AMMAZZARE IL TEMPO di John Zerzan
   

La dimensione del tempo ultimamente sta ricevendo grande attenzione a giudicare dal numero di film incentrati su questo tema, come Ritorno al futuro, Terminator, Peggy Sue si è sposata ecc. A Brief History of Time di Stephen HawkIngs (1989) è stato un best-seller ed è diventato, cosa ancora più sorprendente, un popolare film. Notevole, oltre al diversi libri sul tempo, è il numero ancora più alto di quelli che in realtà non ne parlano, ma che comunque comprendono questa parola nei loro titoli, come The Color of Time: Claude Monet di Virginia Spate (1992). Tali riferimenti riguardano, seppure indirettamente, l'improvvisa, angosciante consapevolezza del tempo, lo spaventoso senso di essere legati ad esso.

Il tempo è sempre in maggior misura una manifestazione chiave dell'insoddisfazione e dell'umiliazione che caratterizzano l'esistenza moderna: illumina l'intero panorama deformato e lo farà in modo sempre più pesante finché questo panorama e tutte le forze che lo modellano non cambieranno al punto da divenire irriconoscibili. Questo contributo all'argomento ha poco a che fare con il fascino esercitato dal tempo su produttori cinematografici e televisivi, o con l'attuale interesse accademico per le concezioni geologiche del tempo, la storia della tecnologia degli orologi e la sociologia del tempo, o con osservazioni personali e consigli su come utilizzarlo. Né gli aspetti né gli eccessi del tempo meritano tanta attenzione quanto la sua logica e il suo significato intrinseco.

Perché nonostante la natura inquietante del tempo sia diventata. secondo John Michon (1988) "quasi un'ossessione intellettuale", la società è palesemente incapace di gestirlo. Il tempo ci presenta un enigma filosofico, un mistero psicologico e un rompicapo per la logica. Non sorprende che, considerando l'enorme reificazione che esso comporta, siano stati espressi dubbi sulla sua stessa esistenza fin da quando l'umanità iniziò a distinguere il "tempo" dai cambiamenti visibili e tangibili nel mondo. Come disse Michael Ende (1984): "C'è nel mondo un grande, seppure ordinario, segreto. Tutti ne siamo a conoscenza, ognuno ne è consapevole, ma pochissimi se ne interessano. La maggior parte di noi semplicemente lo accetta e non ci pensa mai. Questo segreto è il tempo". Cos'è esattamente il "tempo"? Spengler dichiarò che a nessuno dovrebbe essere consentito chiederlo. Il fisico Richard Feynman (1988) rispose, "Non chiedetemelo nemmeno.È semplicemente troppo difficile pensarci". Tanto in modo empirico che teorico, i laboratori non sono in grado di rivelare lo scorrere del tempo poiché non esiste strumento in grado di registrare il suo passaggio. Ma perché abbiamo una forte sensazione che il tempo scorra, ineluttabilmente ed in una precisa direzione, se in realtà ciò non accade? Perché questa "illusione" ha un tale potere su di noi? A questo punto possiamo chiederci perché l'alienazione ha un tale potere su di noi. Il passaggio del tempo è intimamente familiare, il concetto di tempo è ironicamente elusivo, perché dovrebbe sembrare strano in un mondo che sopravvive grazie alla mistificazione delle sue categorie più basilari?

Ci siamo conformati alla legittimità del tempo così che ora sembra un fatto naturale, un potere che ha pieno diritto di esistere. Lo sviluppo del senso del tempo - l'adeguamento al tempo - è un processo di assuefazione ad un mondo sempre più reificato. È una dimensione costruita, l'aspetto più elementare della cultura. La natura inesorabile del tempo fornisce il modello basilare di dominazione. Più ci inoltriamo nel tempo, peggio diventa. Popoliamo un'era di disintegrazione dell'esperienza, secondo Adorno. La pressione esercitata dal tempo - e dalla sua progenitrice essenziale, la divisione del lavoro - frammenta e disperde tutto. Uniformità, uguaglianza, separazione sono sottoprodotti dell'inesorabile forza del tempo. Il significato e la bellezza intrinseci di quel frammento di mondo che non-è-ancora-cultura si muovono stabilmente verso l'annientamento sotto un unico orologio che comprende tutte le culture.

