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IMPARARE, QUESTO È IL PROBLEMA

Il titolo completo del Convegno svoltosi lo scorso fine settembre a San Marino aggiungeva  "Il perimetro dell'intelligenza. Componenti verticali ed orizzontali e processi cognitivi".
Tutte le giornate del Convegno sono state caratterizzate da un dibattito a più voci e con contributi diversi, sui temi del rapporto fra cognizione e apprendimento e sulle conseguenti implicazioni. Così il Prof. Canestrari (Università di Bologna e Università di San Marino), all'apertura del forum "Scienze cognitive e difficoltà di apprendimento", ha invitato i presenti a riflettere insieme, ripercorrendo le tappe della storia della psicologia in termini globali. Si tratta quindi di affrontare lo sviluppo cognitivo partendo dall'acquisizione delle abilità per arrivare a definire i processi e le modalità di sviluppo delle capacità cognitive attraverso l'apprendimento. Si sono ascoltati contributi sui rapporti fra intelligenza e processi di apprendimento. Come ad esempio, la posizione sostenuta dal Prof. R.J. Sternberg (Yale University, Connecticut, U.S.A) che in seguito alle sue ricerche sul successo delle persone, considera l'intelligenza non tanto in base al QI ma come "intelligenza pratica". A titolo esplicativo egli fa due esempi: il primo riguarda la "competenza" degli allibratori nel determinare le probabilità di vincita nelle scommesse delle corse dei cavalli, attraverso equazioni mentali sul calcolo delle probabilità di vittoria prese sul momento.
Il secondo esempio è tratto da una ricerca sul comportamento dei bambini di strada delle favelas, fallimentari nel profitto scolastico, ma bravi nei loro traffici illeciti, legati alla loro sopravvivenza. La distinzione che viene posta sta fra un'intelligenza di tipo accademico contrapposta ad una di tipo pratico, collegata con la vita quotidiana.
Questo implica una grossa differenza, perché l'intelligenza pratica può, secondo Sternberg, essere meglio insegnata al bambino, rispetto ad un'impostazione più astratta.
Interessante, anche se su toni diversi, il punto di vista del prof. Detterman (Case Western Reserve University, Ohio, U.S.A).
Egli ha individuato nel "didatticismo" un ostacolo piuttosto che una facilitazione all'apprendimento. Detterman ha aperto il suo intervento con una singolare affermazione sostenuta da sua madre, e cioè che " tutte le persone sono brave almeno in una cosa, e quel qualcosa va riconosciuto e migliorato".
Questa è un po' una provocazione, intesa come ironica critica a chi non coglie l'intelligenza come stile proprio di una persona nel manifestare le sue abilità rispetto all'ambiente, ma come una sorta di scala  di valori quantitativi (dal meno al più intelligente).
La critica del Detterman su ciò non facilita gli apprendimenti ha preso di mira il problema dell'essenza di formazione per insegnare, che è cosa diversa dal conoscere o essere esperti in una materia. Allora le metodologie per facilitare gli apprendimenti o la clinica dei disturbi dell'apprendimento, sono da considerarsi attualmente più  un'arte che una scienza. Arte come capacità di leggere nelle abilità-competenze di un individuo, nei rapporti e nei processi interconnessi fra cognizione ed apprendimento. Un'arte che possa favorire il processo, ma anche un'arte in grado di leggere quali contesti facilitino l'apprendimento. Ma allora, quale rapporto o quali vicendevoli contributi vi possono essere fra questa posizione e un metodo di indagine dei processi di apprendimento, tramite "simulazione dei processi cognitivi"?  E' convinzione del prof. Parisi (C.N.R. Roma) che il dualismo fra cervello e mente sia superato.
Attraverso astrazioni del sistema nervoso su computer è possibile simulare, nei cicli di apprendimento di un neurone, l'architettura della rete neurale. È così possibile rappresentare le possibilità dell'apprendimento e le sue variabili. Quindi c'è sintonia con le tesi "ecologiche" di Sternberg e Detterman. L'individuo è un sistema aperto ad altri sistemi e risente, in un perenne reciprocità dei cambiamenti fra il suo ed altri sistemi. Secondo Parisi, la prospettiva del modello connesionista può permettere il superamento dei dualismi nelle scienze cognitive. Questo modello teorico è utile anche come "approccio al contesto favorente" (visionare l'ambiente).
Diversa invece, almeno rispetto al fattore "prevedibilità" è l'ipotesi del prof. Bara (Università di Torino).  Secondo lui le modalità della mente sono troppo complesse per essere prevedibili. A ciò aggiunge che non si può insegnare nessuna capacità complessa ma solo stimolare. Come in psicoterapia dove non si può guarire, ma solo cercare di aiutare la persona a scegliere come comportarsi in base alle proprie possibilità.
Questa immagine di Bara, a tratti provocatoria, quando per esempio tratta di collegamenti fra ambiente e struttura innata, si è successivamente vista a confronto con l'ipotesi metacognitiva. L'intervento del prof. Cornoldi (Università di Padova) ha infatti insistito sul "processo" e sulle informazioni che un soggetto sa di esso. Ad esempio, nel lavoro con pazienti aventi disturbi della percezione visiva, di decodifica, di calcolo, e nella relazione fra piano organizzatore e rappresentazione del compito.
Nelle successive giornate del Convegno sono stati presentati interventi relativi a "Gli strumenti dello sviluppo cognitivo. Le abilità verticali dell'intelligenza" e "Aspetti ineffabili dell'apprendimento. Esperienza, elaborazione, creatività e produttività."
Accanto ad un comune intendere e riconoscere al plurale le strategie di apprendimento e i modelli teorici, gli intervenuti hanno indagato "Gli ambiti nascosti dell'attività mentale, confrontando gli aspetti ineffabili dell'apprendimento attraverso: l'esperienza, l'elaborazione, la creatività e la produttività".

                                                                                              Leandro Iacobucci