuori dal corpo. È fin troppo evidente a tutti che il
"farsi del nervoso" sia collegato ai crucci della vita e che questi
sono in gran parte dovuti alla relazione con l'altro: direttore, capufficio,
genitori, coniuge, figli, ecc.
Tutto ciò può essere sintetizzato con STIMOLO STRESSANTE identificandolo,
così facendo, lo stress alla "CAUSA" ambientale, in particolare
al fattore umano.
È fuori di dubbio, a questo punto, che oltre ad aver messo in evidenza la
CAUSA ambientale si è anche introdotto il FATTORE psicosociale, o relazione
dello stress.
Inoltre si chiarisce finalmente che la parola stress può essere intesa tanto
come CAUSA che come EFFETTO oppure in termini comportamentistici, come STIMOLO
e RISPOSTA, sia in senso psicologico che organico e esso può essere causato
da fattori fisici e psicoemotivi tanto esterni che interni, sia piacevoli
che spiacevoli.
Fattori psicologici di stress quali introversività, insicurezza, ansia,
sono stati predisposti anche con questionari e test.
Come già detto sono state predisposte scale di valutazione in cui
sono riportati tutti gli eventi stressanti possibili dalla nascita alla
morte, senza distinzione alcuna tra l'estremo piacere o l'estremo dispiacere.
Il più noto dei questionari di questo tipo è forse quello che descrive il
"profilo" di personalità a rischio di infarto: il "modello
comportamentale di Tipo A", concepito come un "complesso di azione-emozione
caratterizzato da ambizione, aggressività, competitività e insofferenza,
da forme di comportamento caratterizzate da tensione muscolare, vigilanza,
linguaggio rapido ed enfatico, ritmo rapido di vita e da risposte emotive
di irritazione, ostilità e rabbia", e il suo complementare "modello
comportamentale di Tipo B" che prevede un soggetto "più disteso,
spontaneo, contentabile".
Sono stati indicati anche gli indicatori interni (scala di H. Selye,
1976 adattata da M. Farné).
A mio avviso tali tabelle e indicatori anonimi, fintanto che non si stabilisce
qual è il motivo individuale che sottende lo "sforzo" contribuiscono
solo a suscitare ulteriore ansia.
Tuttavia la chiave di lettura "comportamentistica" si sono almeno
distinti chiaramente i fattori stressori esterni (ambientali: fisici, psicosociali)
dagli effetti interni (organici) dello stress.
Modello Psicoanalitico
La
descrizione esterna di un comportamento non è sufficiente a comprenderne
il suo significato intrinseco. Ma se insieme alla descrizione circostanziata
dell'organismo sotto sforzo, si riescono a cogliere sentimenti e psicodinamiche
, inconsce, il sintomo comportamentale acquista senso e significato.
Tutto ciò presuppone l'esistenza di un complesso e raffinato FILTRO mentale
interno, abbondantemente scandagliato dalla psicoanalisi, che si colloca
tra la causa ambientale e il comportamento.
È a seconda del peculiare modo di essere del soggetto che uno stimolo ambientale
può essere vissuto come emozione stressante "spiacevole" (ansia,
panico, ecc.) oppure come emozione stressante "piacevole" (euforia,
esaltazione, ecc.). Ma questo ipotetico stimolo può anche essere vissuto
in modo distaccato, vale a dire senza particolare stress emotivo.
Secondo la psicoanalisi l'individuale maniera di agire è la sedimentazione
delle vicissitudini infantili tradottesi in termini di dinamiche intrapsichiche
inconsce - consce le cui varie istanze (Es - Io - Super-Io) in conflitto
fra loro creano il sintomo, qui inteso come stress. È stato così messo in
evidenza il "fattore interno", dello stress inteso come "sforzo"
mentale interiore che può sfociare in un disturbo di personalità anche grave,
quale può essere una psicosi o una malattia psicosomatica. Stress sta qui
al posto di personalità nevrotica, maniacale, depressiva, psicotica, ecc.
In questa ottica, pur avendo fatto dei notevoli passi in avanti, si resta
sempre nella concezione psicopatologica.
Modello etologico-psicoanalitico
L'etologia
è stata un'utilissima e illuminante chiave di lettura che, concependo lo
"stress come un naturale comportamento finalizzato a uno scopo",
ne ha messo in evidenza l'aspetto sano e positivo. Ciò evita il rischio
di patologizzare la vita in toto. Per la verità però occorre anche dire
che, pur evidenziandone il lato patologico - nevrotico, psicotico, psicosomatico,
ecc. - nell'adleriano concetto di "stile di vita" era già implicito
il senso finalistico del sintomo comportamentale dell'individuo.
In senso finalistico-etologico la "sindrome generale di adattamento"
si presenta densa di significati. L'osservazione del comportamento animale
sui babbuini ha rilevato che di fronte ad un predatore, il capobranco assume
una tipica postura di difesa/attacco: inarcamento della muscolatura, mimica
facciale aggressiva. L'atteggiamento posturale di difesa/attacco osservata
nel babbuino vale, seppur con le dovute differenze, sostanzialmente anche
per l'uomo.
In questo scenario lo stress diventa solo una parola che serve a richiamare
alla mente il comportamento finalizzato allo scopo più elevato della natura,
quello della sopravvivenza. Si risolve nel qui ed ora. Nel contesto civilizzato
corrisponde alla lotta quotidiana. L'atteggiamento "febbricitante",
tipicamente umano, che corrisponde secondo l'ottica di Selye, alla fase
della "resistenza", sebbene in gradazione emotiva più sfumata,
è certamente uno "stress" subdolo e pernicioso per l'uomo moderno
civilizzato, ma indubbiamente anche "stress" fonte di sviluppo
intellettuale, acquisizione di "abilità" impensabili. Però questo
atteggiamento, con conseguente comportamento di costante "arrovellamento"
e ansia, può essere rivelatore di un conflitto interiore (del tipo nevrotico)
che blocca completamente lo sviluppo della persona e si traduce frequentemente
a livello neuro-endocrino in altrettanti contraddittori e "logoranti"
messaggi ormonali che, come esito finale, si manifestano attraverso un'ampissima
gamma di disturbi psicosomatici e malattie. Tipo di stress che in altri
termini potremmo definire da "conflitto irrisolto", assai differente
per dinamiche interne dagli altri due tipi di estremi di stress, che emblematicamente
possiamo definire del "predatore" e della "preda". In
questo caso si può supporre che la componente centrale di questo tipo di
stress sia "conflittuale", in definitiva del tipo già sostanzialmente
"umano". Stress da cui ha esordito il primo abbozzo di pensiero
riflessivo, che è, sostanzialmente, pulsionalità inibita, ristrutturazione
più ampia del campo, al fine di risolvere il problema e perseguire uno scopo
non immediato. Prestare la massima attenzione ad ogni compito è sostanzialmente
l'equivalente del "puntare" la preda con lo stress tensionale
che ne consegue. Non siamo pura mente!
È comunque assodato che lo stress da "affaticamento mentale" non
è di poco conto.
Si è così giunti a identificare lo stress con la mente, i conflitti
irrisolti e le sue finalità, e il conseguente inscindibile legame che ha
la mente col corpo. Detto ciò tuttavia no abbiamo ancora evidenziato le
caratteristiche peculiari dello stress "dannoso" o "negativo"
e quelle dello stress "benefico" o "positivo".
L. Fasce - AIPAC