L’affermazione di Paul Ricoeur (1985) "noi non siamo in grado di produrre un concetto di tempo che sia contemporaneamente cosmologico, biologico, storico e Individuale" non riesce a rilevare la misura in cui queste definizioni convergono. In merito a questa "simulazione" che rafforza e accompagna tutte le forme di prigionia, si espresse molto bene Bernard Aaronson (1972) "il mondo è pieno di propaganda che presume la sua esistenza". La poetessa Denise Levertov (1974) scrisse: "Qualsiasi cognizione consiste nella cognizione del tempo", mostrando perfettamente quanto sia profonda la nostra alienazione nel tempo. Siamo stati sottomessi al suo impero, mentre tempo e alienazione continuano ad approfondire la loro intrusione, il loro avvilimento della vita quotidiana. David Carr (1988) chiese: "questo significa che la lotta per l'esistenza consiste nello sconfiggere il tempo?". È possibile che sia esattamente questo l'ultimo nemico da combattere. Per affrontare questo onnipresente, seppure fantomatico avversario, è in un certo senso più facile dire ciò che il tempo non è. Non è sinonimo, per ragioni piuttosto ovvie, di cambiamento. Neppure è sequenza o ordine di successione. Il cane di Pavlov, per esempio, deve avere imparato che il suono del campanello era seguito dal cibo, diversamente come avrebbe potuto essere condizionato a produrre saliva a quel suono? Ma i cani non sono coscienti del tempo, quindi non si può dire che prima e dopo costituiscano il tempo. In qualche modo analoghi sono i tentativi, peraltro inadeguati, di giustificare il nostro inesorabile senso del tempo. Il neurologo Gooddy (1988), più o meno sulla linea di Kant, lo ritrae come una delle nostre "ipotesi subcoscienti sul mondo". Alcuni lo hanno descritto, in modo altrettanto poco utile, come un prodotto dell'immaginazione ed il filosofo J.J.C. Smart (1980) lo ha definito una sensazione "derivante dalla confusione metafisica". Mc Taggart (1908), EH. Bradley (1930), E. Dummett (1978) sono alcuni dei pensatori del ventesimo secolo che si sono pronunciati contro l'esistenza del tempo a causa delle sue caratteristiche logiche contraddittorie. Ma sembra abbastanza palese che la presenza del tempo abbia cause ben più profonde della mera confusione mentale.

"Le giornate del bambino sfuggono al tempo degli adulti, sono del tempo gonfiato dalla soggettività, dalla passione, dal sogno abitato di reale. Fuori, gli educatori vigilano, attendono orologio alla mano, che il bambino entri nella danza delle ore. Essi HANNO il tempo. E il bambino sente dapprima come un'intrusione estranea l'impostazione da parte degli adulti del tempo loro proprio; poi finisce per soccombervi, acconsente ad invecchiare. Ignorando tutto dei metodi di condizionamento, si lascia prendere in trappola, come un giovane animale. Quando, detentore delle armi della critica, vorrà puntarle contro il tempo, gli anni l'avranno trascinato lontano dal bersaglio. Porterà l'infanzia nel cuore come una ferita sempre aperta."

Non esiste nulla che sia anche lontanamente simile al tempo. È tanto innaturale e tuttavia tanto universale quanto l'alienazione. Chacalos (1988) fece notare che presente è una nozione sconvolgente e intrattabile quanto lo è il tempo stesso. Cos'è il presente? Sappiamo che è sempre ora; si è confinati ad esso in un senso importante e non si può esperire alcuna altra "frazione" di tempo. Parliamo sicuri di altre frazioni di tempo che chiamiamo "passato" e "futuro", ma mentre le cose che esistono altrove nello spazio continuano ad esistere, le cose che non esistono ora, come osservò Sklar (1992), in realtà non esistono affatto.

