indice generale

PSICOLOGIA  & CREAZIONE ARTISTICA

I SURREALISTI

Il termine “Surrealismo”, coniato da Guillaume Apollinare, si riferisce a “un certo automatismo psichico che corrisponde abbastanza bene allo stato di sogno”. La definizione è di Andrè Breton che del Surrealismo fu ispiratore, ideologo e sacerdote. Arturo Schwarz, poeta, scrittore, editore, gallerista, artista e saggista d’arte ribadisce: è arte, amore, rivoluzione, non solo poesia, spettacolo, fotografia, libri, ma una filosofia della vita, uno stato d’animo, una morale, una purezza, un bisogno di libertà. Il Surrealismo rivaluta l’onirico, presente in tutte le grandi espressioni artistiche. Quanto al termine “Surrealismo” sottintende il concetto di movimento, di scuola.
È meglio invece parlare di spirito surrealista o di surrealisti. Il surrealista è un sognatore che vuole trasformare il mondo per cambiare la vita; e quindi conoscere se stesso per trasformare il mondo.
L’inconscio di esprime per immagini, diceva Carl Gustav Jung. Le immagini vanno sempre al di là delle parole, scriveva Max Ernst nel 1925. Le immagini dei surrealisti richiamano fantasmi  e  memorie, sogni, miti e leggende. Si stabiliscono nuovi rapporti tra parole e immagini in un processo nel quale le parole rappresentano il momento della riflessione, le immagini aprono prospettive a sorpresa, inafferrabili dalla ragione analitica. Per Freud il bambino per diventare adulto deve sottrarre energia dall’es, cioè dall’istinto, per rafforzare l’io, cioè la ragione.
L’artista tenterà il percorso inverso, ridando all’istinto la possibilità di esprimersi attraverso simboli  del mondo istintuale dell’infanzia. Le immagini vivono in un’intensa capacità inventiva e fantastica, continuamente posta in discussione, attuata con artifici tecnici le cui risultanze sfuggono alle previsioni dell’autore. Non è il sogno che crea l’immagine, ma l’inverso: ed ecco la scoperta del frottage, il gioco infantile in cui una matita morbida passa su una carta sovrapposta ad una superficie ruvida o con leggere increspature, producendo un’immagine che non ha nome, dove la mano dell’artista  ha seguito un itinerario casuale, indipendente dai codici esitenti.
Il surrealismo e la pittura”, l’imponente olio su tela realizzato da Max Ernst nel 1942, riprodotto sui manifesti e sulla copertina di un catalogo tanto ampio e documentato da valere quanto un’enciclopedia, è l’emblema della mostra più importante allestita fino ad oggi su “I surrealisti” e fra le maggiori esposizioni internazionali realizzate a Milano. Promossa ed organizzata dal settore cultura e spettacolo del Comune, curata da Arturo Schwarz con passione e competenza, è costituita da un “corpus” di 940 opere originali, dipinti, sculture, disegni, oggetti, e da oltre 600 documenti, che comprendono periodici surrealisti, manifesti, e le prime edizioni dei poeti inclusi nell’ultima “Antologia della poesia surrealista” curata da Benjamin Peret, edita nel 1959, un anno prima della sua morte.
Si sviluppa così attraverso le sale del Palazzo Reale e dell’Arengario, uno straordinario itinerario attraverso le opere figurative e le testimonianze poetiche, letterarie, politiche, comprese nell’arco di mezzo secolo dal 1916 al 1966. Gli artisti sono stati individuati tra quelli presenti in almeno una delle tredici mostre dirette o ispirate da Breton tra il 1925 e il 1965, privilegiando i lavori riprodotti nelle tre edizioni della sua opera “Il surrealismo e la pittura”, considerata la “summa” del movimento. All’interno del lungo percorso che esige tempo ed attenzione, sono proposte scansioni per presentare i protagonisti, gli antecedenti storici, i tre momenti dell’evoluzione iconografica, la diffusione nei Paesi.
Così Memorabilia propone oltre 70 ritratti dedicati ai protagonisti (poeti, saggisti,artisti) per la più parte eseguiti da Man Ray, oppure da Maurice Henry. Nelle bacheche, tra un centinaio di lettere autografe, si distinguono i manoscritti di Picabia e di Artaud.
Nella Wunderkammer si riscopre, sulle tracce della “Mostra surrealista di oggetti” allestita a Parigi nel maggio 1936, la “bellezza convulsa” di minerali, vegetali, oggetti trovati, manufatti e culture preletterate, esempi d’arte etnografica o arte involontaria. E si trovano artisti – i precursori – che già nel 1500 prediligevano l’onirico e il meraviglioso: Durer, Lucas Cranach, gli esempi di scuola articimbolesca, e i compagni di strada, tra cui Duchamp al quale è dedicata una sala a sottolineare l’importanza che la sua opera ha assunto per il Surrealismo e la sua collaborazione a tutte le più importanti manifestazioni del movimento.
La prima stagione surrealista (1924-1928) comprende i pittori commentati nell’edizione iniziale (1928) di “Il Surrealismo e la pittura” e presentati nella prima collettiva surrealista allestita alla Galleria Pierre di Parigi nel novembre 1925. Vi compaiono tra gli altri Andrè Masson, Max Ernst e Man Ray, Jean Arp, Yves Tanguy, Joan Mirò, Georges Maline. Più ricca la seconda stagione (1928-1945) con le varie opere collettive (il “Cadavre écquis” e la profetica “Marianne” di Brauner e Lam) e Dalì, Matta, Giacometti, Paalen, Jacqueline Lamba, Leonora Carrington… Poi un’escursione in Inghilterra, Stati Uniti e Canada, Belgio, Cecoslovacchia, Svezia, Spagna e Messico, a documentare la diffusione del surrealismo nel mondo.
I capolavori sono tanti e tanti i grandi nomi: Sutherland, Magritte, Toyen… Ma la mostra vuol essere di tutti e di tutto, nel suo percorso non facile e fisicamente faticoso, quando obbliga a raggiungere la terza stagione (1945-1966) in cima alla scalinata dell’Arengario.
Vale l’ammonimento di Breton: “Ponetevi in uno stato il più possibile passivo e ricettivo”. L’obiettivo, qui, non è tanto il godimento estetico, quanto la ricerca di una segreta verità interiore.

Massimo Maisetti