Il tempo necessariamente scorre; senza il suo passaggio non ci sarebbe il senso del tempo. Qualsiasi cosa scorra, però, scorre rispetto al tempo. Il tempo pertanto scorre rispetto a sé stesso, che non ha alcun significato perché nulla può scorrere rispetto a sé stesso. Non è disponibile alcun termine per fornire una spiegazione astratta del tempo eccetto termini in cui il tempo sia già presupposto. È necessario mettere in dubbio tutto quanto è scontato. La metafisica con le restrizioni che la divisione del lavoro ha imposto fin dal suo inizio è troppo limitata per un tale compito.

Cosa provoca lo scorrere del tempo, cosa lo fa muovere verso il futuro?

Qualunque cosa sia, deve trattarsi di qualcosa oltre il nostro tempo, più profondo e più potente, deve dipendere, come sostenne Conly (1975) "da forze elementari continuamente attive".

William Spanos (1987) fece notare che alcune parole latine usate per cultura non solo significano anche agricoltura o addomesticamento, ma sono traduzioni di termini greci riferiti all'immagine spaziale del tempo. Fondamentalmente "catturiamo il tempo", per usare il lessico di Alfred Korzybski (1948); la specie, grazie a questa caratteristica, crea una classe simbolica di vita, un mondo artificiale. La cattura del tempo si rivela come un "enorme aumento del controllo sulla natura". Il tempo diventa reale perché ha delle conseguenze, e questo effetto non è mai stato così angosciosamente manifesto.

Si dice che nel suo profilo più scarno la vita sia un viaggio attraverso il tempo; che sia un viaggio attraverso l'alienazione è uno dei più pubblici dei segreti. "L'ora non batte per l'uomo felice", recita un proverbio tedesco. Lo scorrere del tempo, una volta insignificante, è ora il battito inevitabile, limitante e coercitivo che rispecchia l'autorità cieca. Guyau (1890) affermò che lo scorrere del tempo costituisce "la distinzione fra ciò che si desidera e ciò che si ha" e pertanto "il principio del rimpianto". Carpe diem, consiglia la massima, ma la civiltà ci obbliga sempre ad ipotecare il presente per il futuro.

Il tempo tende ad essere sempre più regolare e universale. In base ad esso il mondo tecnologico del capitale registra i suoi progressi e non potrebbe esistere in sua assenza. Secondo Bertrand Russel (1929) "L'importanza del tempo [si trova] più in relazione al nostri desideri che in relazione alla verità". II desiderio è palpabile quanto lo è diventato il tempo stesso e la sua negazione non può essere misurata in modo più preciso che mediante il vasto costrutto che chiamiamo tempo.

Il tempo, al pari della tecnologia, non è mai neutrale; come giustamente valutò Castoriadis (1991) è "sempre dotato di significato". Tutte le considerazioni sulla tecnologia espresse da opinionisti come Ellul si applicano infatti anche al tempo e in maniera ancora più profonda. Entrambi i presupposti si propagano, sono onnipresenti, basilari e in generale dati per scontati quanto la stessa alienazione. Il tempo, al pari della tecnologia, non è solo un fattore determinante, ma anche l'elemento dissimulatore in cui si sviluppa la società divisa. Esso richiede che i suoi soggetti siano scrupolosi, "realistici", seri e soprattutto dediti al lavoro. È autonomo nel suo aspetto generale, come la tecnologia va avanti in perpetuo per moto proprio.

Come la divisione del lavoro, che sta a monte e mette in moto tempo e tecnologia, questo dopo tutto è un fenomeno appreso a livello sociale. Gli esseri umani e il resto del mondo sono sincronizzati al tempo e alla sua incarnazione tecnica, piuttosto che il contrario. L’aspetto sostanziale di questa dimensione - come dell'alienazione di per sé - è la sensazione di essere uno spettatore indifeso. Ogni ribelle quindi insorge anche contro il tempo e la sua inesorabilità. La liberazione deve comportare, in un senso estremamente fondamentale, la liberazione dal tempo.

Il tempo e il mondo simbolico

Secondo Epicuro "il tempo è l'accidente degli accidenti". Ad un più attento esame però la sua genesi appare meno misteriosa. È venuto in mente a molti, infatti, che nozioni quali "passato", "presente" e "futuro" siano più linguistiche che reali o fisiche. Il teorico neofreudiano Lacan, per esempio, riteneva che l'esperienza del tempo fosse essenzialmente un effetto del linguaggio.

Una persona priva di linguaggio probabilmente non avrebbe alcun senso dello scorrere del tempo. R.A. Wilson (1980) avvicinandosi al nocciolo della questione suggerì che il linguaggio fosse stato introdotto dall'esigenza di esprimere il mondo simbolico.

Gosseth (1972) sostenne che il sistema dei tempi grammaticali delle lingue indoeuropee si sviluppò parallelamente alla consapevolezza di un tempo universale o astratto. Secondo Derrida (1982) il tempo e il linguaggio sono contigui: "essere in uno equivale ad essere nell'altro". Il tempo è un costrutto simbolico che ha l'immediata precedenza, relativamente parlando, su tutti gli altri e che ha bisogno del linguaggio per la sua realizzazione.

"Lo spazio puntuale della vita quotidiana carpisce una particella di tempo esterno, grazie al quale si crea un piccolo spazio-tempo, unitario: è lo spazio-tempo dei momenti, della creatività, del piacere, dell'orgasmo. Il luogo in cui avviene tale alchimia è infinitesimale, ma l'intensità vissuta è tale da esercitare sulla maggior parte degli individui un fascino senza pari. Visto con gli occhi del piacere, osservato dall'esterno, il momento appassionato non è che un punto derisorio, un istante drenato dal futuro al passato. Del presente come presenza soggettiva immediata, la linea del tempo oggettivo non sa niente e non vuole sapere niente. E a sua volta, la vita soggettiva racchiusa nello spazio di un punto - la gioia, il piacere, le fantasticherie - vorrebbe non saper nulla dello stillicidio, del tempo lineare, del tempo delle cose. Al contrario, essa desidera imparare tutto sul proprio presente, poiché dopo tutto essa non è che un presente"

Paul Valéry (1960) si riferì alla caduta della specie nel tempo come ad un segnale di alienazione dalla natura e scrisse: "attraverso un certo tipo di abuso l'uomo crea il tempo". Si dice spesso che nell'epoca senza tempo antecedente la caduta, che costituisce la stragrande maggioranza della nostra esistenza in qualità di esseri umani, la vita avesse un ritmo ma non una progressione. Era lo stato in cui l'anima poteva "raccogliersi nell'insieme del suo essere", nelle parole di Rousseau, in assenza di limitazioni temporali e "in cui il tempo non significava nulla per l'anima". Le attività, solitamente di natura ricreativa, costituivano i punti di riferimento prima della comparsa del tempo e della civilizzazione, la natura forniva i segnali necessari indipendentemente dal "tempo". L’umanità deve essere stata consapevole di avere ricordi e progetti molto tempo prima che venisse fatta una distinzione esplicita fra passato, presente e futuro (Fraser, 1988). Inoltre, come valutò il linguista Whorf (1956), "le comunità preletterarie (primitive) lontane dall'essere subrazionali, possono mostrare il funzionamento della mente umana ad un livello di razionalità più alto e più complesso che non fra gli uomini civilizzati".

La chiave di accesso al mondo simbolico è il tempo; esso sta addirittura alle origini dell'attività simbolica umana. Il tempo provoca così la prima alienazione, la via che allontana dalla ricchezza e dall'integrità originarie. Charles Simic (1971) riferisce che "con la comparsa del linguaggio si passa dalla simultaneità dell'esperienza alla concezione del tempo lineare". Ricercatori come Zohar (1982) ritengono che le facoltà telepatiche e precognitive siano state relegate alla vita simbolica nell'interesse dell'evoluzione. Se questo può sembrare inverosimile, il sobrio positivista Freud (1932) vedeva la telepatia come il probabile "mezzo arcaico originario che consente agli individui di comprendersi fra loro". Se la percezione e l'appercezione del tempo riguardano la vera essenza della vita culturale (Gurevitch, 1976), la comparsa del senso del tempo e la cultura concomitante rappresentano un impoverimento se non addirittura una deformazione.

Le conseguenze di questa intrusione del tempo, attraverso il linguaggio, indicano che quest'ultimo non è più innocente, neutrale o autentico del primo. Come disse Kant, il tempo non solo è imprescindibile da tutte le nostre rappresentazioni, ma proprio per questo è anche essenziale per il nostro adattamento ad un mondo simbolico qualitativamente ridotto. La nostra esperienza in questo mondo è sottoposta a pressioni che ci spingono prepotentemente ad essere una rappresentazione, ad essere quasi inconsciamente degradati in simboli e misure. Secondo il mistico tedesco Meister Eckhart "Il tempo è ciò che trattiene la luce dal raggiungerci".

La consapevolezza del tempo ci dà la facoltà di affrontare il nostro ambiente a livello simbolico; il tempo non esiste al di fuori di questa estraniazione. Mediante una progressiva simbolizzazione il tempo viene naturalizzato, dato per scontato e quindi eliminato dalla sfera della produzione culturale conscia. Per dirlo In altre parole "I1 tempo diventa umano nella misura in cui nella narrazione diventa reale" (Ricoeur, 1984). L’apporto simbolico a questo processo costituisce un soffocamento costante del desiderio istintivo e da questa repressione emerge il senso del dispiegarsi del tempo. I:immediatezza viene abbandonata e sostituita dalle mediazioni che rendono possibile la storia - prima fra tutte, il linguaggio.

Si comincia a guardare oltre banalità come "il tempo è una qualità incomprensibile del mondo dato (Sebba, 1991). I numeri, l'arte, la religione fanno la loro apparizione in questo "dato" mondo, fenomeni incorporei di vita reificata. Gurevitch (1964) suppone che la comparsa di questi riti portò a sua volta alla "produzione di nuovi contenuti simbolici, incoraggiando così il balzo in avanti del tempo". I simboli, incluso il tempo naturalmente, hanno ora vite indipendenti in questa progressione interattiva globale. The Reality of Time and the Existence of God di David Braine (1988) è esemplificativo: in esso si sostiene che è esattamente la realtà del tempo a dimostrare l'esistenza di Dio: la logica perfetta della civiltà.

Il rito non è altro che un tentativo di tornare attraverso il simbolismo allo stato senza tempo. Esso tuttavia è un atto di astrazione da tale stato, un passo falso che se ne allontana ulteriormente. L’atemporalità dei numeri è parte di questo percorso e contribuisce ampiamente all'elaborazione di una concezione fissa del tempo. La valutazione di Blumenberg (1983) sembra infatti sostanzialmente corretta: "i1 tempo non viene misurato come un qualcosa che sia sempre esistito, ma viene invece prodotto per la prima volta dalla misurazione". Per esprimere il tempo dobbiamo in qualche modo quantificarlo, i numeri sono quindi essenziali. Anche dove il tempo ha già fatto la sua comparsa, un'esistenza sociale gradatamente più divisa si avvia verso la sua progressiva reificazione solo per mezzo dei numeri. Il senso dello scorrere del tempo non è comune fra i popoli tribali, per esempio, che non lo segnano con calendari e orologi.

Tempo: uno dei significati originari della parola in greco antico è divisione. I numeri, applicati al tempo, rendono la divisione o la separazione molto più efficace. I non civilizzati spesso considerano "nefasto" contare le creature viventi e generalmente oppongono resistenza all'adozione di questa pratica (vedi Dobrizhoffer, 1822). L’intuizione dell'uso dei numeri fu tutt'altro che spontanea e inevitabile; "già nelle prime civiltà", riferisce Schimmel (1992), "si ha la sensazione che i numeri siano una realtà circondata da qualcosa di simile a un campo magnetico". Non sorprende che fra le culture antiche che possedevano un senso del tempo molto forte - Egizi, Babilonesi, Maya - si vedano i numeri associati a figure e divinità rituali; invero, Maya e Babilonesi avevano entrambi divinità numeriche (Barrow, 1992).

Molto più tardi l'orologio, con il suo quadrante di numeri, incoraggiò la società ad astrarre e quantificare ulteriormente l'esperienza del tempo. Ogni lettura dell'orologio costituisce una misurazione che unisce l'osservatore dell'orologio al "flusso del tempo". E noi superficialmente ci illudiamo di sapere cos'è il tempo perché sappiamo che ora è. Se eliminassimo gli orologi, ci ricorda Shallis (1982), sparirebbe anche il tempo oggettivo. Sostanzialmente, se eliminassimo la specializzazione e la tecnologia sparirebbe anche l'alienazione.

La matematizzazione della natura costituì la base per la nascita del razionalismo e della scienza moderna in Occidente e fu determinata dall'esigenza di disporre di numeri e misure da applicare al tempo al servizio del capitalismo mercantile. La continuità dei numeri e del tempo come luogo geometrico fu fondamentale per la Rivoluzione Scientifica, che proiettò il principio di Galileo in base al quale occorre misurare tutto ciò che è misurabile e rendere misurabile ciò che non lo è. Un tempo matematicamente divisibile è necessario per la conquista della natura e persino per i rudimenti della tecnologia moderna.

"La volontà di vivere reagisce sempre unitariamente. La maggio parte degli individui si dedicano ad un vero détournement del tempo a favore dello spazio vissuto. Se i loro sforzi per rinforzare l'intensità del vissuto, per accrescere lo spazio tempo dell'intensità non si perdessero nella confusione e noi si frammentassero nell'isolamento, chi sa se il tempo oggettivo, il tempo della morte, non si spezzerebbe? Il momento rivoluzionario non è forse un'eterna giovinezza?"

Da questo punto in poi, il tempo simbolico basato sui numeri è diventato straordinariamente reale, una costruzione astratta "estranea e persino contraria ad ogni esperienza interiore ed esteriore dell'essere umano" (Syzamosi, 1986). Sottoposti a questa pressione, denaro e linguaggio, merce e informazione sono diventati sempre più indistinguibili e la divisione del lavoro sempre più estrema.

La trasformazione in simbolo significa esprimere la coscienza del tempo poiché il simbolo incarna la struttura del tempo (Darby, 1982). Ancora più chiara è la formulazione di Meerloo: "Comprendere un simbolo e la sua evoluzione significa racchiudere in un guscio la storia umana". Il contrasto è dato dalla vita dei non civilizzati vissuta in un ampio presente che non può essere ridotto al singolo momento del presente matematico. Mentre il continuo cede ora il passo ad un crescente affidarsi a sistemi di simboli significativi (linguaggio, numeri, arte, rituali, miti) rimossi dal momento presente, inizia a svilupparsi l'ulteriore astrazione, la storia. Il tempo storico non è più intrinseco alla realtà o meno imposto ad essa di quanto non lo fossero le forme di tempo precedenti.

In un contesto che diventa gradatamente più sintetico, vengono conferiti nuovi significati all'osservazione astronomica. Se una volta veniva perseguita per il solo interesse nei suoi confronti, fornisce ora un mezzo per pianificare riti e coordinare le attività di una società complessa. Grazie alle stelle esistono l'anno e le sue frazioni quali strumenti dell'autorità organizzata (Leach, 1954). La creazione di un calendario è basilare per la formazione di una civiltà. Il calendario fu il primo manufatto simbolico che regolò il comportamento sociale in base allo scorrere del tempo. Ne risulta non tanto il controllo sul tempo ma il suo opposto: l'imprigionamento, da parte del tempo, in un mondo di reale alienazione. Si può ricordare che la parola da noi usata deriva dal latino calendae, il primo giorno del mese, giorno in cui venivano saldati i debiti.

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